«Lei non può starci, nella società; la vicinanza dei simili la rende inquieto, la esaspera, cava il peggio dal suo animo. Da un lato un consumo di beni enorme; dall'altro, un'avarizia incredibile. Consuma e sperpera, come attendesse un'altra vita, o altre possibilità di vita.»
Benché appoggiato e stimato da eminenti studiosi e critici, non riuscì a farsi notare dal grande pubblico, anche per il suo stile complesso e per il proprio carattere schivo e poco accomodante.
Stile
Il suo stile secco e scostante lo avvicina a Federigo Tozzi, ma l'afflato spirituale è qui molto più sentito, ricordando per certi versi Georges Bernanos. La scrittura di Fiore raggiunge intensità liriche notevoli che danno alla narrazione un'impronta allucinatoria. Nei suoi romanzi vi è descritto un universo in disfacimento, dove un'umanità ingobbita dalla meschinità vive di continui raggiri e di sospetti. Il protagonista è sempre un forestiero che non riesce a farsi accettare nel consorzio umano dove, senza motivo, si è venuto a trovare. La vita è quindi sempre procrastinata a un domani di affermazione o di liberazione, ma che, per l'inettitudine propria del protagonista, non avverrà mai.
Poetica
«L'uomo non ha più scopo né coscienza: ha solo memoria, una memoria fisica, inerte. E poi, a mio avviso non si tratta più di scopo né di coscienza, ma del modo. Ora i fatti incalzano e l'uomo non si distingue più da essi: egli coincide con essi.»
(da Il lavoratore)
L'idea di fondo della scrittura di Angelo Fiore è che la morte di Dio abbia lasciato l'uomo in balia di se stesso. Per Fiore la morte di Dio è dovuta ad un difetto originario, insito nella natura dell'uomo, quel residuo di male che si traduce in mancanza di amore, incapacità di riceverlo e incapacità di sentirlo o di offrirlo al prossimo. Mancando l'amore, manca di conseguenza il senso della vita, la quale diventa così una carriera spirituale che porta l'uomo a inseguire senza fine una certezza che non arriverà. La visione della vita, in Fiore, è assolutamente pessimista perché non vi è possibilità di riscatto, l'uomo è fatuo, in balia di continui arrovellamenti e delle sue passioni che non gli portano nessuna felicità, sempre in attesa di un evento risolutore. Dio, per Fiore, esiste in quanto manca di esistenza e la sua vita è un peregrinare sulla terra nella assoluta mancanza di un progetto o di un fine. Forte è quindi l'impatto teologico di Fiore che cita, nelle lettere e nei romanzi, la massima di Friedrich Nietzschedeus sive vita. Benché generalmente la narrazione ruoti intorno a un personaggio principale, è l'umanità nel suo complesso a essere inadatta a vivere, ad aver perso, cioè, la capacità di trarre un senso dal caos dell'esistenza.