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Bhagavadgītā I: Arjuna-viṣāda-yogaḥ

Sañjaya racconta a Dhṛtarāṣṭra, assiso sul trono, la sua visione del campo di battaglia di Kurukṣetra, dipinto del XIX secolo.
Śaṅkha risalenti all'XI secolo d.C. decorate in argento. Kṛṣṇa auriga di Arjuna soffia nella sua conchiglia Pāñcajanya che prende il nome dal demone a cui la strappò, Pāñcajana (Cinque elementi); Arjuna impugna l'arco Gāṇḍīva che gli fu donato dal dio Agni che lo ricevette dal dio Varuṇa e questi dal dio Soma. Dipinto del XVIII secolo.
Voce principale: Bhagavadgītā.

Il primo "canto" (adhyāya, "lettura"), Arjuna-viṣāda-yogaḥ ("Lo sconforto di Arjuna") si apre con la domanda che il re cieco Dhṛtarāṣṭra[1], chiuso nel suo palazzo ad Hastināpura, capitale del regno, pone al suo consigliere e auriga Sañjaya:

(SA)

«dhṛtarāṣṭra uvāca dharma-kṣetre kuru-kṣetre samavetā yuyutsavaḥ
māmakāḥ pāṇḍavāś caiva kim akurvata saṃjaya»

(IT)

«Dhṛtarāṣṭra disse: "Radunati nel campo sacro, nel Kurukṣetra impazienti di combattere che han fatto o Sañjaya la mia gente e quelli di Pāṇḍu?"»

Sañjaya è in grado di rispondere al re in quanto dispone della facoltà detta divya dṛṣti (divyaṛṣti) ovvero di avere la visione completa di ciò che accade anche a grande distanza[2].

La Bhagavadgītā è quindi il racconto di ciò che Sañjaya "vede" e quindi racconta a Dhṛtarāṣṭra.

A Kurukṣetra (lett. "piana dei Kuru"; 150 km a nord di Delhi, oggi luogo santo, tīrtha) si sono raccolte diciotto grandi armate (akṣauhiṇī) ognuna delle quali formata da 21.870 carri e altrettanti elefanti, da 65.610 cavalli e 109.350 fanti.

Undici delle diciotto armate sono schierate a favore dei Kaurava, (lett. "discendenti di Kuru"), i cento figli del re Dhṛtarāṣṭra guidati da Duryodhana (personificazione del demone Kali).

Le restanti sette armate sono riunite sotto i vessili dei Pāṇḍava, i cinque figli di Pāṇḍu, questo il fratello di Dhṛtarāṣṭra e precedente sovrano prima morire. In realtà i Pāṇḍava sono figli di alcune divinità: Yudiṣṭhira, figlio del dio Dharma; Bhīma, figlio del dio Vayu, il Vento; Arjuna, figlio del dio Indra; e i gemelli Nakula e Sahadeva, figli degli dèi Aśvin[3].

La ragione della imminente battaglia è nel rifiuto dei Kaurava di restituire ai Pāṇḍava, tornati dall'esilio nella foresta durato tredici anni, la parte del regno che gli spetta.

Sañjaya inizia il racconto della Bhagavadgītā descrivendo a Dhṛtarāṣṭra ciò che vede.

Vede Duryodhana avvicinarsi a Droṇa, che fu maestro rispettato dei giovani cento Kaurava e dei cinque giovani Pāṇḍava quando questi vivevano insieme nel palazzo reale di Hastināpura, ma che ora è schierato con i Kaurava[4], e illustrargli la composizione dei due schieramenti in battaglia, convinto che la vittoria arriderà ai Kaurava.

Duryodhana invita i Kaurava a difendere il più forte tra i suoi condottieri, Bhīṣma[5], il grande guerriero per antonomasia, il quale ritto sul carro dà fiato alla conchiglia da guerra (śaṅkha: Turbinella pyrum) scatenando la battaglia. Risuonano tremendi i tamburi (bherya) e i timpani (ānaka). Anche i Pāṇḍava rispondono con i terribili suoni delle conchiglie. Tra questi Kṛṣṇa, auriga di Arjuna, soffia nella sua conchiglia Pāñcajanya (che prende il nome dal demone a cui la strappò, Pāñcajana), Arjuna nella sua Devadatta ("Dono del Dio" in quanto gli fu donata da suo padre, il dio Indra).

Iniziano le frecce ad essere scagliate quando Arjuna alza il suo arco e si rivolge al suo auriga, il principe degli Yādava, Kṛṣṇa, chiedendogli di fermare il carro nel mezzo dei due schieramenti nemici.

Qui preso da un profondo sconforto, invita il suo auriga e amico, ad osservare insieme a lui il terribile scenario dove amici, parenti e maestri sono schierati uno contro l'altro. Se dovesse combattere questa battaglia, sostiene Arjuna, spinto dal desiderio di vittoria, di regalità o di godimento, compirebbe delle azioni contrarie al dharma le quali contribuirebbero a sgretolare le famiglie e le caste e, con loro, le leggi eterne e darmiche. E nemmeno l'avidità del nemico o le sue ingiuste ragioni giustificherebbero in modo sufficiente la battaglia che si prefigura come una carneficina, in quanto il male che ha invaso i nemici, con la crudeltà della guerra conquisterà anche chi è ora nel giusto.

(SA)

«aho bata mahat pāpaṃ kartuṃ vyavasitā vayam
yad rājyasukhalobhena hantuṃ svajanam udyatāḥ»

(IT)

«Ahimè!, ahimè! Noi ci siamo davvero risolti a commettere un crimine immane, noi che siamo qui pronti ad uccidere la nostra gente, per cupidigia di regno e di piacere»

Arjuna è pieno di compassione per quella che sente essere la sua gente ma che è schierata contro di lui; non intende provocare loro né offesa, né dolore, affranto, si accascia in fondo al carro in preda a profonda angoscia.

Note

  1. ^ Dhṛtarāṣṭra è il fratello maggiore del re defunto Pāṇḍu. Dhṛtarāṣṭra è cieco per questa ragione il fratello minore gli fu preferito per il governo del regno. Ora Dhṛtarāṣṭra è reggente in attesa che Yudiṣṭhira, figlio maggiore di Pāṇḍu, raggiunga la maggiore età.
  2. ^ Tale facoltà soprannaturale Sañjaya l'ha ottenuta dal suo maestro Vyāsa (Kṛṣṇa Dvaipāyana), il compilatore, e uno dei protagonisti, del Mahābhārata.
  3. ^ La nascita divina dei Pāṇḍava è narrata nel I parvan del Mahābhārata, l' Ādiparvan. In sintesi il re Pāṇḍu, abbandonato il regno per rifugiarsi come asceta nelle foreste insieme alle sue due mogli, Kuntī e Mādri, uccide durante una battuta di caccia un cervo che si sta accoppiando. In realtà questo cervo è un asceta che gli invia la maledizione di una morte immediata semmai si fosse unito a una donna. Precedentemente la prima moglie di Pāṇḍu, Kuntī (conosciuta anche come Pṛthā), aveva ottenuto dall'asceta Durvāsas un mantra che gli consentiva di ottenere figli da qualsiasi dio evocato. Già Kuntī aveva provato l'efficacia di questo mantra evocando il dio Sūrya ottenendo in questo modo il figlio Karṇa che però subito aveva abbandonato alle acque di un fiume in quanto nato fuori dal matrimonio. Ora Kuntī venuta a conoscenza dell'impossibilità del marito Pāṇḍu di procreare lo invita d'avvalersi del suo mantra: in questo modo la coppia evoca le divinità di Dharma, Vayu e Indra, poi, convocata Mādri, gli offriranno la possibilità di evocare gli dèi Aśvin, generando in questo modo i cinque Pāṇḍava.
  4. ^ Sia Droṇa che l'altro eroe e maestro Bhīṣma, schieratisi con i Kaurava per rispettare gli inderogabili impegni da kṣatriya (la casta hindū dei guerrieri) avevano inutilmente tentato di convincere Duryodhana a raggiungere un accordo con i Pāṇḍava (cfr. Mahābhārata).
  5. ^ Bhīṣma è il figlio del re Śāntanu, sua madre è la dea Gaṅgā, il suo iniziale nome era Devavrata. Ma durante un viaggio Śāntanu incontrò lungo il fiume Yamunā, Satyavatī, la splendida figlia di Adrikā, l'apsaras condannata ad essere un pesce da una maledizione di brahmano che aveva cercato di sedurre. Śāntanu si innamora di Satyavatī e dalla loro unione nascono Citrāṅgada e Vicitravīrya. Satyavatī e la sua famiglia esprimono il desiderio che uno dei suoi figli possa succedere al trono del re. Devavrata, erede legittimo, per compiacere il padre rinuncia ai suoi diritti e fa voto di perenne castità onde evitare anche future dispute dinastiche, in questo modo il principe acquisirà il nome di Bhīṣma (da intendersi come "Colui che ha fatto il voto terribile"). In cambio il re Śāntanu consegna al figlio il potere di decidere quando morire.
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