La storiografia moderna sulla seconda guerra punica considera decisiva per l'avvio dell'espansione mondiale di Roma la data del 205 a.C. quando la politica militare romana [1] si sposta da una visione italo-centrista ad una mediterranea africana. [2] Erano soprattutto i proprietari terrieri favorevoli in quell'anno ad una pace che segnasse la fine della seconda guerra punica e della presenza cartaginese in Italia anche a costo di lasciare intatto il potere di Cartagine in Africa [3]
Conflitto generazionale e politico-militare
Per Publio Cornelio Scipione che aveva constatato la debolezza dei cartaginesi durante la sua vittoriosa campagna in Spagna si trattava invece di assestare il colpo finale a Cartagine e avviare una politica romana di espansione mondiale mettendo fine ad una strategia bellica di difesa e logoramento come quella condotta da Quinto Fabio Massimo[4] che probabilmente più che una rischiosa campagna militare in Africa temeva ripercussioni sull'equilibrio interno socioeconomico reso incerto dalla guerra [5]
È un conflitto d'età e di opinioni che viene ricostruito nello scontro oratorio riportato da Tito Livio (59 a.C.–17 d. C.) che rivela come nella Roma degli inizi del III secolo a.C. fosse in atto un processo di disgregamento della classe oligarchica dove i tradizionalisti, rappresentati dai più anziani, ormai ridotti di numero per la sostituzione dei più giovani alle cariche pubbliche durante le guerre annibaliche, dovevano sgomenti [6] cedere il campo al gruppo dei giovani seguaci della famiglia degli Scipioni che addirittura avevano creato il culto di Iuventas che dava una coloritura religiosa all'ideologia giovanile [7]
Iuniores e seniores esponenti dunque di un conflitto generazionale tra padri e figli [8].
Tipica a questo proposito la carriera politica e militare dello stesso Scipione che, incurante di norme e tradizioni, ascende alla carica di edile curule quando non aveva ancora l'età legale per conseguirla e ottiene a soli 24 anni l'incarico di comandante supremo per la sua campagna africana. Se quella elezione prematura poteva essere spiegata per la mancanza in quel tempo di uomini che potessero concorrervi [9] tuttavia appare chiaro come Scipione tenda a scavalcare il potere del senato ogniqualvolta questo contrasti i suoi voleri, salvo, a conclusione della guerra, provvedere lui stesso a legiferare sull'età minima per le cariche pubbliche [10]
Il confronto oratorio
Lo scontro oratorio tra Fabio Massimo e Scipione, riportato da Livio, ben testimonia il conflitto generazionale e politico:
(LA)
«Cum Africam novam provinciam extra sortem P. Scipioni destinari homines fama ferrent, et ipse nulla iam modica gloria contentus non ad gerendum modo bellum, sed ad finiendum diceret se consulem declaratum esse,* neque aliter id* fieri posse quam si ipse in Africam exercitum transportasset,* et acturum se id per populum aperte ferret, si senatus adversaretur, — id consilium haudquaquam primoribus patrum cum placeret, ceteri* per metum aut ambitionem mussarent, Q. Fabius Maximus rogatus sententiam:[11]»
(IT)
«Correndo sulla bocca di tutti che si destinasse a Publio Scipione, fuor di sorte [12] l'Africa per nuova impresa ed egli stesso ormai di nessuna modesta gloria contento, dicendo di essere stato nominato console non solamente per far la guerra ma per terminarla, né ciò potersi fare altrimenti che passare egli stesso in Africa con l'esercito, e dichiarando apertamente che se il senato si fosse opposto, ne avrebbe ottenuto il permesso dal popolo, né questo suo progetto piacendo affatto ai più importanti senatori e gli altri borbottando per paura o per convenienza, Quinto Fabio Massimo richiesto del suo parere:»
Scipione dichiara apertamente le sue ambizioni personali e sfida il senato che si riconosce nelle parole di Fabio che dichiara come il senato non sia ancora espresso sull'assegnazione della provincia e chi crede il contrario e non si cura della approvazione dei senatori commette un grave errore. Egli poi difende la tattica dilatoria usata nella guerra non per paura, come pensano i giovani, ma perché rivelatasi come la più vantaggiosa [13] e non è certo per invidia che egli si oppone al piano del giovane Scipione [14] ma perché ha ben presenti che le spedizioni al di là del mare, come quella dell'ateniese Alcibiade in Sicilia, sono state segnate da gravi sconfitte; ribadisce infine come bisogna opporsi alle ambizioni personali di Scipione che si atteggia a re. [15].
I senatori, specie i seniores, riferisce Livio, apprezzarono la saggezza dell'anziano Fabio:
(LA)
«Cum oratione ad tempus parata Fabius, tum auctoritate et inveterata prudentiae fama magnam partem senatus et seniores maxime cum movisset, pluresque consilium senis quam animum adulescentis ferocem laudarent, [16]»
(IT)
«Avendo Fabio con questo discorso, adatto alla situazione, e, inoltre, con l'autorità e l'inveterata fama della sua saggezza commosso gran parte del senato e specialmente i più vecchi e il maggior numero lodando il parere dell'uomo anziano piuttosto che quello del giovane ardimentoso..»
Lo stesso Livio annota che il discorso di Scipione fu accolto dai senatori con sospetto poiché giravano voci che in caso di rifiuto egli si sarebbe appellato direttamente con una rogatio al popolo per ottenere l'assegnazione della provincia d'Africa:
(LA)
«Minus aequis animis auditus est Scipio, quia volgatum erat, si apud senatum non obtinuisset ut provincia Africa sibi decerneretur, ad populum extemplo laturum. [17]»
(IT)
«Scipione fu ascoltato [dai senatori] con animi poco sereni poiché giravano voci che se quello non avesse ottenuto l'assegnazione della provincia Africa dal senato, egli stesso si sarebbe rivolto al popolo»
Quinto Fulvio Flacco che era stato console nel 212 e nel 209, e che aveva avuto una parte importante nella seconda guerra punica dirigendo il sacco del campo di Annone presso Benevento, l'assedio di Capua e la punizione dei Campani, interviene nel dibattito per chiedere esplicitamente a Scipione se queste voci abbiano fondamento ma quello risponde elusivamente che il suo unico scopo è quello di servire lo Stato; al che Q.Fulvio lo accusa apertamente di voler scavalcare il senato e si appella ai tribuni della plebe affinché, secondo la legge (ius sententiae), impongano a Scipione di rispondere chiaramente. [18] Scipione contesta la legittimità dell'intervento dei tribuni ma questi, secondo il loro diritto, decretano che nel caso Scipione non volesse tener conto del Senato essi sarebbero intervenuti a sostenere i senatori che non volessero apertamente esprimere il loro parere. [19]
A questo punto Scipione ha vinto lo scontro con il senato che non contestò il nuovo piano strategico militare ma si accontentò che fossero rispettate le regole tradizionali su cui si fondava il loro potere:
«Anche il senato non poté fare a meno di riconoscere che la spedizione africana era necessaria e che non era saggio rimandarla all'infinito e di convenire che Scipione era un abilissimo ufficiale e quindi il vero condottiero di una tale guerra, e che inoltre lui era l'unico a cui il popolo avrebbe affidato la proroga del supremo comando per tutto il tempo necessario e offerto il sacrificio delle ultime forze. La maggioranza si decise a non rifiutare a Scipione l'incarico desiderato. dopo che questi avrebbe usato, almeno per forma, i debiti riguardi alla suprema magistratura e si fu anticipatamente sottomesso alla decisione del senato [20]»
Per questi avvenimenti Scipione è stato considerato da una parte della storiografia l'antesignano del cesarismo:
«...nonostante ogni affermazione in contrario, egli al di sopra di Roma vide sempre se stesso e, pur nella sottomissione apparente agli ordini del senato, nella Spagna, come nella Sicilia, nell'Africa come nell'Asia Minore, fece sempre secondo la sua volontà, appellandosi o minacciando di appellarsi demagogicamente alla piazza quando. indispettito, vedeva ostacolati i suoi progetti. [21]»
Lo scontro seniores-iuniores nella letteratura posteriore
Il carattere paradigmatico del conflitto generazionale vecchi-giovani ricostruito nello scontro oratorio riportato da Tito Livio trova conferma nelle posteriori opere di autori di lingua latina e greca. Questi, che operano in ambiti letterari disomogenei e in situazioni storiche posteriori del tutto diverse da quelle del III secolo a.C. descritte dell'opera liviana, tendono tutti a mettere in risalto il carattere retrogrado del senato e lo spirito innovativo e rivoluzionario di Scipione.
Così Valerio Massimo (I secolo a.C.) trae da opere storiche exempla che si prestino ad una versione moraleggiante degli avvenimenti dove siano preminenti le qualità valutative individuali come nel caso di Scipione che ne fanno un modello da seguire perché ebbe fiducia e affermò il suo proprio giudizio (suo consilio) a sfida di quello dei senatori:
(LA)
«Nec minus animosus minusve prosperus illius in Africam transitus, in quam ex Sicilia exercitum senatu vetante transduxit, quia, nisi plus in ea re suo quam patrum conscriptorum consilio credidisset, secundi Punici belli finis inventus non esset. [22]»
(IT)
«Né meno coraggio né meno felice sorte di quello egli ebbe nel suo passaggio in Africa, dove trasportò la sua armata dai porti della Sicilia nonostante l'opposizione del senato, poiché se non avesse avuto fiducia nel proprio giudizio piuttosto che in quello dei padri coscritti, non si sarebbe trovata la fine della seconda guerra punica»
Sulla stessa linea di promozione morale di Valerio Massimo è Silio Italico (25-101) che riprende la versione liviana dello scontro Fabio-Scipione e ne modifica alcuni elementi per esaltare lo scontro seniores-iuvenes ed enfatizzare la sconfitta dei tradizionalisti [23].
Silio mette in risalto la condizione di "sazietà" degli onori raggiunti dall'anziano Fabio che ormai non ha ragione di invidiare il giovane Scipione per il suo giusto desiderio di gloria non ancora soddisfatta del tutto:
«Haud equidem metuisse queam, satiatus et aevi et decoris [24], cui iam superest et gloria et aetas [25], ne credat nos invidiae certamine consul laudibus obtrectare suis [26]»
La conclusione della ricostruzione letteraria di Silo che emerge dalle considerazioni di Scipione è che lo scontro era dovuto essenzialmente non tanto a motivi politici quanto alla paura e all'invidia dei seniores nei confronti della coraggiosa intraprendenza del giovane console.
Questa stessa interpretazione è ripresa da Plutarco (45 d.C.-120 d.C.) dove ogni altro elemento è trascurato nel giudizio su Fabio Massimo accentrando tutto sul suo comportamento invidioso, mascherato da saggia prudenza, nei confronti del giovane Scipione [27] Un'invidia che emerge apertamente e che sovrasta il suo tentativo di presentarsi come un vecchio saggio quando Fabio cerca inutilmente di convincere Publio Licinio Crasso Divite, il collega console di Scipione, a non cedere il comando militare a quest'ultimo [28].
Appiano d'Alessandria (95-165) introduce un elemento nuovo nello scontro seniores-iuniores addebitando a Scipione la rogatio al popolo per ottenere l'incarico per l'impresa africana [29] e rileva come il contrasto fosse diviso tra quelli che pensavano fosse rischioso lasciare Roma indifesa e quelli che sostenevano che i Cartaginesi avessero potuto attaccare l'Italia proprio perché nessuno li aveva disturbati in Africa. [30] Scipione ottenne quanto voleva ma a condizione di non servirsi delle forze militari presenti in Italia e di ricorrere a contributi privati per allestire le navi da mandare in Africa e per pagare i volontari [31]
Mentre gli storici antichi sottintendono nei diversi pareri tecnico-militari l'avvento di una nuova era politica, in età moderna Niccolò Machiavelli (1469-1527) identifica chiaramente l'essenza del confronto Fabio-Scipione:
«Perché, sendo venuto Annibale in Italia, giovane e con una fortuna fresca, ed avendo già rotto il popolo romano due volte; ed essendo quella repubblica priva quasi della sua buona milizia, e sbigottita, non potette sortire migliore fortuna, che avere un capitano il quale con la sua tardità e cauzione tenessi bada il nemico. Né ancora Fabio potette riscontrare tempi più convenienti a' modi suoi, di che ne nacque che fu glorioso. E che Fabio facessi questo per natura e non per elezione, si vide che, volendo Scipione passare in Africa con quegli eserciti per ultimare la guerra, Fabio la contraddisse assai come quello che non si poteva spiccare da' suoi modi e dalla consuetudine sua; talché, se fusse stato a lui, Annibale sarebbe ancora in Italia; come quello che non si avvedeva che gli erano mutati i tempi, e che bisognava mutare modo di guerra. E se Fabio fusse stato re di Roma poteva facilmente perdere quella guerra; perché non arebbe saputo variare, col procedere suo, secondo che variavano i tempi. Ma essendo nato in una repubblica dove erano diversi cittadini e diversi umori, come la ebbe Fabio, che fu ottimo nei tempi debiti a' sostenere la guerra, così ebbe poi Scipione ne' tempi atti a vincerla [32].»
Note
^E. Meyer, Kleine Schriften, II, Halle 1924, p.405 e sgg.
^ A proposito delle due differenti strategie si veda H.H. Scullar, Scipio Africanus, soldier and politician, Bristol 1970, pp. 109-110; B.H.Liddel Hart, Scipio Africanus: greater than Napoleon, London 1992, pp. 88 e sgg.
^P. Pinna Parpaglia, La rivoluzione romana, "Labeo" (26) 1980 p.343
^C. M. Bonnefond, Senato e conflitti di generazioni nella Roma repubblicana; l'angoscia dei "patres conscripti" in AA.VV. La paura dei padri nella società antica e medievale, Roma-Bari, 1983 p.80
^J.P. Neraudau, La jeunesse dans la litterature et les institutions de la Rome repubblicaine, Paris 1979, pp.358-366
^Y. Thomas, Paura dei padri e violenza dei figli: immagini retoriche e norme di diritto in AA.VV., p.83 e pp.115-140
^R.M. Haywood, Studies on Scipio Africanus, Baltimore 1905, pp.48-49
^Appiano, Han. 228-229. Secondo R. Ullmann, si tratta di un errore di Appiano (In La technique des discours dans Salluste, Tite Live et Tacite, Oslo 1927 p.118)