Durante la campagna presidenziale del 1976, il candidato democratico Jimmy Carter puntò molto sull'indice (ai tempi era intorno al 13,50), sostenendo come lui fosse il candidato ideale per risolvere le questioni economiche e sociali che l'alto livello dell'indice di miseria sottolineava. Nonostante le promesse elettorali, durante i quattro anni dell'amministrazione Carter l'indice continuò a salire, toccando il livello più alto mai raggiunto nella sua storia: 21,98. Nelle presidenziali del 1980 il repubblicano Ronald Reagan puntò molto su questo fallimento di Carter, riuscendo ad ottenere la presidenza degli Stati Uniti. Negli otto anni dell'amministrazione reaganiana l'indice calò vistosamente arrivando a 9,72, un livello che non toccava da inizio anni '70.
Critiche negative
La formulazione dell'indice, come semplice somma non pesata di due parametri disomogenei, ha ricevuto delle critiche negative. Uno studio del 2001, basato su ricerche condotte su larga scala in Europa e Stati Uniti, ha tratto la conclusione che la disoccupazione influenza in misura molto maggiore la percezione dell'infelicità rispetto all'inflazione. Ne consegue che l'indice di miseria di base sottovaluta l'infelicità attribuibile al tasso di disoccupazione, rispetto a quella attribuita all'inflazione: "le stime suggeriscono che la gente scambierebbe un punto percentuale di disoccupazione per un aumento di 1,7 punti del tasso di inflazione".[2]
Varianti
L'economista di Harvard Robert Barro creò nel 1999 il "Barro Misery Index" (BMI).[3] L'indice BMI prendeva la somma dell'inflazione e della disoccupazione, e aggiunge il tasso di interesse, più (meno) la previsione breve (surplus) tra PIL e la previsione di crescita.
Nei tardi anni 2000, l'economista della Johns HopkinsSteve Hanke applicò l'indice di Barro a diversi Stati degli USA.[4]
Hanke ha recentemente elaborato un indice mondiale World Table of Misery Index Scores.[5] Questa tabella include la lista di 89 nazioni, dalla peggiore alla migliore, con dati al 31 dicembre 2013.