Nei libri del Nuovo Testamento il nome usato maggiormente è Ἰησοῦς
(Iēsoûs, IPA: /gesu/ 917 volte[1]), che attraverso la mediazione del Iesus adottato dalla Vulgatalatina ha originato l'italiano "Gesù".
Il nome greco è la traslitterazione dell'aramaico (lingua correntemente parlata da Gesù e dai giudei palestinesi suoi contemporanei) יֵשׁוּעַ (Yēšūa' ), che è pertanto il 'vero nome' di Gesù.
La forma aramaica deriva a sua volta dall'ebraico יְהוֹשֻׁעַ (Yĕhošūa' ), che significa letteralmente "YH(WH) (è) salvezza"[2] (cf. Mt1,21[3]).
La Vulgata e le versioni moderne della Bibbia applicano il nome "Gesù" al solo Gesù di Nazaret, lasciando supporre che questi avesse un nome, per così dire, unico e speciale. In realtà il nome era comune: Giosuè, successore di Mosè nella guida del popolo ebraico e protagonista dell'omonimo libro, aveva lo stesso nome di Gesù (יְהוֹשֻׁעַ nel testo masoreticoebraico, Ἰησοῦς nella traduzione greca dell'Antico Testamento della Settanta), come anche altri personaggi dell'Antico Testamento (un sommo sacerdote, cf. Zac3,1;3,8-10;Esd3,2-9;6,14-17[4]; un certo Giosuè di Bet-Semes, cf. 1Sam6,14.18[5]; un governatore di Gerusalemme, cf. 2Re23,8[6]). Nel Nuovo Testamento viene citato tale "Gesù, chiamato Giusto", compagno d'opera di Paolo di Tarso Col4,11[7].
Giuseppe Flavio nei suoi scritti cita una ventina di uomini chiamati "Gesù", quattro dei quali erano gran sacerdoti, e almeno dieci vivevano nel primo secolo.[senza fonte]
Gli appellativi sono elencati secondo il numero di ricorrenze.
"Cristo" (Xριστός, Christòs) compare nel Nuovo Testamento complessivamente 529 volte[1] (p.es. Mt1,1[8]), spesso unito al nome proprio Gesù (Gesù Cristo). Il sostantivo, o meglio aggettivo sostantivato, deriva dal verbo χρίω, "ungere", e significa dunque letteralmente "unto". Ha lo stesso significato del termine ebraico מָשִׁיחַ (mašíaḥ, "unto"), dal quale deriva l'italiano messia.
Il significato di questo titolo onorifico, che nella sua traduzione letterale (unto) può sembrare curioso, deriva dal fatto che nell'antico Israelere, sacerdoti e profeti (p.es. 1Sam16,13;Es29,7;Is61,1[9]) venivano solitamente scelti e consacrati tramite un'unzione, o meglio profumati con unguenti aromatici (nell'antichità i profumi erano a base di olio, mentre attualmente sono a base di alcool). La traduzione formale (cioè a senso) del termine è dunque "eletto", "scelto", "consacrato".
All'epoca di Gesù il Cristo-Messia era l'inviato di Dio atteso dal popolo ebraico, dal quale ci si aspettava in particolare il riscatto sociale e politico dalla dominazione romana.
"Signore" (Kyrios, in greco antico: Κύριος) è applicato a Gesù 125 volte,[1] soprattutto in Atti e nelle Lettere (vedi per esempio in Gv13,13-14;At15,26[10]). Altre 2 volte il termine appare nella traslitterazione dell'originario aramaico "mara" (1Cor16,22;Ap22,20[11]). Spesso è unito all'aggettivo "nostro", che ha generato l'espressione cristiana stereotipata "nostro Signore Gesù Cristo".
Il titolo onorifico, nel greco classico privo di valore religioso, è particolarmente significativo applicato a Gesù in quanto è il termine col quale la traduzione greca della Settanta rende il prototermine masoreticoebraicoיהוה (Yahweh), cioè il nome proprio di Dio.
Secondo alcuni studiosi tuttavia il termine sarebbe un comune titolo onorifico, senza una precisa connessione con la divinità. In particolare, Géza Vermes ha sostenuto che "Signore" fosse un titolo di rispetto per un maestro, in quanto in molti passi neotestamentari è possibile sostituire a "Signore" il titolo "maestro", senza cambiare il significato della frase.[senza fonte]Anche secondo Paul J. Achtemier il titolo, applicato a Gesù, non richiama la sua divinità ma la sua messianicità[senza fonte] (vedi Sal110,1;At2,34[12]).
Un titolo che Gesù applica spesso riferendosi a se stesso è Figlio dell'uomo (υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου, yiòs tù anthròpu), dove "uomo" indica l'essere umano, non il maschio (il greco usa ἀνήρ, anèr). Ricorre 84 volte[13] (per esempio in Mt16,13[14]).
L'espressione nella sua traduzione letterale può sembrare curiosa e ridondante: ogni essere umano è figlio di un essere umano. Tuttavia nella tarda tradizione ebraica (vedi l'espressione aramaica בר נשא, bar nasha), nella quale si inserisce il Nuovo Testamento, l'espressione aveva una forte connotazione messianico-escatologica (cfr. Dan7,13-14[15]).[senza fonte]
L'espressione sta a sottilineare la natura umana di Cristo, figlio di un altro essere umano.
L'espressione figlio dell'uomo è presente anche nei Libro dei Salmi e in Ezechiele.
Il titolo onorifico ebraico Rabbi (conservato ad esempio nell'italiano Rabbino) e il suo sinonimo indicante confidenza Rabbuni indicavano un esperto della Sacra Scrittura. La radice ebraica רַב (rab, letteralmente molto, grande) lo rende affine al termine maestro (dal latino magister, letteralmente più grande).
In Mt23,1-10[21], Gesù critica i farisei e gli scribi per le loro vanterie e la loro mancata osservanza della morale e del buon comportamento, affermando che il titolo di Rabbi può essere attribuito solo a Dio e al Cristo. Secondo il talmudistaShmuel Safrai, Gesù era un rabbino nel senso accademico della parola e, sebbene non vedesse di buon occhio i farisei, raccomandava comunque ai suoi ascoltatori di comportarsi come essi insegnavano, quindi di mettere in pratica i loro insegnamenti[22].
Gesù è detto "Figlio di Dio" (υἱὸς τοῦ θεοῦ, uiòs tù theù, oppure θεοῦ υἱὸς, theù uiòs) o "dell'Altissimo" (ὕψίστου, hipsìstu), per un totale di 52 volte,[23] come ad esempio in Mc15,39[24].
Nell'Antico Testamento l'espressione indica una relazione stretta e indissolubile tra Dio e un uomo o una comunità umana.[25] Nel Nuovo Testamento il titolo si riveste di un nuovo significato, indicando una filiazione vera e propria (v. Lc1,26-38[26]).
Gesù viene detto "Re" (βασιλεύς, basilèus), "Re dei Giudei" (βασιλεύς τῶν Ἰουδαίων, basilèus ton Iudàion), "Re d'Israele" (βασιλεύς Ἰσραήλ, basilèus Israèl), "Re dei re" (βασιλεύς βασιλέων, basilèus basilèon) per un totale di 35 volte, soprattutto nei racconti della passione,[27]) e Figlio di Davide (υἱός Δαυὶδ, uiòs Davìd) altre 12 volte.[28]
L'attributo della regalità era correlato al Messia atteso dagli Ebrei, che era considerato discendente ed erede del Re Davide. Gesù, pur identificandosi come Messia, non si è però attribuito le prerogative politiche che questo comportava (vedi Gv6,15;18,36[29]).
Oltre a questi passi espliciti sia Matteo (Mt1,1-1,16[30]) che Luca (Lc3,23-38[31]) riportano una genealogia dettagliata che, sebbene risulti discordante (vedi Genealogia di Gesù), ha l'intento di attribuire a Gesù una discenza davidica e dunque regale e messianica.
"Profeta" (προφήτης, profètes) è applicato a Gesù 15 volte.[32]
Ad esempio il termine viene usato nel racconto in cui Gesù appare ai discepoli a Emmaus nel vangelo secondo Luca capitolo 24.
Il titolo nell'Antico Testamento, sul quale si innesta il Nuovo Testamento, indica una persona chiamata da Dio per parlare a suo nome di fronte al popolo, talvolta prevedendo eventi futuri.
Il titolo nell'Antico Testamento, sul quale si innesta il Nuovo Testamento, indica l'uomo sacro abilitato per nascita a svolgere i riti religiosi dedicati a Dio, essendo così un intermediatore tra Dio e il popolo.
In Vangeli e AttiGesù è chiamato 13 volte[34] "Nazoreo" (ναζωραῖος, nazoràios). Al sostantivo sono stati attribuiti diversi significati:[35]
l'interpretazione data all'interno dello stesso Nuovo Testamento (vedi Mt2,23[36]) è che si riferisca alla città di Nazaret, dunque che equivalga a 'Nazareno' o 'di Nazaret', e per questo la Vulgata e diverse traduzioni moderne (vedi Bibbia CEI) lo rendono in tal senso.
è possibile che oltre a indicare una variante indicante gli abitanti di Nazareth venga appositamente per questo utilizzato come neologismo dall'autore il quale unisce le due parole ναζ(consacrato, prende la stessa radice di ναζιραίος, nazireo) e ωραῖος(tempo opportuno, tempo maturo[37]) che letteralmente significherebbe il consacrato del tempo opportuno, parafrasandolo: il Cristo che ha adempiuto, portato a pienezza, le profezie dei profeti nei tempi prescritti(Gesú il Nazareno/Nazoreo)
è possibile che il termine non abbia un valore geografico ma indichi che Gesù era un nazireo, cioè avesse fatto uno speciale voto di consacrazione chiamato nazireato.[38] Una conferma indiretta si troverebbe nella Sindone che, se autentica, mostrerebbe Gesù con i capelli lunghi, caratteristica non comune che contraddistingueva appunto i nazirei. Di contro, nella Settanta il nazireo è reso in greco con ναζιραίος (naziràios, 1Mac3,49[39]) o ναζιρ (nazir, Gdc13,5[40]), non col neotestamentario ναζωραῖος (nazoràios).
secondo una terza teoria, "Nazareno" era il titolo corrispondente al livello di Maestro presente all'interno della comunità degli Esseni. Tale teoria si basa sullo studio dei rotoli del Mar Morto, ritrovati presso Qumran nel 1946.[senza fonte]
secondo altre teorie dei padri della Chiesa Matteo si riferirebbe a una profezia non pervenutaci
Per 4 volte[41] Gesù viene detto "di/da Nazaret" (από/ὲκ Ναζαρέτ/Ναζαρέθ, apò / ek Nazarèt), e altre 6 volte[42] è detto "Nazareno" (ναζαρηνός, nazarenòs, nella VulgataNazarenus) o, secondo alcuni ne costituisce una variante di Nazareno, Nazoreo (ναζωραῖος, nazoràios) usato 13 volte[34]) . Secondo la tradizione cristiana, l'espressione e l'aggettivo sono riferiti alla città di origine di Gesù, Nazaret. Una minoranza di studiosi tuttavia contesta che la città di origine di Gesù fosse Nazaret.[senza fonte]
Dio (Θεός, Theòs), nel Nuovo Testamento, è attribuito a Gesù 7 volte, di cui 4 esplicitamente[43] e 3 tramite perifrasi[44].
Sulla base di questi passi e della predicazione apostolica, la tradizione cristiana, a partire dal Concilio di Nicea del 325, ha dichiarato la consustanzialità di Gesù Figlio a Dio Padre.
Secondo alcuni esegeti cristiani[45] anche l'esclamazione di Gesù "Io Sono" (vedi Mc14,62;Gv8,24;8,58;18,5[46]), riecheggiante Es3,14[47], è un'implicita autoidentificazione di Gesù con Dio.
Un altro passo dove Gesù viene identificato con Dio, lo si può trovare nel vangelo secondo Giovanni capitolo 20 al versetto 28 dove Didimo vedendoLo risorto esclama: "mio Signore e mio Dio".
Verbo (λόγος, lògos, 6 volte negli scritti giovannei[48]). Il sostantivo greco, fortemente polisemico (parola, ragione, calcolo, ragion d'essere), quando ha valore di nome proprio riferitamente a Gesù viene reso in alcune traduzioni (cfr. Bibbia CEI) con "Verbo", calco del latinoVerbum della Vulgata.
Figlio di Giuseppe (υἱὸς Ιωσήφ, uiòs Iosèf, 4 volte[49]). Secondo i vangeli però tale legame non era carnale (vedi Mt1,20;1,25;Lc1,34[50]) ma solo 'putativo', cioè la figliolanza era reputata tale dai contemporanei (vedi Lc3,23[51]).
In Mt1,23[52] l'"angelo del Signore", rivolto a Giuseppe, chiama il figlio che sta per nascere Emmanuele (Εμμανουήλ), traslitterazione dell'ebraico עִמָּנוּאֵל ('Immanuèl), letteralmente "con-noi-Dio". Il passo rappresenta l'adempimento dell'oracolo messianico di Is7,14[53].
^Mt23,1-10, su La Parola - La Sacra Bibbia in italiano in Internet.
^"[...] Gesù appartiene al mondo dei rabbini, per nascita, educazione, conoscenza della Torah. [...] Ingiunge alla folla e ai suoi discepoli di seguire le prescrizioni degli scribi e dei farisei. [...] Ma raccomanda di non comportarsi come loro. [...] Gesù si sottopone addirittura al rito tradizionale del mezzo siclo che i giudei erano obbligati a dare ogni anno per il tempio. [...] La tradizione del mezzo siclo, è un'innovazione dei farisei. Essa non era praticata né dai sadducei né dagli esseni, il che indica che Gesù è vicino ai farisei. Non sappiamo ugualmente, se i sadducei e gli esseni si recavano alla sinagoga, e nemmeno se praticavano lo stesso genere di rituale dei farisei. In ogni caso, le pratiche di Gesù in materia, il fatto di recarsi di sabato in sinagoga, di leggere la Torah e poi un brano dei Profeti e di assistere a un sermone, corrispondono piuttosto agli usi e costumi dei farisei, così come risultano dalle fonti rabbiniche". Tratto da Rabbi JeshuacArchiviato il 16 dicembre 2013 in Internet Archive., ebraismoecristianesimo.it