Nato da una famiglia di mafiosi, alto, magro e dalle maniere eleganti ma allo stesso tempo spietato, Torretta scalò poco a poco le gerarchie di Cosa Nostra da semplice picciotto a capocosca del quartiere Uditore di Palermo.[2]
All'inizio degli anni '60 Torretta si alleò con i fratelli Angelo La Barbera e Salvatore La Barbera per prendere il controllo di tutta Palermo (i fratelli La Barbera erano specializzati nella speculazione edilizia ed erano in lotta con i cugini Greco, dediti al traffico di droga).[2] Divenne un fedelissimo del boss Michele Cavataio, che riuscì a mettere uno contro l'altro i due schieramenti.[3][4]
Si scatena la prima guerra di mafia che si conclude con la strage di Ciaculli, di cui Torretta viene all'inizio sospettato di essere pure l'autore ma venne prosciolto da ogni accusa.[3] Arrestato nel febbraio 1964, viene rinviato a giudizio nel maggio 1965[1] a Catanzaro, in quello che sarebbe stato noto come il processo dei 117.
Scaduti i termini della custodia cautelare e dietro il pagamento di una cauzione, viene rilasciato in libertà vigilata e confinato dal maggio 1970 tramite il soggiorno obbligato a Cittadella, nel padovano. In quella che era all'epoca una prassi giudiziaria tipica per i mafiosi, le foto di Torretta tranquillamente a passeggio per la cittadina - pubblicate su un numero di giugno 1970 da La Domenica del Corriere - desteranno comunque un certo scalpore.[5]
Trasferito successivamente all'Asinara, vi morirà nel 1975 senza aver mai scontato (per motivi di salute) varie condanne che gli erano state comminate anni prima.