«Durante le riprese, la violenza significa amore e armonia. Durante le riprese dei miei film, nessuno si è ferito gravemente. La cosa curiosa è che più l'amore è grande, più aumenta la violenza. Ultimamente ho il dubbio che proprio dall'amore nasca la violenza. In altre parole, sono la stessa cosa.»
Al liceo, Miike divenne un assiduo giocatore di pachinko e sognava di divenire un motociclista.[4] Dopo aver conseguito il diploma, ascoltò alla radio una pubblicità riguardante la Yokohama Eiga Semmon Gakkō, vale a dire la scuola di cinema e televisione di Yokohama, fondata, tra gli altri, dal celebre regista Shōhei Imamura.[4]
A proposito poi di questo periodo della sua vita, Miike ha spesso sostenuto di non essersi mai applicato più di tanto allo studio e di avere seguito molto raramente i corsi dell'istituto, a cui peraltro pare si fosse iscritto unicamente poiché tale scuola non prevedeva alcun esame d'ammissione, decidendo perciò d'abbandonarla dopo una sola settimana di frequentazione e trovando poi lavoro presso un night club frequentato da soldatistatunitensi di stanza nel Paese[4]; altre fonti, però, mettono in dubbio ciò ch'è sostenuto dal regista, facendo notare come risulti comunque il conseguimento della laurea presso la prestigiosa scuola[6].
Successivamente, Miike iniziò a lavorare come assistente volontario per una serie televisiva, intitolata Black Jack.[4] Miike lavorò per la televisione per dieci anni, fino ad essere promosso aiuto regista.[4] Nel 1987 ebbe il suo primo lavoro per il cinema, divenendo terzo assistente alla regia di Il mezzano, diretto dallo stesso Imamura.[4] Miike lavorò anche per altri registi, tornando a lavorare con Imamura in Pioggia nera, che segnò anche il suo debutto in veste di attore.[4]
Il V-Cinema
Dopo le esperienze televisive e quelle come aiuto regista, Miike era pronto per dirigere un film. L'esordio avvenne nel 1991, con il film d'azioneEyecatch Junction, realizzato per il V-Cinema, ovvero direttamente per il mercato home video.[4] Lo stesso anno, Miike fu scelto per sostituire il regista Toshihiko Yahagi nella regia di Lady Hunter che, pur uscendo due mesi dopo Eyecatch Junction, è considerato il suo vero esordio.[5] Miike iniziò quindi a dirigere film ad un ritmo frenetico, realizzando in media cinque-sei pellicole all'anno, specializzandosi nel genereYakuza film, raccogliendo così l'eredità lasciata dai grandi registi del genere quali Kinji Fukasaku e Seijun Suzuki.[2]
Il film che lo rivelò definitivamente al di fuori del Giappone fu Fudoh: The New Generation,[2] diretto nel 1996, che vinse nel 1998 due premi al Fantasporto.[7] Lo stesso anno, il regista giapponese iniziò a dirigere molti film, amalgamando vari formati e generi, e girando sequenze splatter anche nei film non horror.
I film sulla yakuza
Nel 1997 Takashi Miike diresse due film che trattano della yakuza: Full Metal Yakuza, contaminato con la fantascienza, e Rainy Dog. Il regista si specializzò in questo genere, mettendo in scena yakuza vecchi ormai stanchi, soppiantati da una nuova generazione (come in Fudoh: The New Generation).[2]
Ley Lines, ultima parte della Black Society Trilogy, è un'opera triste e drammatica con tinte noir che tratta la tematica della fuga dal Giappone per un mondo e una vita migliori. Audition è considerato uno dei suoi migliori (e anche più disturbanti) film,[2] e ha vinto dei premi in festival europei quali il Festival di Rotterdam.[8]MPD Psycho è una miniserie televisiva horror-splatter composta da sei episodi, tratta dall'omonimo manga scritto da Eiji Ootsuka e disegnato da Shōu Tajima. Dead or Alive è il primo film di una trilogia anomala, in quanto composta da tre film legati tra di loro soltanto dal regista e dagli attori protagonisti, le star del V-Cinema Shō Aikawa e Riki Takeuchi, mentre le trame sono totalmente differenti.
Nel 2004 Takashi Miike diresse un altro celebre regista giapponese, Takeshi Kitano, in IZO, uno dei suoi film più sperimentali e nel 2005 diresse il suo primo film statunitense, Sulle tracce del terrore, episodio della serie televisiva Masters of Horror. Per il contenuto violento ed estremo delle immagini e per i temi trattati (pedofilia, aborto, incesto e stupro) è stato l'unico episodio della serie ad essere censurato e ad approdare direttamente in DVD, senza essere trasmesso in televisione.[2]
«Quando mi hanno contattato per “Masters of Horror”, mi hanno detto più o meno “l'America è un paese libero, puoi fare quello che vuoi”, ma alla fine non hanno neanche mandato in onda l'episodio.»
Nel 2009 uscì Yattaman, tratto dalla celebre serie animata e nel 2010 13 Assassini, un jidai-geki remake dell'omonimo film del 1963 diretto da Eiichi Kudo. Entrambi i film vennero distribuiti anche in alcune sale cinematografiche italiane, cosa quasi mai successa con le produzioni del regista.
Nel 2014, venne premiato con il Maverick Director Award durante la nona edizione del festival internazionale del film di Roma, in occasione della proiezione in prima mondiale del suo film, Kami-sama no Iu Toori(As the Gods Will). Marco Müller, il direttore del festival, ha così commentato la scelta:
«Per la potenza sempre rinnovata dell'immaginazione creativa e il coraggio delle idee, Miike Takashi è un cineasta assolutamente fuori dalla norma. Ogni suo film è una corsa scatenata dentro un immaginario visionariamente poetico e sorprendentemente politico. Il senso del cinema e il piacere di filmare erano evidenti già dai suoi primi lavori (opere straight-to-video e film a piccolo budget); hanno potuto insinuarsi senza sforzo anche dentro la sua attuale velocità creativa (tre-quattro film all'anno), così che il suo stile si impone ogni volta, anche negli adattamenti dai manga di successo e nei film di commessa calibrati per diventare blockbuster (dai quali emergono momenti di straordinaria concentrazione figurativa). Prolifico, nomade, versatile, ostinato, perturbante (e a volte malinconico), Miike ha attraversato tutti i generi: quando li ha fatti deflagrare è stato per meglio ricomporli in mix imprevedibili. Sempre spiazzante (anche quando conosci la fonte o il soggetto, sarai sorpreso dalla direzione che prendono le immagini), Miike è probabilmente il meno accomodante fra tutti i registi maverick contemporanei.»
Stile e tematiche
Takashi Miike è noto per i suoi film estremamente violenti e inquietanti, pregni di sequenze splatter e di bizzarre perversioni sessuali, sebbene il sangue sia sempre trattato in modo ironico.[2] Nonostante questo, nella sua sterminata e eclettica filmografia non mancano opere dedicate al pubblico più giovane come Zebraman, The Great Yokai War, Yattaman o Ninja kids!!!
«Credo che i bambini, in ogni parte del mondo, siano sempre gli stessi e amino le stesse cose, come i mostriciattoli dai grandi sorrisi. La cosa che però mi ha sempre maggiormente interessato in questo tipo di pubblico è quanto sia, ovviamente, più impressionabile.»
(Takashi Miike)
Molti suoi film trattano del mondo della yakuza, dell'amicizia virile e della famiglia giapponese.[2] La tematica principale è quella riguardante la mancanza di radici dei suoi protagonisti.[12] Spesso nei suoi film sono presenti uomini e donne di diverse nazionalità: immigrati brasiliani in Giappone, giapponesi in esilio a Taiwan, sud-coreani in trasferta in Giappone, od i cosiddetti zanryu koji, ovverosia individui giapponesi nati da famiglie d'espatriati ristabilitisi in Giappone. La condizione di persona senza radici spinge il personaggio a divenire un fuorilegge e ad essere rifiutato dalla società.[12] Unica possibilità è quindi l'affiliazione alla yakuza o il sogno di una fuga quasi sempre impossibile.[12]
I film di Miike non hanno quasi mai un lieto fine, e narrano appunto di fughe impossibili, di individui senza una famiglia che se ne costruiscono una propria, unendosi ad altri individui reietti e rifiutati dalla società, come le prostitute o i bambini rifiutati dalle madri.
Altri dei temi trattati nel suo cinema sono il rapporto tra violenza, dolore e amore, la ricerca della felicità, l'inesistenza di un bene o di un male assoluti, la ciclicità della vita (rinascita e reincarnazione), l'omosessualità e le assurde e limitanti comuni istanze sociali e tradizioni giapponesi.
Per quanto riguarda lo stile filmico, Miike adotta un montaggio pieno di tagli veloci mischiati a piani sequenza che precedono e in alcuni casi seguono le scene iperviolente.[13] Il regista usa in molti film un incipit lungo, dotato di un montaggio veloce simile ai videoclip, con una musica frenetica, che presenta un numero esagerato di avvenimenti e presenta tutti i personaggi del film.[13] Questa tecnica è adottata soprattutto in film quali Shinjuku Triad Society, Dead or Alive e The City of Lost Souls. Le sequenze finali si ricollegano in alcuni casi all'incipit, e alcuni film terminano con soluzioni incredibili,[13] come Dead or Alive, Dead or Alive: Final e Gozu.
Una delle sequenze ricorrenti nei suoi film è quella riguardante delle macchie di sangue che sporcano e in alcuni casi inondano l'obiettivo della macchina da presa.[13]
Nel 2013, per il sito filmmakingmagazine.com, il regista dichiara i suoi 10 personali consigli verso tutti i cineasti coinvolti nella realizzazione di un film:[14]
Un film è guidato dai suoi personaggi, non dai suoi effetti speciali.
Individuate le immagini che guideranno la vostra storia.
Anche i cattivi devono essere facilmente riconoscibili.
Lasciate che il vostro entusiasmo brilli attraverso lo schermo.
Non disperatevi per la mancanza di fondi o risorse. Siate creativi.
Ogni generazione impara da ciò che mancava in quella precedente.
Raccontate la storia che è dentro di voi, senza dare troppa importanza al soggetto da cui si parte.
Critiche
Una delle critiche maggiori fatte a Takashi Miike riguarda la sua presunta misoginia. Spesso i suoi film infatti mostrano terribili sequenze di stupri e pestaggi ai danni di donne inermi. Ma in vari film il regista contraddice questa critica, come in Visitor Q dove mette in scena una famiglia che da patriarcale si rivela infine matriarcale[2], o in Audition dove è una donna a torturare vari uomini.
^ab Dario Tomasi (a cura di), «Più grande è l'amore, più aumenta la violenza». Intervista a Miike Takashi in Anime perdute. Il cinema di Miike Takashi, Torino, Il Castoro cinema, 2006, p. 174-182, ISBN88-8033-371-2.
^abcdefghijklm Autori vari, Dossier Nocturno n.38. Il fantasma della libertà. Il cinema extremo di Miike Takashi, Milano, Nocturno Cinema, settembre 2005.
^abcdefghijk Mark Schilling, Storia di un uomo tranquillo. Sull'autobiografia di un regista in Anime perdute. Il cinema di Miike Takashi, Torino, Il Castoro cinema, 2006, pp. 23-46, ISBN88-8033-371-2.
^abcBiografia, su asianfeast.org. URL consultato il 28 giugno 2009 (archiviato dall'url originale il 17 novembre 2008).
^Mes, Tom. Agitator: The Cinema of Takashi Miike. Godalming: FAB Press, 2003. ISBN 1-903254-21-3. p. 15.
^Sukiyaki Western Django, su asianfeast.org. URL consultato il 28 giugno 2009 (archiviato dall'url originale il 4 maggio 2009).
^abc Maria Roberta Novielli, Erranza, multiculturalità e assenza di confini in Anime perdute. Il cinema di Miike Takashi, Torino, Il Castoro cinema, 2006, pp. 86-96, ISBN88-8033-371-2.
^abcde Marco Dalla Gassa, Lo spillo nell'occhio. La violenza e le sue "forme" in Il cinema di Miike Takashi, Torino, Il Castoro cinema, 2006, pp. 111-135, ISBN88-8033-371-2.