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La Villa Medicea del Poggio Imperiale si trova sul colle di Arcetri, sul sistema del Viale dei Colli a Firenze. Originariamente era una villa medicea chiamata di Poggio Baroncelli, anche se oggi è la villa medicea dall'aspetto meno rinascimentale, legata soprattutto al periodo barocco (per molte decorazioni interne) e neoclassico (per l'architettura e altri decori).
La Villa è una delle poche ville medicee aperta al pubblico come museo, ogni domenica mattina (fuori vacanze scolari).
Il nome di "Poggio Baroncelli" deriva dal nome dei primi proprietari della villa, i Baroncelli. Posta fuori dalle mura, tra ampi poderi, ebbe qui luogo il duello tra Ludovico Martelli e Giovanni Bandini: all'epoca dell'assedio di Firenze (1529-30) il primo accusò infatti di tradimento il Bandini, che aveva preso la parte degli assedianti, ma pare che il vero motivo di fondo fosse l'amore conteso per l'avvenente Marietta de' Ricci. Lo scontro avvenne il 5 marzo 1530[1], e vide accanto a ciascun sfidante un accompagnatore: Dante da Castiglione per il Martelli (che pare sellasse il formidabile cavallo dell'ambasciatore veneto, morto poco tempo dopo per una palla di cannone e ricordato da una targa ancora esistente in piazza dei Giudici), e Bertino Aldobrandini per il Bandini. I quattro si sfidarono in vesti leggere, senza corazza, né scudo, né elmo. L'amico del Bandini morì per le ferite inflittegli dal Da Castiglione, ma il Bandini si vendicò riducendo in fin di vita il Martelli[2].
Il Seicento: Maria Maddalena d'Austria e Giulio Parigi
Dopo qualche passaggio di proprietà, nel 1618 pervenne a Maria Maddalena d'Austria, sorella dell'imperatore asburgico Ferdinando II d'Asburgo, la quale aveva sposato il futuro granduca Cosimo II de' Medici nel 1608 ed era arrivata a Firenze nell'ottobre di quell'anno. La villa venne accessoriata di altri terreni che ne ingrandirono la tenuta e tra il 1622 e il 1625 fu completamente ristrutturata dall'architetto Giulio Parigi, che raddoppiò verso est il corpo della villa e creò una nuova facciata con una loggetta all'ultimo piano e chiusa ai lati da due basse ali terrazzate.
Dalle ali laterali si dipartiva uno scenografico emiciclo con una balaustra ornata da statue. Al centro del piazzale così delimitato, su un prato, venivano allestite feste e spettacoli all'aperto. Sono rimaste in questa collocazione oggi solo le due statue principali, che decorano l'ingresso monumentale su due massicci piedistalli: Giove saettante di Felice Palma (1612 circa) e Ercole che sorregge il cielo di Vincenzo de' Rossi (1565).
Per raccordare la villa alla città fu creato un lungo viale rettilineo monumentale, che taglia tuttora il colle di Monticelli arrivando fino a Porta Romana, allora "porta San Pier Gattolino". Questo viale era delimitato da un bosco di cipressi, mentre all'imboccatura inferiore esistevano quattro grandi peschiere con sculture e insegne araldiche, che vennero rimosse nel 1773. Nel 1624 prese il nome di Poggio Imperiale per rimarcare le nobili origini della granduchessa Maria Maddalena che vi soggiornava.
Fu decorata all'interno da Matteo Rosselli e aiuti, con temi legati alla casata d'Austria e alle eroine bibliche, su specifica richiesta della granduchessa, e queste opere sono ancora tra i capolavori di questo artista.
Con l'arrivo dei Lorena la villa viene ulteriormente potenziata, in quanto allo stesso tempo vicina alla città e salubre per la villeggiatura estiva o autunnale dei granduchi.
Con il granduca Pietro Leopoldo si ebbero alcuni lavori ad opera di Gaspare Maria Paoletti, che creò i cortili interni al posto dei giardini murati, fece le scuderie e riarredò gran parte delle sale, con decori a stucco dei fratelli Grato e Giocondo Albertolli, vedute marine di Antonio Cioci e scene galanti di Gesualdo Francesco Ferri e altre pitture di Filippo Tarchiani. Furono inoltre importate dall'oriente tappezzerie, carte e stoffe indiane e cinesi, che ancora oggi danno un tocco esotico a alcune sale. Qui il granduca amava risiedere in un appartamento al piano terreno: nel suo studio firmò l'abolizione della tortura e della pena di morte.
Il 2 aprile 1770 il giovane Wolfgang Amadeus Mozart tenne l'unico concerto a Firenze nella villa con il violinista Pietro Nardini, come ricorda una targa nel portico d'ingresso. Suonò in una piccola stanza accanto al Salone delle Feste (chiamata ora "Sala di Mozart" e usata come camera per le ragazze del convitto e quindi impossibile da vedere) su un clavicembalo purtroppo impossibile da vedere per ragioni di sicurezza (è molto antico e c'è il rischio che perda il suo colore se viene esposto).
Il portico centrale venne sormontato da una loggia con cinque arcate e un timpano con orologio, mentre al posto delle due ali barocche vennero eretti due massicci avancorpi con portici. Con la ristrutturazione settecentesca erano andate perdute numerose cappelle, per questo si provvide a edificare nel braccio di sinistra una nuova cappella, chiamata della Santissima Annunziata: divisa in tre navate e con tribuna semicircolare, conserva la sua decorazione settecentesca con le statue di Francesco Carradori e delle Virtù nelle nicchie, fregi in stucco di Bertel Thorvaldsen raffiguranti episodi biblici sulle pareti e sul soffitto una decorazione a tempera di Francesco Nenci con l'Assunzione della Vergine.
Con il trasferimento della capitale d'Italia Firenze e i lavori di riordino urbanistico della città, la villa si trovò all'interno della zona dei Viali dei Colli, tracciati da Giuseppe Poggi. Dal 1865 divenne educandato femminile della Santissima Annunziata (trasferito dall'ex-monastero della Santissima Concezione in via della Scala) e oggi ospita ancora la stessa scuola, diventata poi istituto secondario di I e II grado e aperta a studenti di entrambi i sessi. All'interno conserva anche un piccolo museo con collezioni scientifiche d'epoca.
Ambienti interni
L'unica parte antica rimasta della villa di Poggio Baroncelli è il cortile quadrato che si incontra subito dopo l'ingresso, nucleo originario della primitiva villa. Attorno alle luminose aperture ad arco, chiuse da vetrate, si estendono quattro corridoi decorati da busti antichi inseriti in cornici, nicchie e volute di epoca settecentesca. Questa significativa collezione di sculture fu portata a Firenze da Vittoria della Rovere, ultima erede dei duchi d'Urbino.
Al piano terra spicca l'appartamento dei granduchi, affrescato da Matteo Rosselli nelle lunette e nelle volte, e completato da grottesche e altre raffigurazioni nei secoli successivi. Seguono alcune sale neoclassiche e l'appartamento di Pietro Leopoldo, con affreschi, tra gli altri, di Traballassi. Il grande salone del refettorio, con affreschi di Francesco Corallo, venne commissionato da Vittoria Colonna come sala dell'Udienza, e realizzato tra il 1681 e il 1682.
Al primo piano l'ambiente più importante è lo scenografico salone delle Feste, edificato tra il 1776 e il 1783 e decorato da stucchi in prevalenza di colore bianco.
Nell'adiacente quartiere cinese si trovano le quattro stanze decorate verso il 1775 con carte cinesi dipinte a mano, realizzate in rotoli nei laboratori di Canton specializzati in produzione per le esportazioni, allora molto fiorenti per la moda delle cineserie in Europa. Nei raffinati dipinti è rappresentato un mondo idealizzato e fiabesco, con fiori, uccelli esotici, scene quotidiane spesso mutuate dalla letteratura. Una quinta sala era originariamente rivestita da 88 quadretti (circa 20x30 cm ciascuno) con scene quotidiane e attività lavorative cinesi: provenienti forse da una serie in album, si trovavano in villa almeno dal 1784 e furono successivamente rimossi; oggi ne sono esposti una ventina in cornici dorate ed è in corso il loro restauro nella prospettiva di una risistemazione secondo la disposizione originaria.
La cappella della Santissima Annunziata
Nel 1820, dunque in pieno clima Restaurazione con Ferdinando III di Toscana, l'architetto Giuseppe Cacialli conclude i lavori per la cappella che pochi anni prima aveva commissionato Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone. Sulla facciata esterna, entro un loggiato che ospita due nicchie, appaiono le grandi sculture di Aronne e Mosé , rispettivamente scolpite da Gaetano Grazzini e Francesco Pozzi.
Dal vestibolo ovale che ospita una tela di Antonio Ciseri sull'altare (Annunciazione) e un rilievo con l'Adorazione dei pastori di bottega toscana, si entra così nell'elegante ambiente di gusto neoclassico. Composto da tre navate, è scandito da 12 colonne di finto marmo, a scagliola, in stile corinzio. Sulla volta del soffitto è la grande tempera con Assunzione della Vergine di Francesco Nenci (1823). Un fregio continuo, della bottega del Cacialli, di stucco corre per le pareti con scene bibliche. Nelle sei nicchie delle pareti compaiono le statue allegoriche della Fede (Ferdinando Fontana), della Carità (Luigi Magi – copia di un originale di Lorenzo Bartolini trasportato nella Galleria Palatina nel 1853), dell'Umiltà (Francesco Carradori), della Fortezza e della Purità (Stefano Ricci), della Speranza (Giovanni Guerrini). Sulla cantoria in controfacciata si trova l'organo a canne, costruito nel 1838 dall'organaro fiorentino Antonio Ducci, del quale è l'opus 43.
Fra le più pregevoli opere della Cappella è il paliotto di Bertel Thorvaldsen raffigurante gli Apostoli e Cristo che consegna le chiavi a san Pietro. Il paliotto è testimonianza del gusto internazionale che circolava nelle committenze della villa. Le incisioni della Via Crucis sono per la maggior parte di Luigi Sabatelli.