1963 è una canzone del gruppo rock-synthpopbritannicoNew Order, pubblicata originariamente come lato B di True Faith nel 1987 (entrambe apparse sull'antologia Substance dello stesso anno) e poi pubblicata come singolo a sé stante nel gennaio 1995 in un mix per la radio fatto dal collaboratore Arthur Baker.
In New Order Music 1981–89, il cantante e paroliere del gruppo Bernard Sumner raccontò di aver scritto il testo di 1963 sull' assassinio di John F. Kennedy, avvenuto proprio nel 1963, con un'impostazione tongue-in-cheek. Sumner di fatto immaginò che Kennedy avesse «ingaggiato Lee Harvey Oswald per sparare a sua moglie, per poter così sposare finalmente M. Monroe», che questa, dopo la morte del presidente a causa dell'errore del cecchino, si fosse suicidata per la disperazione (in realtà, Marilyn Monroe morì nel 1962, un anno prima del tragico evento) e che Oswald fosse stato successivamente ucciso dal suo capo per aver ammazzato un suo caro amico e business-man.[1]
Secondo il produttore Stephen Hague la composizione è unica nel suo genere, in quanto, pur trattando di un argomento molto pesante come la violenza domestica, è movimentata e ballabile.[2]
Versioni
La versione originale del 1987 finisce con la ripetizione in dissolvenza dell'ultimo verso del testo, dopo il ritornello: «I will always feel free». Invece il "94 album mix", caratterizzato da una nuova orchestrazione e incluso nella raccolta (The Best of) New Order sotto il nome di 1963-94, pur non differendo per struttura dal mix precedente, non ha l'outro, sostituito dalla semplice ripetizione del ritornello che va in fade.
Videoclip
Nel videoclip girato per 1963 (qui proposta nel suo "'95 Arthur Baker Radio remix"), diretto da Gina Birch e prodotto da Michael Shamberg,[3] si vede l'attrice comica Jane Horrocks che si sveglia in una scatola nel bel mezzo di un campo e incomincia a fare l'autostop per andare in città. Da notare che la sua valigia diventa sempre più grande man mano che il filmato procede.
^Michael H Shamberg Filmography, su galeriearnaudlefebvre.com, Galerie Arnaud Lefebvre. URL consultato il 10 settembre 2014 (archiviato dall'url originale il 10 luglio 2013).
^Ascap entry, su mobile.ascap.com. URL consultato il 10 settembre 2014 (archiviato dall'url originale il 15 gennaio 2016).