Banca Privata Finanziaria
La Banca Privata Finanziaria era una banca con sede a Milano, fondata nel secondo dopoguerra italiano da un agente di cambio milanese. StoriaPiccolo istituto con un solo sportello, nel 1960 la sua quota di maggioranza fu acquistata da Michele Sindona tramite la finanziaria con sede in Liechtenstein Fasco AG; soci di minoranza della Banca Privata Finanziaria furono inizialmente lo IOR, successivamente il gruppo bancario inglese Hambro e la banca statunitense Continental Illinois Bank. La Privata Finanziaria operava attraverso due soli sportelli, a Milano e a Roma. A partire dal 1973 le banche e le altre aziende del gruppo Sindona andarono incontro ad una profonda crisi che fece accelerare il ritiro dei depositi dalle banche stesse. Il controllo della Banca Privata Italiana (nata nel frattempo dalla fusione tra la Banca Privata Finanziaria e la Banca Unione) passò di fatto al Banco di Roma, suo maggior creditore; di fronte però ai rilievi effettuati dalla Banca d'Italia su irregolarità contabili riscontrate nella gestione delle banche di Sindona e al rifiuto delle altre banche di interesse nazionale di intervenire nella gestione della banca, la Banca Privata Italiana fu ammessa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa il 27 settembre 1974 e Giorgio Ambrosoli nominato suo commissario liquidatore; pochi giorni dopo la magistratura milanese emise il primo mandato di cattura per Michele Sindona. Vicende giudiziarieProcesso per la bancarotta della Banca Privata ItalianaSentenza di primo gradoLa sentenza di primo grado venne emessa il 13 luglio 1984[1] con le seguenti condanne, ridotte rispetto alle richieste della pubblica accusa (rappresentata dal PM Guido Viola)[2]:
Gran parte delle pene furono condonate o amnistiate e gli imputati furono inoltre condannati a pagare subito a titolo di risarcimento danni una provvisionale di due miliardi di lire ai liquidatori della Banca Privata Italiana e ai piccoli azionisti costituitisi parte civile[1]. Il 16 marzo 1985, venne emessa la sentenza riguardante la posizione dell'imputato principale, Michele Sindona, che venne condannato a 12 anni di carcere per il reato di bancarotta fraudolenta[3]; il risarcimento dei danni sarebbe stato stabilito in sede civile: Sindona fu condannato a pagare subito una provvisionale di due miliardi di lire ai liquidatori della Banca Privata e ai piccoli azionisti costituitisi parte civile[4]. Sentenza d'appelloLa sentenza d'appello per la bancarotta della Banca Privata Italiana venne emessa il 28 marzo 1989, con le seguenti condanne, dimezzate rispetto al primo grado ed in gran parte condonate[5]:
Note
Bibliografia
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