La pellicola vede protagonista Guido, un ebreo italiano che viene deportato insieme alla sua famiglia in un lager nazista e cerca di proteggere il figlio dagli orrori dell'Olocausto facendogli credere che tutto ciò che vedono sia parte di un gioco, in cui dovranno affrontare prove durissime per vincere un meraviglioso premio.
Alla sua uscita, in Italia incassò la cifra record di 92 miliardi di lire[2], divenendo il film italiano di maggiore incasso di sempre, oltre a essere una delle pellicole italiane più apprezzate e popolari nel mondo.[3] Oltre a essere l'opera che ha consacrato Benigni a livello internazionale, il film vanta anche numerosi primati: è il film italiano che ha incassato di più al mondo (230 milioni di dollari), il più premiato agli Oscar, il più visto al suo primo passaggio in TV su Rai 1 (oltre 16 milioni di spettatori e il 53% di share)[4] e uno dei film italiani di maggior incasso e successo in Italia, divenuto ormai un vero e proprio cult.[5]
Titolo
Il titolo del film venne inizialmente scelto dagli autori e dallo stesso Benigni per indicare l'imperturbabile volontà del protagonista di ricercare la felicità, anche nelle situazioni estremamente drammatiche. Fu poi il casuale ritrovamento delle due frasi «La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore» nel testamento di Lev Trockij,[6] e «Io pensavo che la vita fuori era bella, e sarebbe ancora stata bella, e sarebbe stato veramente un peccato lasciarsi sommergere adesso» di Primo Levi nell'opera Se questo è un uomo, a decretare quello come titolo definitivo.[7]
Trama
Italia, 1939. Guido Orefice è un allegro e giocoso giovane italiano di origine ebraica; trasferitosi dalla campagna toscana, si reca ad Arezzo con l'amico Ferruccio. Durante il tragitto, prima viene scambiato per il re Vittorio Emanuele III e poi incontra Dora, una giovane maestra elementare, a cui subito dà il soprannome di "principessa", innamorandosene. Arrivato in città, viene ospitato da suo zio Eliseo, maître del Grand Hotel, dove Guido inizia a lavorare come cameriere. Quello stesso giorno Guido, che vorrebbe aprire una libreria, si reca in municipio per presentare tale richiesta ed ha un litigio con Rodolfo, arrogante burocrate fascista, in seguito al quale entrambi si danno il soprannome di "scemo delle uova", perché Guido appoggia alcune uova nel cappello di Rodolfo, che gli si rompono sulla testa quando lo indossa.
Un giorno Guido, incontrando nuovamente Dora, scopre che è fidanzata con Rodolfo. All'hotel, il protagonista fa anche amicizia con il dottor Lessing, un medico tedesco appassionato, come lui, di indovinelli. Saputo che un ispettore scolastico ospite dell'hotel è convocato il giorno dopo nella scuola elementare dove insegna Dora per una lezione antropologica, trova uno stratagemma per sostituirsi a costui pur di incontrare l'amata. Il vero ispettore arriva quando la lezione ha già ridicolizzato l'obiettivo iniziale e Guido, fuggito poi da una finestra, ha raggiunto il suo scopo. Una sera Dora va a teatro con Rodolfo e i suoi amici: Guido la segue e, con un altro stratagemma, la porta via dal fidanzato e fanno una passeggiata insieme. Mentre la accompagna a casa sua, Guido le confessa infine il proprio amore per lei. Qualche sera dopo, proprio al Grand Hotel, Rodolfo è in procinto di festeggiare il fidanzamento ufficiale con Dora, la quale non è mai stata veramente innamorata di lui, ma costretta al connubio dalla madre: la donna quindi decide di contraccambiare i sentimenti di Guido e gli chiede di portarla via al termine della serata. Guido entra nel ristorante sul cavallo bianco dello zio Eliseo, incurante del fatto che sul dorso dell'animale qualcuno ha scritto "Achtung cavallo ebreo" (è già incominciata infatti la discriminazione razziale), e scappa con Dora, mentre a Rodolfo cade e si rompe in testa un ennesimo uovo, stavolta un grande uovo di struzzo etiope coloniale. Guido e Dora si sposano ed hanno un figlio, Giosuè.
1944. L'Italia è nel pieno della seconda guerra mondiale e del periodo delle persecuzioni razziali. Nonostante questi eventi, la famiglia Orefice sembra vivere un periodo abbastanza felice: Guido è riuscito ad aprire la sua libreria, nonostante quasi nessuno si presenti a causa delle persecuzioni, mentre Dora continua a lavorare nella sua scuola. La felicità viene bruscamente interrotta quando, il giorno del compleanno di Giosuè, Guido, suo figlio e lo zio Eliseo vengono catturati dalle truppe nazifasciste e caricati su un treno insieme ad altri ebrei per la deportazione in un lager. Dora, giunta a casa con la madre e trovati i segni del passaggio dei soldati del regime, corre alla stazione e chiede ai soldati di guardia di salire anche lei sul treno, pur non essendo ebrea, per seguire il marito e il figlio. Guido rivedrà di sfuggita la moglie soltanto in una occasione, all'arrivo al lager. Lo zio Eliseo, troppo anziano per lavorare, viene destinato poco dopo alla camera a gas e, negli spogliatoi, da autentico gentiluomo, mostra un'ultima volta il suo nobile contegno signorile aiutando una donna delle SS a rialzarsi dopo che questa è scivolata, ricevendo in cambio un'occhiataccia di odio e rimprovero.
Pur di proteggerlo dagli orrori della realtà, sin dall'inizio della tragica esperienza Guido racconta a Giosuè che stanno partecipando a un difficilissimo gioco a premi, in cui si dovranno affrontare numerose prove per vincere, come premio finale, un carro armato vero. Quando il comandante tedesco si presenta nella baracca per spiegare il regolamento del lager, Guido si offre come interprete e traduce volutamente in modo sbagliato le sue parole, tra le perplessità degli altri prigionieri e il divertimento del piccolo. Con il passare dei giorni Giosuè entra attivamente nel vivo del "gioco", tra le cui "regole" c'è quella di rimanere nascosti nella camera riservata a suo padre e ad altri prigionieri, in realtà per evitare che in caso di cattura sia destinato all'uccisione.
Durante una visita medica, Guido incontra nuovamente Lessing, il medico tedesco del Grand Hotel, rientrato a Berlino cinque anni prima proprio per prendere parte alla soluzione finale nei confronti degli ebrei. Questi, ora membro del partito nazista, lo risparmia dalla camera a gas e gli offre un lavoro come cameriere ai tavoli di una cena degli ufficiali tedeschi: Guido riesce a farvi partecipare anche suo figlio per sfamarlo dignitosamente, confuso tra gli altri figli di ufficiali nel tavolo a loro riservato, illudendosi che il medico voglia mettere una buona parola per lui e per sua moglie. Grande sarà la sua delusione quando, quella stessa sera, il dottore lo chiamerà a sé soltanto per sottoporgli un assurdo indovinello del quale non capiva la soluzione. Terminata la cena, Guido e il figlio addormentato sulle sue braccia tornano alla baracca, non prima di aver visto una montagna di cadaveri ebrei destinati al forno crematorio.
1945. Una notte, all'improvviso, con la fine della guerra e dell'occupazione nazista, i soldati tedeschi cominciano freneticamente ad abbandonare il campo dopo aver fatto strage dei deportati rimasti. Guido, dopo aver nascosto Giosuè in una cabina dicendogli di giocare a nascondino e di uscire solo quando non ci sarà più nessuno in zona, si traveste da donna e si mette alla ricerca di Dora. L'uomo tenta di raggiungere il camion delle detenute ma viene scoperto dalle SS: dopo aver fatto un’ultima volta l'occhiolino a Giosuè in segno di addio, viene condotto in un vicolo da un soldato tedesco e fucilato. La mattina dopo, in un campo di concentramento ormai vuoto e abbandonato dai tedeschi, il bambino esce dal suo nascondiglio. Da dietro l'angolo sbuca un carro armato statunitense, che si ferma proprio davanti a Giosuè. Il bambino, convinto di aver vinto il premio finale secondo il racconto del padre, esclama: "È vero!". Il soldato alla guida del carro lo fa salire a bordo e insieme a lui esce fuori dal campo, dove una chilometrica fila di deportati sta camminando verso la salvezza. Il bambino, ignaro della morte del padre, può alla fine ricongiungersi alla madre e riabbracciarla, gridando felice: "Abbiamo vinto!".
Produzione
Inizialmente l'idea era quella di un film comico, dopo i successi di Johnny Stecchino e Il mostro, ma in seguito il soggetto fu modificato. Il film fu girato tra il novembre 1996 e l'aprile 1997 tra Arezzo, Montevarchi, Castiglion Fiorentino, Cortona, Ronciglione, Roma e Papigno (Terni) con il titolo Buongiorno Principessa, la frase pronunciata ripetutamente dal personaggio di Benigni, ma successivamente anch'esso fu cambiato. Benigni dichiarò: «Questo film, che si chiama La vita è bella, mi è venuto fuori, ma con emozione, tanto che mi ha fatto tremare tutte le costole del costato, ma anche a girarlo, ma bello, bello, è un film che non fa dormire la notte».[8] Uno spunto alla scrittura del film gli venne dalla vicenda di Rubino Salmonì,[9][10] che gli raccontò la sua storia di deportato e sopravvissuto in seguito narrata nel libro Ho sconfitto Hitler.[11][12]
I nomi dei protagonisti sono invece presi da Dora De Giovanni e Guido Vittoriano Basile, zii di Nicoletta Braschi; Basile, arrestato per la sua attività antifascista, morì nel campo di concentramento di Mauthausen, sorte analoga a quella del protagonista del film suo omonimo, fatto che stravolse la vita di Dora.[13]
Durante le riprese, Benigni ebbe comunque qualche esitazione: «La gente mi diceva di fare attenzione perché era una idea molto estrema, temevo di offendere la sensibilità dei sopravvissuti. Lo so che tragedia sia stata, e sono orgoglioso di aver dato il mio contributo sull'Olocausto e sulla memoria di questo terrificante periodo della nostra storia. Io non sono ebreo, ma la storia appartiene a tutti».
Questo fu l'ultimo dei 135 film di cui fu direttore della fotografiaTonino Delli Colli, il quale, in un'intervista, alla domanda su cosa volesse dire lavorare con Benigni, rispose: «È proprio una bellezza». Benigni si avvalse della consulenza dello storico Marcello Pezzetti e di Shlomo Venezia, sopravvissuto di Auschwitz che aveva ricoperto il ruolo di Sonderkommando, ovvero era stato uno dei deportati a cui i nazisti avevano imposto di collaborare con loro, in genere estraendo i corpi dalle camere a gas e cremandoli. In seguito quasi tutti i Sonderkommando vennero uccisi per evitare che divulgassero ciò che avevano vissuto durante l'Olocausto, e Venezia fu uno dei pochissimi sopravvissuti.
Il film fu distribuito nelle sale italiane il 18 dicembre 1997 in un'edizione di 124 minuti. In seguito Benigni modificò il montaggio riducendo la durata a 119 minuti e aggiungendo nel finale la voce narrante di Giosuè adulto (interpretato da Omero Antonutti) che ricorda il sacrificio del padre. Questa versione fu poi presentata al festival di Cannes 1998 e distribuita all'estero, ed è stata l'unica disponibile in home video fino al 2017 quando in occasione dei 20 anni dall'uscita del film nei cinema è stata ripristinata la versione integrale.
Il 20 ottobre 1998La vita è bella arrivò negli USA in italiano con sottotitoli in inglese, in un'edizione mutilata di nove minuti, con alcuni tagli e l'eliminazione del personaggio di Lydia Alfonsi; per promuovere il film, il giorno prima, Benigni fu ospite al David Letterman Show. Negli USA incassò 57 milioni di dollari e fu accolto entusiasticamente da numerosi critici locali.[15] Successivamente il film uscì in altre parti del mondo come Regno Unito, Messico, Germania e Grecia. Il 23 agosto 1999 il film venne ridistribuito negli USA in una nuova edizione doppiata in inglese, ma questa versione si rivelò un fallimento: in essa Benigni è doppiato dall'attore statunitense Jonathan Nichols, mentre la napoletana Ilaria Borrelli e l'italo-americanoJames Falzone prestano le loro voci per i personaggi di Dora e del piccolo Giosuè.
Il 10 gennaio 1999 papa Giovanni Paolo II vide il film in una proiezione privata assieme a Benigni:[16] il comico toscano ha più volte dichiarato come, raccontando alla madre l'avvenimento, lei non gli abbia mai creduto.
Distribuzione televisiva
Quando il film fu trasmesso in TV per la prima volta da Rai 1 il 22 ottobre 2001, fu visto da 16 080 000 telespettatori con uno share del 53,67%, in assoluto il dato d'ascolto più alto per un film trasmesso dalla televisione italiana, battendo il precedente record d'ascolto di 14 672 000 telespettatori del film Il nome della rosa, che resisteva dal 1988.[4]
Nel 2002 è uscita in Italia un'edizione in DVD contenente come extra un'intervista, il making of in inglese con sottotitoli, il dietro le quinte con scene di prova inedite, e i video delle premiazioni a varie cerimonie (Premi Oscar, Festival di Cannes, Cesar, David di Donatello, BAFTA), il trailer originale statunitense, una galleria fotografica, il cast completo con biografia e filmografia dettagliata. Nel 2005 è uscito il DVD negli Stati Uniti d'America, nella versione sottotitolata. Nel 2010 il film è stato pubblicato in formato Blu-ray con diversi contenuti extra.
Nel 2017, in occasione del 20º anniversario del film, è stata pubblicata in home video una nuova edizione rimasterizzata; quest'edizione conta (solo nel formato Blu-ray) il ripristino della versione integrale del film, della durata originale di 124 minuti (comprendente, tra le altre scene, quelle con Lydia Alfonsi), e l'aggiunta nei contenuti extra di una nuova intervista a Benigni celebrativa dei vent'anni della pellicola.
Accoglienza
Incassi
Con 31231984€ il film è il 12º maggiore incasso di sempre in Italia, e la pellicola italiana con il maggior incasso della storia avendo incassato oltre 230000000$ in tutto il mondo[18], a fronte di un costo di 15 miliardi di lire.[19][20][21]
Al contrario dei precedenti film di Benigni, trattati in maniera controversa, questo fu un successo di critica. Su Il Morandini si dice: «È il sesto film di Benigni come regista, sicuramente il più difficile, rischioso e migliore; analizzando la pellicola si possono quasi vedere due film in uno, oppure un film in due parti, nettamente separate per ambientazione, tono, luce e colori. La prima spiega e giustifica la seconda, una bella storia d'amore, prima tra un uomo e una donna, poi per un figlio, ma allo stesso tempo l'una è la continuazione dell'altra».[23] La pellicola riceve votazioni molto alte su vari siti che si occupano di recensire film: sul sito Rotten Tomatoes riceve l'approvazione da parte dell'80% dei critici e del 96% del pubblico, sul sito Internet Movie Database riceve un voto di 8,6/10, sul sito MYmovies una valutazione media di 4,35/5.[24][25] Il film si trova alla 26ª posizione della Top 250 dell'Internet Movie Database, risultando il film italiano con la più alta posizione in classifica dopo Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone.
Anche negli Stati Uniti d'America la pellicola venne largamente apprezzata: Janes Maslin sul New York Times scrive che: «Benigni è riuscito a creare una situazione in cui la commedia è coraggio e da questa situazione ha sviluppato un film non pretenzioso ed estremamente godibile che gioca con la storia in modo serio e leggero.».[26] «Fa male ridere, ma ne vale la pena» ha sottolineato il New York Post.[26] Secondo USA Today, che assegna 3,5 stelle su 4: «Life is beautiful è un film convincente che svolge bene le motivazioni dei personaggi e con un Benigni 'straordinario', dotato di una comicità spettacolarmente pungente. Se esiste un premio per la regia dei film di successo più schizofrenici dai tempi de Il laureato l'attore, regista e co-sceneggiatore dovrebbe vincerlo».
Il regista Mario Monicelli nel 2005 criticò «quella mascalzonata di Benigni in La vita è bella, quando alla fine fa entrare ad Auschwitz un carro armato con la bandiera statunitense. Quel campo, quel pezzo di Europa lo liberarono i russi, ma... l'Oscar si vince con la bandiera a stelle e strisce, cambiando la realtà».[27] A queste affermazioni seguirono ulteriori polemiche due anni più tardi da parte di Oliviero Diliberto, allora segretario del Partito dei Comunisti Italiani, che riprese la critica di Monicelli circa la non veritiera liberazione di Auschwitz da parte degli americani.
A queste critiche Roberto Benigni in seguito rispose dichiarando che «il film non parla di Auschwitz, e infatti intorno al campo ci sono i monti, che ad Auschwitz invece non ci sono. Quello è "il" campo di concentramento, perché qualsiasi campo contiene l'orrore di Auschwitz, non uno o un altro».[28][29]
Il film fu criticato anche dalla superstite della Shoah Liliana Segre ne La memoria rende liberi (2015), ove lo definì «terribilmente falso [...] banalizza l'Olocausto in nome di una bella finzione».[30][31][32]
Il film ha ottenuto oltre 40 riconoscimenti internazionali: nel 1998 vinse 9 David di Donatello tra cui quello per miglior film, che venne consegnato da Vittorio Gassman a Benigni.
L'attrice Sophia Loren consegnò a Benigni la statuetta per il miglior film straniero ed egli, dalla felicità, balzò sulle poltrone degli spettatori e in uno stentato inglese divertì il pubblico statunitense. Poi furono premiati Nicola Piovani per le musiche e lo stesso Benigni come miglior attore, dalle mani dell'attrice Helen Hunt, diventando il primo interprete italiano (e il primo attore non-anglofono in assoluto) a ricevere l'Oscar al miglior attore recitando in un film in lingua straniera. Inoltre Giorgio Cantarini, interprete di Giosuè, vinse lo Young Artist Award, ovvero il premio dato ai giovani attori, diventando non solo il più giovane a vincerlo, 6 anni, ma anche l'unico di nazionalità italiana, considerandolo come un vero e proprio record, essendo solo gli attori bambini statunitensi a riceverlo.
«Il più bel segno di gratitudine verso Dora De Giovanni può essere letto, senza che sia mai avvenuta una dichiarazione ufficiale in tal senso, nella sceneggiatura del film La vita è bella di Roberto Benigni. Nicoletta Braschi, bisnipote del soprano cesenate, ha voluto dare alla protagonista il nome di Dora in omaggio alla zia. Benigni interpretava il personaggio di Guido, nome dato in ricordo di Guido Braschi, padre di Nicoletta. Ma pure il marito di Dora De Giovanni si chiamava Guido, e fu barbaramente ucciso dai nazisti proprio come il personaggio della finzione cinematografica.»
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