La prima opera, notevole per il disegno ed il colore, che gli portò una certa notorietà, fu un affresco posto lateralmente all'altare maggiore della Chiesa dei Santi Domenico e Sisto e rappresentante un miracolo operato da San Domenico: i libri dei Vangeli, pur esposti alle fiamme, non bruciavano a testimonianza della verità della Fede cattolica, mentre le scritture eretiche erano incenerite[3].
Successivamente dipinse in Santa Maria Maggiore uno dei quattro quadri ad olio nella cappella di Santa Caterina Vergine e Martire dei Duchi d'Acquasparta, rappresentante il miracolo in cui un angelo rompeva la ruota dentata, strumento di tortura per il quale la Santa avrebbe dovuto morire[3][4]. Quest'opera accrebbe la sua notorietà e gli portò ulteriori commissioni, da cui ricavò una certa somma di denaro[3].
Nel 1635 entrò a far parte della confraternita di San Giuliano dei Fiamminghi come Ludovicus Cousin, alias Primo, alias Gentile.
Tre anni più tardi divenne membro dell'Accademia nazionale di San Luca, di cui fu direttore nel 1651-1652[2] e nel 1653. Il Gentile istituì regole di maggior severità per quanto riguarda l'ammissione all'Accademia, imponendo che potessero essere ammessi solo gli artisti più celebri e solamente dopo due scrutinî e che fosse eseguito un attento esame sia dei meriti artistici che delle qualità personali per un maggior prestigio dell'Accademia stessa[5].
Alcune delle pale d'altare che dipinse per le chiese romane tra il 1633 e il 1657 si trovano ancora in situ (ad esempio La Vergine presenta il Bambino a Sant'Antonio da Padova del 1655; San Marco)[2], mentre non resta nessuno dei quadri di piccole dimensioni ammirati dai contemporanei[6] per cui era particolarmente noto[3].
Oltre a opere di tema religioso, dipinse anche soggetti mitologici[2] e fu anche un apprezzato ritrattista[2][3].
Purtroppo, a causa della sua passione per le donne, trascurava il lavoro e spendeva tutto ciò che guadagnava. Si decise così a lasciare Roma. Quindi si recò a Loreto, dove dipinse il quadro per l'altare maggiore della Chiesa di Santa Margherita, raffigurante la stessa santa, ed in seguito a Pesaro, dove lavorò nel Duomo. Infine si trasferì a Venezia, dove eseguì alcuni ritratti[3].
Ritornò a Roma pochi anni prima della morte di Innocenzo X. Fu il primo ritrattista del suo successore Alessandro VII, da poco insediato[3].
Dopo aver trascorso oltre trent'anni a Roma, Luigi Primo ritornò a Bruxelles[2][3] dove entrò a far parte della locale gilda di pittori nel 1661. Continuò a dipingere soggetti storici e ritratti e produsse bozzetti per i tessitori di arazzi[2].
Per il Re di Spagna eseguì alcuni cartoni per arazzi[3] e il grande quadro ad olio La morte di Adone (1656 c.)[2][3]. Dipinse inoltre alcuni quadri per l'Arciduca Leopoldo ed alcuni ritratti di imperatori della Casa d'Asburgo per l'imperatore[3].
A causa della sua attività nella produzione di arazzi fu ritenuto esente da ogni tassa[3].
Nonostante avesse guadagnato molto denaro in varie occasioni, tuttavia alla sua morte lasciò poco. Era alto, di bella presenza, amante dei piaceri e non teneva in gran conto il denaro, che spendeva generosamente[3].
Lo stile di Luigi Primo, a metà tra la tradizione italiana e quella fiamminga, è un esempio del maestoso stile decorativo barocco[2].
Giovanni Battista Passeri, Vite de pittori, scultori ed architetti che anno lavorato in Roma morti dal 1641 al 1673, Roma, presso Gregorio Settari, 1772, pp. 249-253, SBNIT\ICCU\RMRE\000600.
Filippo Titi, Studio di Pittura scoltura et architettura nelle Chiese di Roma, Roma e Macerata, per Giuseppe Piccini, 1675, pp. 171; 176; 204, SBNIT\ICCU\VEAE\006571.
Melchior Missirini, Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma, Stamperia De Romanis, 1823, p. 117, SBNIT\ICCU\RMSE\001914.
Luigi Lanzi, Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo, vol. I, Firenze, presso Giuseppe Molini, 1834, pp. 161-162, SBNIT\ICCU\RMB\0638076.