Il ponte continentale è un ipotetico collegamento sotto forma di grande lingua di terra o istmo che unirebbe due o più continenti.
All'inizio del XX secolo tutti i paleontologi più autorevoli, per spiegare identità o similarità floristiche e faunistiche tra continenti differenti, ammettevano che tra essi potessero essere esistiti, specialmente durante l'era mesozoica, dei ponti continentali.
Questi sarebbero in seguito sprofondati negli oceani.
Alfred Wegener, dopo aver indagato a fondo sulla distribuzione attuale e passata di vari organismi, rigettò, sulla base di evidenze geofisiche e del principio dell'isostasia, la possibilità che questi fantomatici ponti continentali fossero sprofondati e spariti negli oceani. L'unica ragionevole conclusione che si poteva trarre, afferma Wegener, è che i continenti oggi separati si siano staccati e allontanati, spostandosi lateralmente, a partire da un unico originario supercontinente, la Pangea.
I ponti di terra tra due aree continentali, o tra isole, o tra isole e continenti sono però esistiti, non com'era immaginato dalla comunità geologica prima degli anni '50, quando la teoria della tettonica a placche venne accettata, ma come terre che emergevano temporaneamente durante un'età glaciale o una regressione marina.
Il più noto di questi è il ponte di Beringia (si veda l'illustrazione sottostante), che collegava periodicamente America ed Eurasia, permettendo anche un notevole interscambio faunistico (leoni, ghepardi, equidi[senza fonte]e camelidi sono originari del nuovo mondo), nonché la migrazione di gruppi umani dall'Asia in America e quindi la colonizzazione da parte dell'uomo dei continenti americani.