Fu rinvenuta nel 1773 da Giacinto Hintz, professore di Sacra Scrittura e Lingua ebraica / lingue orientali all'Università di Cagliari, inglobata in un muretto a secco di una struttura appartenente all'ordine dei mercedari in prossimità dell'abside della chiesa di sant'Efisio a Pula, centro urbano situato nella Sardegna meridionale che trae origine dall'antica città di Nora.[1][N 1] Il ritrovamento fuori dal suo contesto archeologico originale limita al suo contenuto le informazioni ricavabili dal documento. Conservata nel Museo archeologico nazionale di Cagliari, la stele svela il primo scritto fenicio mai rintracciato a ovest di Tiro: la sua datazione oscilla tra i secoli IX e VIII a.C.[2][3][4][5][6][7][8][9][10][11][12][13] Il documento epigrafico è stato pubblicato all'interno del Corpus Inscriptionum Semiticarum sotto il numero CIS I, 144 e nei Kanaanäische und Aramäische Inschriften sotto il numero KAI 46.
«Con la colonizzazione fenicio-punica, sfociata nell’integrazione fra il mondo etnico-culturale protosardo e quello fenicio-punico,entrarono e si diffusero in Sardegna l’organizzazione urbana (…), un’economia aperta, di tipo cittadino prima e nazionale poi, la moneta, la scrittura alfabetica e, nel campo della cultura spirituale, una delle più alte espressioni del pensiero religioso elaborate dall’umanità»
(Da La civiltà fenicio-punica in Sardegna)
Dopo una sporadica presenza fenicia nel Mediterraneo occidentale, iniziata attorno all'XI secolo a.C., nell'VIII secolo a.C., mentre la civiltà nuragica viveva la sua massima espansione, si nota in Sardegna uno sviluppo dei centri costieri che ben presto diventarono vere e proprie città.[15] I Fenici, oltre che in Africa, si insediarono sulle coste della Sardegna e nell'area occidentale della Sicilia.[16]
|I villaggi nuragici costieri, situati nel meridione dell'isola, furono i primi punti di contatto tra i commercianti fenici e gli antichi Sardi. Questi approdi costituivano dei piccoli mercati dove venivano scambiate varie mercanzie.[N 2] Con il costante prosperare dei commerci, i villaggi si ingrandirono sempre di più, accogliendo stabilmente al loro interno l'esodo delle famiglie fenicie in fuga dall'attuale Libano. In questa terra, esse seguitarono a praticare il loro stile di vita, i loro propri usi, le proprie tradizioni e i loro culti di origine, apportando in Sardegna nuove tecnologie e conoscenze. Tramite matrimoni misti e un continuo scambio culturale, i due popoli coabitarono pacificamente e i villaggi costieri divennero importanti centri urbani, organizzati in maniera simile alle antiche città-Stato delle coste libanesi.[17] I primi insediamenti sorsero, tra gli altri, a Karalis,[18] a Nora,[19] a Bithia,[20] a Sulci nell'isola di Sant'Antioco[21] e a Neapolis presso Guspini.[22][N 3]
«non sempre da parte dei coloni si deve presupporre un atteggiamento di totale rifiuto nei confronti delle lingue locali. Lo prova [...] la presenza del termine SRDN nella suddetta stele in riferimento alla Sardegna. Ciò significa [...] che i Fenici erano consapevoli tra il IX-VIII sec. a.C. che la denominazione epicorica dell'isola era SRDN e questo potevano averlo appreso forse direttamente dagli abitanti del luogo. Sarebbe poi lecito supporre, ma questo solo in una seconda fase, che assimilato il nome, lo avessero poi adattato alla loro lingua. I Fenici nella fase precoloniale avrebbero preso contatto con le realtà locali utilizzando non solo interpreti, ma anche, quando serviva, apprendendo loro stessi i rudimenti della lingua del posto, anche in seguito ad unioni con le donne indigene. Ad ogni modo, il fatto stesso che la maggior parte dei toponimi dei centri fenici dell'isola sia di matrice locale, presuppone comunque un atteggiamento positivo e pacifico nei confronti delle popolazioni del posto e della loro lingua,in relazione ad una volontà di integrarsi nell'ambiente, rispettando in primo luogo le denominazioni indigene. Il dato linguistico in questo caso si integra bene con quello storico-archeologico.»
(Da Il nome della Sardegna e della Sicilia sulle rotte dei Fenici e dei Greci in età arcaica. Analisi di una tradizione storico-letteraria)
In passato si riteneva che la Stele di Nora testimoniasse essa stessa l'esistenza di un centro urbano fenicio o sardo-fenicio. Recenti ricerche archeologiche hanno però postdatato la necropoli, il Tophet e il quartiere artigianale alla fine del VII secolo e alla prima metà del VI a.C..[24] La Stele, la cui datazione come si è detto è di circa due secoli antecedente, andrebbe pertanto contestualizzata all'interno di un centro protourbano, un emporio, un centro di scambi commerciali, segnato non solo dalla presenza di popolazioni fenicie o indigene.[N 4]
Le teorie
Gli studiosi non sono concordi sulla lettura epigrafica del testo e la sua traduzione.[25] Infatti a causa dello stato di conservazione, è possibile leggere con chiarezza circa metà delle lettere, mentre l'altra metà nonostante il competente intervento degli epigrafisti, rimane dubbia: il colore rosso o violetto è stato tracciato, talvolta con errori, nell'Ottocento, nel tentativo di facilitare la lettura. Un ulteriore problema è rappresentato dall'assenza di divisioni tra le parole, questione che complica l'interpretazione anche delle parti più chiaramente leggibili come alla linea 1 con btršš che può significare "in Tarsis" o bt rš š che può significare "tempio del capo di".[26] Infine una parte minoritaria degli studiosi ritiene che si tratti della parte minore (ed unica parte sopravvissuta) di un'iscrizione molto più lunga, distribuita su più pietre,[27] sebbene manchi un consenso generale al riguardo.[28]
Interpretazioni passate fino alla seconda guerra mondiale
L'orientalista Giovanni Bernardo De Rossi, sulla base di un disegno ricco di imprecisioni inviatogli da Hintz[29][30], scrisse nel 1774 che la stele indicava un sepolcro. Secondo quanto affermò lo stesso De Rossi:[1][31]
«Sosimo straniero, che ivi avea fissato la sua tenda nella sua vecchiaja consumata, ed al quale il suo figlio Lehmanno o Lemano principe forastiero consacrò quel ricordo, deponendolo nell'orto sepolcrale»
(Efemeridi letterarie di Roma del 1774, p. 348)
La sua traduzione latina del testo era la seguente:
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
Sepulcrum Sesimi alienigenae qui fecit tentorium in senectute perfecta ideo vere obiit in fide Leheman filius princeps alienigena (deposuit) in horto sepulcrali.
Sepolcro di Sesimo straniero, che qui depose il suo padiglione nell'età decrepita Perciò veramente morì nella fede Lehemano figlio principe straniero (lo depose) nell'orto sepolcrale
Il generale piemontese La Marmora, lamentandosi della copia fatta da Hintz, si prodigò affinché l'iscrizione potesse venire studiata adeguatamente dagli esperti. A tal riguardo egli scrisse:[32]
«sia quando la pietra faceva ancora parte del muro di Pula, sia dacchè è stata collocata nel museo di Cagliari, abbiamo usato i mezzi ritenuti migliori per cavarne dei fac-simile esatti e siamo certi che il calco portato da noi stessi a Torino nel 1831 offre tutte le garanzie di fedeltà desiderabili.»
(Da Viaggio in Sardegna)
Nel 1834 l'abate Giovannantonio Arri propose, sulla base del calco di La Marmora, la seguente trascrizione, traduzione e interpretazione:[33]
Trascrizione
Traduzione latina dell'autore
Traduzione italiana dell'autore
1 2 3 4 5 6 7 8
btršš ngrš h' b šrdn š lm h' šl sp b' s l ktb bnr šbn ngd lgsy
In Tarschisch vela dedit pater-Sardon pius, viae tandem finem attigens lapidem scribi iussit in Nora, quam Lixo novit adversam
Da Tarchisch partito il padre Sardon pio, finalmente a termine del suo viaggio giungendo pose una lapide scritta in Nora, la quale terra egli riconobbe essere posta dirimpetto all'africana Lixus
Secondo l'abate si trattava di un'iscrizione votiva in onore dell'eroe eponimo della Sardegna, cioè Pater Sardon. La stele riportava che il pio padre Sardon era salpato da Tarshish, per raggiungere finalmente la fine del suo viaggio, al che ordinò di scrivere una lapide a Nora, che si supponeva fosse davanti alla città africana di Lixus.
In risposta ad Arri, Wilhelm Gesenius pubblicò una sua alternativa trascrizione e traduzione della Stele nel 1837.[34] Egli riteneva che si trattasse di una stele sepolcrale e che si riferisse alla casa del Pater Sardorum con un invito a portare la pace al regnante Ben-Rosch, figlio di Nagid, il quale era il dedicante. Gesenius dava per certo il nome del dedicante, anche se espresse alcuni dubbi sul gentilizio finale L-ensis, riferito a Ben-Rosch.
La sua trascrizione e traduzione è la seguente:
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
bt rš š ngd šh' b šrdn š lm h' šl m yb' m lktn bn r š bn ngd lpmy
Domus capitis (i.e. dormitorium) principis, qui (erat) pa- -ter Sardorum. Pacis a- -mans ille, pax contingat re- -gno nostro. Ben- Rosch, filius Nagidi, L-ensis
Casa della testa (cioè luogo di sonno o di pace) del principe, che (fu) il Pater Sardorum. La Pace lui ama e la pace ci sarà nel nostro regno, Ben- Rosch, figlio di Nagid L-ensis
Nel luglio dello stesso anno le edizioni di Gesenius e di Arri vennero comparate dall'orientalista tedesco Franz Ferdinand Benary. Benary escluse categoricamente la presenza del Sardus Pater e dette per certa la lettura di Tartesso nella prima linea. Inoltre egli espresse dei dubbi solo sulla lettura della parte finale della stele, che a suo dire poteva essere tradotta in due modi differenti a seconda che si prendesse in considerazione o meno l'esistenza di un simbolo che sembrava essere inserito in alcune lettere, e che avrebbe potuto servire a mettere in evidenza un nome o una località propriamente detta:[35]
Trascrizione
Prima traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
Seconda traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
btršš ngdš h' bšrdn š lm h' šl m yb' m lktn bn r š bn ngd lpmy
Tartessi expulsus hic in Sardis in- -columnis hic in- -columnis ingrediatur re- -gnum nostrum filius prin- -cipis, filius pauperis, jussu meum
Da Tartesso espulso egli tra i Sardi incolume, egli incolume entri nel nostro regno, il figlio del principe, il figlio del povero, per mio comando.
Tartessi expulsus hic in Sardis pa- -cificus: pa- -x veniat super Ma- -lchiten filius Ro- -sch, filii Naghid, Lamptenum
Da Tartesso espulso egli tra i Sardi è in pace: pace sia su Malchiten figlio di Rosch figlio di Naghid il Lampteno
Nella prima traduzione Benary non tenne conto dell'esistenza del simbolo e in tal caso ritenne di avere di fronte un decreto in cui si specificava, per ordine espresso, che chiunque fosse stato espulso da Tartesso sarebbe stato al sicuro in Sardegna, e sarebbe entrato in quel regno sano e salvo, sia che fosse povero o principe. Nella seconda traduzione tenne conto del simbolo e in tal caso si tratterebbe di un titolo sepolcrale che augura la pace a Malchiten, il quale fu esiliato da Tartesso in Sardegna.
Nel 1838 è il tedesco Wurm nella sua recensione dell'opera di Gesenius a esprimere diverse perplessità in merito al lavoro fatto riguardo alla Stele.[36] Secondo lo studioso due letture alternative sarebbero ugualmente possibili, una più vicina a Gesenius e una ad Arri. Egli propose quindi due traduzioni:
Prima traduzione dell'autore
Seconda traduzione dell'autore
1 2 3 4 5 6 7 8
Domus principis, qui et dux, quem pater Sardon beavit, huic pax obtingat, Malchuttano, filio principis, filii ducis L-ae
Tartesso expulsus est hic, in Sardinia pace fruitur hic; pax obtingit Malchuttano, filio principis, filii ducis L-ae
Nel 1842, recensendo l'opera di Gesenius, il francese Quatremère si dichiara insoddisfatto di tutte le edizioni fino a quel momento proposte del testo e a sua volta si cimenta nel tentativo di lettura e traduzione.[N 5] La sua proposta è la seguente:
Monumentum Rosch-Sar filii Rosch-Ab-sar filii Schalem Uschlucensis filii Asalitten filii Rosch filii Nur Uschlucensis
Monumento a Rosch-Sar figlio di Rosch-Ab-sar figlio di Schalem da Uselis figlio di Asalitten figlio di Rosch figlio di Nur da Uselis
Secondo Quatremère sarebbe necessario integrare alcune lettere lateralmente che sarebbero venute a mancare per un danneggiamento della stele. Inoltre secondo lo studioso la Stele si riferirebbe più probabilmente a individui nati in Sardegna e il paese che etimologicamente più si avvicina alla forma scritta nella stele sarebbe Usellus, già abitato fin dall'età nuragica e noto in età romana col nome di Uselis.
Pochi anni dopo nel 1849 l'orientalista tedesco Franz Karl Movers, pur mantenendo una lettura alfabetica simile a quella di Gesenius e differenziandosene unicamente per le divisioni tra le parole, riuscì ad ottenere una traduzione abbastanza simile a quella di Quatremère:[N 6]
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
bt rš š ngd šh' b šrdn š lm h'šl my b'm l' tn bn r š bn ngd lpmy
Behausung (Grab) des Rus, (Sohnes) des Nagid, (Sohnes) des Haab, (Sohnes) des Lam, des Usellier in Usellis. Tenes, Sohn des Rus, Sohnes des Nagid der Lapissier
Abitazione (Tomba) di Rus, (figlio) di Nadid, (figlio) di Haab, (figlio) di Lam, del Usellese a Uselis. Tenes, figlio di Rus, figlio di Nagid il Lapissiano
Già a metà ottocento le differenti letture e interpretazioni della Stele creavano confusione tra gli studiosi che volevano unicamente utilizzare il documento senza entrare nel merito di questioni epigrafiche.[37][N 7]
Nel 1855 si inserì nel dibattito anche Francesco Bourgade, il quale propose la seguente originale trascrizione e traduzione:
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
bm rš š ngr šh' b šrdn š ls h' šl s sb' s l cmn bn r š bn ngr lfsh
Monumentum Rosi, (filii) Nogari, (filii) patris Sardonis. Triplex euge, triplex laus in aeternum! Caman filius Rosi filii Nogari. (Memoria) transeuntibus.
Monumento a Ros, (figlio di) Nogar, (figlio) del Sardus Pater. Tre volte buono, tre volte lode nell'eternità! Caman figlio di Ros figlio di Nogar. (Memoria di) cambiamento.
Nel 1860 il gesuita Raffaele Garrucci affermò di essere a conoscenza di almeno quattro edizioni edite e una rimasta inedita[N 8] e ne propose a sua volta una nuova fondata su quella di Gesenius nella lettura dei caratteri ma distante nella traduzione:[38]
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
Beth Rosch sche nagid sche' absardin. Scha- lum hu, schalo- m iabo. M elchaton ben Ro- sch ben Nagid lepymi
Sepulcrum Rosci principis et patris Sardorum. Pacificus vixit, in pace ingrediatur. Melchaton filius Rosch, filius Nagidi, ut potuit (fecit)
Sepolcro di Rosch principe e padre dei Sardi. In pace visse e nella pace entri. Melchaton figlio di Rosch, figlio di Nagid come poté (fece)
Secondo Garrucci si tratterebbe dunque di un monumento funebre. La Stele, come egli scrisse:[39]
«[...] è scritta con alfabeto asmoneo, e che appartiene ad un principe di Nora di nome Rosch figlio di Nagid, che meritò l'appellazione di Padre dei Sardi, il cui figliuolo chiamato Milchato pose il monumento con l'elogio»
Nel 1869 l'orientalista Heinrich von Maltzan si lamentò della confusione segnalando che al tempo erano note non meno di 14 differenti letture e interpretazioni della Stele. [N 9] Egli cercò di mettere ordine nella faccenda sostenendo l'esistenza di due "scuole" di pensiero: una dei seguaci di Gesenius, che interpretata la Stele come iscrizione sepolcrale, e una per lo più "italiana", che vedeva nella Stele un monumento commemorativo o un memoriale, cosa che lo renderebbe a suo dire il primo caso noto di simili documenti per il mondo fenicio.[N 10] Egli seguì quindi Gesenius proponendo solo qualche modifica (in particolare prime due lettere della seconda linea - un Qoph e un Waw - e nelle ultime due della ottava linea - un Mem e un He -) alla sua trascrizione e traduzione:
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
bt rš š qwdš h' b šrdn š lm h' šl m yb' m lktn bn r š bn nwd lpmh
Das Haus des Rusch, (des Beamtes) des Heiligthums des Sardus Pater, ein freiwilliger Opfer. Dieses freiwillige Opfer brachte dar Malkjiten, Sohn des Rusch Sohn des Nar, zur (Erflehung der) Fruchtbarkeit (d.h. einer fruchtbaren Aerndte)
La casa di Rusch (del sacerdote) del santuario del Sardus Pater, un sacrificio volontario. Questo volontario sacrificio lo ha portato dar Malkjiten, figlio di Rusch figlio di Nar, per (garantire) la fertilità (cioè un raccolto fertile)
Nel 1941[N 11] l'archeologo americano William Foxwell Albright ha ritenuto che l'iscrizione (distribuita forse su più pietre per un'altezza che doveva raggiungere almeno i due metri e sopravvissuta ad oggi solo nella sua parte in basso a destra) andasse fortemente integrata e interpretata come un decreto cittadino di ostracizzazione:[40]
In (from?) Tarshish that m[an] shall be banished [for a year(?)] from Sardinia [... that] man who hath n[ot ... whether] (he be) commander of a h[ost or (he be) ki]ng or (he be [governor (?). And if he shall] return, then [that man] shall be banish[ed] for his life-time(?).
A (da ?) Tarshish [... e] quell'u[omo] deve essere esiliato [per un anno(?)] dalla Sardegna [... quell'] uomo che non ha [... che] (lui sia) comandante di un os[pite o (lui sia) r]e o (lui sia) [governatore(?). E se lui dovesse tornare, allora [quell'uomo] sia esilia[to] per tutta la sua vita(?).
Commemorazione di una spedizione
Nel 1972 l'orientalista J. Brian Peckham propose la sua interpretazione militare ritenendo la Stele completa e traducendo il testo:[41]
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
btršš wgrš h' bšrdn š lm h' šl m sb' m lktn bn šbn ngd lpmy
From Tarshish he was driven in Sardinia he found refuge his forces found refuge: Milkûtôn, son of Šûbôn, the commander. To Pmy
Da Tarshish lui fu condotto, in Sardegna lui trovò rifugio, le sue truppe trovarono rifugio: Milkûtôn, figlio di Šûbôn, il comandante. A Pmy
Nel dicembre dello stesso anno Frank Moore Cross, professore all'Università di Harvard, pubblicò un articolo in risposta a Peckham, riprendendo alcuni punti dello studioso ma distanziandosene in altri; egli ritiene ad esempio che nel testo non si parli di Tartessos, in Andalusia, ma di Tarsis in Sardegna. Inoltre afferma che nell'interpretazione del verbo grš andrebbe privilegiato il suo significato militare di "scacciare" rispetto a quello marittimo di "essere trascinato/condotto".[42] Infine ritiene che Milkaton sarebbe un comandante di Pumayaton di Tiro (831-785 a.C.), conosciuto presso i greci come Pigmalione, qui presente con una forma abbreviata ipocoristica PMY abbastanza comune nel mondo fenicio.[43][44]
La sua traduzione (che integra le prime due righe del testo nella parte alta della stele) è la seguente:
He fought (?) with the Sardinians (?) at Taršīš and he drove them out. Among the Sardinians he is [now] at peace, (and) his army is at peace: Milkatōn, son of Šūbna (Shebna), general of (King) Pummay
Lui combatté (?) con i Sardi (?) a Taršīš ed egli li scacciò. Tra le popolazioni sarde lui è [adesso] in pace, (e) il suo esercito è in pace: Milkaton figlio di Shubna (Shebna), generale del (re) Pummay
L'interpretazione e la traduzione di Cross è talvolta ancora proposta in anni recenti.[N 12]
In uno studio del 1991, l'archeologo William H. Shea, professore all'Andrews University, avanza un'integrazione parziale alla prima linea riprendendo il verbo grš e legge l'ultima LPNY (dal significato di "precedente" o "in precedenza") invece di LPMY.[45] Pertanto propose la seguente trascrizione e traduzione:[46]
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
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[grš h'] btršš wgrš h' bšrdn š lm h' šl m sb' m lktn bn šbn ngd lpny
[He drove out] at Tarshish he drove out in Sardinia. He is safe. His troops are safe. Milkaton, son of Shubon the previous commander
[Egli scacciò] a Tarshish egli scacciò, in Sardegna. Lui è al sicuro, Le sue truppe sono al sicuro. Milkaton, figlio di Shubon il precedente comandante.
Lo studioso ritiene che la stele testimoni le attività militari di "Milkaton" a "Tarshish" e in Sardegna.[47] Riguardo all'ubicazione di Tarshish, egli ritiene che si possa trattare di una località in Spagna; si starebbe pertanto parlando di una campagna militare in Spagna e successivamente dell'arrivo in la Sardegna.[N 13] Il comandante inoltre con il verbo šlm (tradotto per la prima volta da Zuckerman come "salvo/al sicuro") intenderebbe che la spedizione in Spagna non avrebbe del tutto compromesso le possibilità di un'ulteriore azione.[48]
Gli studiosi che leggono nella prima linea superstite dell'iscrizione il toponimo TRŠŠ hanno offerto varie possibili identificazioni. Come afferma Peckham:[49]
«Tarshish may describe a type of ship, or refer to a complex set of trade routes, or designate a place»
(Da The Nora Inscription)
L'idea però che si tratti di un toponimo ha prevalso e tra le varie ipotesi l'andalusa Tartesso è sembrata a molti quella più probabile.[50][46][51][52] Bisogna comunque segnalare come afferma Antonelli[53] che:
«[...] Le testimonianze su Tarshish, al di là di ogni moderno tentativo di identificazione puntuale, sembrano contenere un'allusione generica: quella con cui il mondo semita faceva riferimento alle estreme regioni occidentali, meta dei primi traffici commerciali fenici»
(Da I Greci oltre Gibilterra)
Ma anche un'identificazione regionale verso l'occidente iberico ha visto contrari diversi studiosi[54][55] e non mancano quindi interpretazioni alternative con località sarde (come Tharros o Tarsis, forse una località mineraria)[56][42][57][58] o asiatiche (come Tarso in Cilicia).[59][60] Sull'identificazione asiatica conviene spendere qualche parola in più. Secondo Russel E. Gmirkin, l'iscrizione testimonierebbe il periodo in cui i Fenici venivano sconfitti e in parte costretti ad emigrare verso occidente dall'avanzata assira.[59] Sempre secondo l'interpretazione di Gmirkin Tarshish non si riferirebbe ad una località spagnola o sarda ma a Tarso in Cilicia e la stele di Nora testimonierebbe la fuga di profughi approdati in Sardegna nella disperata ricerca di salvezza e pace. Concorda con questa interpretazione anche Delgado Hervàs, professoressa all'Universitat Pompeu Fabra di Barcellona.[60]
David Ridgway della University of Edinburgh ritiene che Tarsis non si riferisca né a Tarso in Cilicia, né a Tartessos in Spagna, ma indicherebbe una località mineraria in Sardegna.[58] In questa prospettiva l'iscrizione testimonierebbe la vittoria di un generale fenicio contro le popolazioni locali per il controllo delle miniere della zona. Anche Markoe,[61] Dyson e Rowland ritengono che la scritta testimoni una vittoria dei Fenici contro i Sardi.[62]
Nel 2012 questa interpretazione militare del documento è stata ripresa da Nathan Pilkington dell'Università di Columbia, il quale tuttavia esclude ogni riferimento a Tartesso. Egli infatti, a differenza di coloro che sostengono l'interpretazione militare, propone di dividere la prima linea in due parole: bt ršš. Queste due parole verrebbero tradotte con "Una casa che lui buttò giù". Il termine bt può significare sia "tempio", sia "casa".[63][64] Il termine all'inizio dell'iscrizione potrebbe riferirsi alla distruzione di un villaggio nuragico sardo, forse il Nuraghe Antigori: l'identificazione si basa sull'uso di bt in iscrizioni contemporanee fenicie per indicare una casa reale, con il suo territorio e popolazione.[65] Il significato di ršš come "buttar giù / distruggere" si ritrova una volta in ugaritico[66] e due volte in ebraico nella bibbia.[67] Pertanto la traduzione offerta è la seguente:[68]
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
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bt ršš wgrš h' bšrdn š lm h' šl m sb' m lktn bn šbn ngd lpny
A house he beat down. And he drove out. In Sardinia, he is at peace; his army is at peace. Milkyton, son of Shubon the commander. For Pummay
Una casa lui ha buttato giù. Ed egli scacciò. In Sardegna lui è in pace; il suo esercito è in pace. Milkyton, figlio di Shubon il comandante. Per Pummay.
«un voto di ringraziamento al dio Pumay dedicato da un alto funzionario fenicio di nome Milkaton, dopo che la sua nave e tutto il suo equipaggio erano riusciti a sopravvivere a una grande tempesta nel viaggio verso la terra di «Tarshish». Si è molto discusso sulla reale collocazione geografica di «Tarshish»; comunque, l'ipotesi più probabile è che si tratti di Tartesso, l'antico nome di quella zona meridionale della Spagna corrispondente all'incirca all'attuale Andalusia.»
(Da Carthago Delenda Est)
Celebrazione di una divinità
Una parte consistente degli studiosi ritiene tuttavia che la Stele si riferisca unicamente al culto celebrativo di una divinità e/o alla fondazione di un tempio.[N 14]
L'orientalista francese Dupont-Sommer, che occupava la cattedra di ebraico e aramaico al Collège de France, escludendo l'esistenza di una lacuna nel testo e considerando quindi l'iscrizione completa, tradusse nel 1948 il testo in:[69]
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
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bt rš š ngr šh' bšrdn š- lm h' šl- m sr' m lkt nrn[k] š bn ngd lpmy
Temple du Cap de Nogar qui est en Sardaigne. Pros- père soit-il! Prospè- re soit Tyr, mère de Kition (et) Narna[ka]! (?) Lequel (temple) a bâti Nogar en l'honneur de Pumai
Tempio di Capo Nogar che si trova in Sardegna. Pros- pero sia lui! Prospe- ra sia Tyr, madre di Kition (e) Narna[ka]! (?) Il quale (tempio) ha costruito Nogar in onore di Pumai.
L'interpretazione di bt rš š come "Kap-Tempel", "tempio di Capo", è accettata anche da Kurt Galling, rettore della Johannes Gutenberg-Universität Mainz.[70]
Lo storico e filologo francese Février, direttore della sezioni di studi semitici antichi alla École pratique des hautes études, basandosi sul lavoro di Dupont-Sommer, avanzò nel 1950 qualche lettura alternativa e la tradusse:[71]
Temple principal, que NGR, qui est à (en?) ŠRDN, a édi- fié complètement. Lui a mené à bout la tâche de l'oeu- vre. Construction qu'a construite NGR en l'honneur de PMY.
Tempio principale, che NGR, che è a (in?) ŠRDN, ha cos- truito completamente. Egli ha condotto a compimento la realizzazione dell'ope- ra. Costruzione costruita da NGR in onore di PMY.
Allo stesso modo, nell'interpretazione dell'orientalista Albert van den Branden, professore all'Université Saint-Joseph, si afferma che si tratti di una dedica per la fondazione di un tempio. Secondo van den Branden l'iscrizione menziona diverse fasi costruttive che portano al completamento del tempio: la prima fase consisteva nella costruzione del tempio principale da parte di Naggâr, un abitante di un centro abitato detto Sardegna (probabilmente da identificare con Nora, che, per la sua importanza, avrebbe dato il nome all'intera isola); questo, tuttavia, rimase incompiuto, così che nella seconda fase lo stesso Naggâr si era impegnato nella costruzione di un tempio secondario in onore di Pumay; anche questo tempio era rimasto incompiuto, poiché in una terza fase si era dedicato all'esecuzione di una serie di altri lavori in questo santuario dedicato a Pumay:
[72]
Temple principal, que Naggâr, qui est de Sardaigne, a achevé. (C'est) lui (encore qui) a achevé a série de travaux dans le sanctuaire qu'a construit Naggâr à Pumay.
Tempio principale, che Naggâr, che è della sardegna ha completato. Fu lui che completò la serie di lavori nel santuario costruito da Naggâr a Pumay.
Nel 1966 Jean Ferron, archeologo e direttore del museo di Cartagine, rileggendo criticamente il lavoro di Février, propose invece la seguente traduzione:[73]
Trascrizione
Traduzione dell'autore
Traduzione in italiano
1 2 3 4 5 6 7 8
bt rš š nqdš h' bšdrn š lm h' šl m sb' m lkt wbn š bn nr' lpmy
(Ce) Temple (est) le premier qui a été consacré en Sardaigne. Qu'il soit (conservé) intact! Que soit (conservée) intacte l'ouvre de ma- çonnerie et d'architecture qu'a edifiée Nora en l'honneur de Poumai!
(Questo) Tempio (è) il primo che è stato consacrato in Sardegna. Possa essere (conservato) intatto! Possano essere (conservate) intatte la muratura e l'architettura che Nora ha costruito in onore di Poumai!
Curiosità
Questa sezione contiene «curiosità» da riorganizzare.
Goffredo Casalis nel suo Dizionario criticò irridendola una traduzione della stele di Nora da lui attribuita all'orientalista Francesco Ricardi.[N 15] Tuttavia nell'opera di Ricardi, tra le varie iscrizioni da lui tradotte, non compare la stele di Nora.[74]
La stele è stata esposta dal settembre 2004 al gennaio 2005 al Metropolitan Museum of Art di New York, all'interno della mostra temporanea Assyria to Iberia at the Dawn of the Classical Age, Dall’Assiria all’Iberia all’alba della civiltà classica.[75]
Dall'aprile all'ottobre del 2016 l'iscrizione è stata invece offerta ai visitatori del Museum und Park Kalkriese in Germania, museo sorto nel probabile luogo della battaglia di Teutoburgo, all'interno della mostra temporanea Gefahr auf See – Piraten in der Antike, "Pericolo sul mare - Pirati nel mondo antico".[76]
Note
Esplicative
^Parla invece del muro di un vigneto. Cfr.Delcor, 1968, pp. 324-325
^Parliamo sia del commercio nascosto, cioè "lo scambio di tutti quei materiali, composti soprattutto di materia organica e quindi deperibile"(Bartoloni, 2009, p. 24), sia dei metalli preziosi, se, come sembra, l'argento fenicio di questo periodo ha un rapporto di isotopi di piombo pari a quello dei minerali in Sardegna e in Spagna, che indica anche l'estensione delle reti commerciali fenicie. Chamorro, 1987, pp. 197-232
^L'archeologo del CNR Massimo Botto scrive: " A nostro avviso, la stele di Nora non deve necessariamente indicare una fondazione coloniale, ma testimoniare più verosimilmente una frequentazione commerciale dell’area molto antica, che si concentra in un determinato momento storico intorno ad un luogo sacro. Presso quest’ultimo, forse inizialmente caratterizzato dalla sola epigrafe, sorgerà in seguito un piccolo stanziamento strettamente connesso con attività di scambio sia locali sia a lungoraggio". Botto, 2007, p. 110.
^Il suo articolo viene pubblicato inizialmente in francese (Quatremère, 1842, pp. 521-524) e due anni dopo, nel 1844, ripubblicato in tedesco (Quatremère, 1844, pp. 105-108). L'unica differenza tra i due articoli risiede in una nota a piè di pagina dell'editore tedesco che segnala come Quatremère avesse ignorato Wurm.
^Curiosamente Movers non cita l'articolo di Quartrère né nella sua versione francese, né nella traduzione in tedesco. Movers, 1849, p. 105
^Giacinto De Ferrari affermò a tal riguardo: "È chiaro, che variando l'interpunzione, e la somiglianza o corrispondenza delle lettere fenicie coll'ebraiche molti altri sensi potrebbero ricavarsene a piacere."De Ferrari, 1852, p. 200
^Tra le edizioni pubblicate egli cita quelle di De Rossi, Arri, Gesenius e Bourgade, a cui aggiunge una inedita di P. Secchi. Garrucci, 1860, p. 233
^Egli scrisse testualmente: "Es sind uns nicht weniger als vierzehn verschiedene Lesungen und Deutungen dieser Inschrift bekannt worden"von Maltzan, 1869, p. 528.
^Riguardo alla prima egli scrive: "Die erste [..] war diejenige von Gesenius, welcher in seinem Werke [...] eine Lesung derselben veröffentlichte, der im Allgemeinen fast alle Nachfolger treu geblieben sind"von Maltzan, 1869, p. 528. Riguardo alla seconda: "Aber mehrere Andere, namentlich italienische Gelehrte, wollten ihr einen gänzlich verschiedenen Zweck beilegen, dem sonst kein uns bekannt gewordenes phönicisches Denkmal bestimmt ist, nämlich die Bestimmung einer Commemorativ- oder Gedenkinschrift, von welcher dieses also das erste Beispiel bilden würde, welches uns vorkäme"von Maltzan, 1869, p. 530.
^Albright sosteneva ancora la propria ipotesi nel 1967. Delcor, 1968, p. 327 riporta infatti una lettera di Albright datata al 30 ottobre 1967 in cui si legge: «My objection to currently accepted renderings is based on the fact that no formal inscription of funerary or dedicatory type could have been inscribed in such large characters with no margins, no vertical alignment of the beginning of lines and in such barbaric Phoenician, especially since few scholars now reject a ninth-century date.»
^Brian Doak, Professore associato di studi biblici alla George Fox University, pur segnalando il dibattito accetta l'interpretazione e la traduzione di Cross: Doak, 2020, p. 178
^Shea, 1991, p. 244 scrive: "Tarshish should be located in Spain, and Sardinia was the island upon which the Nora Stone was found. This means that Milkaton and his troops went to the western end of the mediterranean to campaign first, and then penetrated into Sardinia upon their return voyage"
^Lipiński, 2004, p. 236 non è convinto dall'ipotesi né che la stele sia un decreto pubblico, come ipotizzano alcuni studiosi, né che essa sia un'iscrizione commemorativa per un generale fenicio; al contrario, ritiene si tratti di una dedica al dio Pummay da parte di un alto ufficiale fenicio. Diego Ruiz Mata, 2001, p. 6 della Universidad de Cádiz concorda che si tratti di una dedica al dio. María Eugenia Aubet, 1993, p. 206 dell'Universitat Pompeu Fabraritiene sia un'iscrizione commemorativa per la costruzione di un tempio dedicato al dio PMY. Opinione condivisa in anni recenti anche da Botto, 2007, p. 110, Fantauzzi - De Vincenzo, 2012, p. 10 e da Garbati, 2014, p. 213
^Casalis nel 1847 nel volume XV scrisse: Non dimenticherò un altro Edipo che con tanta confidenza, che poteva parere arroganza, rivelava il senso di quelle lettere nella sua Lettura e spiegazione de' superstiti monumenti punici: Francesco Ricardi. Venit Raesus / iter faciens / Sponte procedens apud sardos / Qui pacem appetens, spolia mortis / Reprimens, Rex illustris fuit in Nora / Quam aedificiis magnifice auxit Venne Reso viaggiando / E liberamente avanzandosi fra' sardi / Il quale bramando la pace e gli assassini / Raffrenando, fu Re chiaro in Nora, / Che accrebbe di grandiosi edificii."Casalis, 1847, p. 785. Nel 1851 nel volume XIX aggiunse: "[...]produceva quella di Francesco Riccardi, il quale nella sua Lettura e spiegazione dei superstiti monumenti punici dava la seguente: Venit Raesus iter faciens (sponte procedens apud Sardos) Qui pacem appetens spolia mortis (Reprimens Rex illustris fuit in Nora) Quam aedificiis magnifice auxit. Il chiarissimo Della Marmora che ha riferito le altre nel suo vol II. tacque di questa, dando ad intendere la nessuna fede che avea nella traduzione dell'interprete. Io dopo averla proposta, palesava il mio stupore in vedere la sua confidenza nei propri lumi, da dispensarsi da ogni dichiarazione. Nella parafrasi fece egli come se non già amplificasse, ma riducesse a minor scala. Propose l'interpretazione in versi e meglio che interprete è stato poeta." Casalis, 1851, p. 372
^Efemeridi letterarie di Roma, v. 3, Presso Gregorio Settari., 1774, pp. 348-351.: "L'Opera, che abbiamo annunciata del Sig. Principe di Torremozza, e le sae diligenti ricerche sopra i caratteri Fenicii, de'quali è composta la leggenda d' alcune medaglie Siciliane, ci ha fatta nascere vaghezza di qui riferire una Lettera del ch. Sig. Ab. Gio.Bernardo de Rossi Professore di Lingue Orientali nella Università di Parma, ai di cui meriti per conto di erudizione poliglotta facemmo plauso in queste stesse nostre Efemeridi dell'anno corvente num. XXI. p. 166. Questa Lettera è diretta al nostro Sig. Abate Gio. Cristofano Amaduzzi Professore di Lingua Greca nell’Archiginnasio della Sapienza di Roma; e Soprainteadente alla Stamperia di Propaganda, e tende ad ispiegare, ed illustrare una tronca Iscrizione con caratteri Fenici esistente fuori di Pula in una vigna, che appartiene ai Padri della Mercede di Cagliari. L'iscrizione incastrata al di fuori del Casino è lunga palmi 4., e larga 2. ed è stata diligentemente trascritta, ed indi è stata fatta incidere dal dotto, ed erudito P. Giacinto Hintz dell'Ordine de' Predicatori Professore di Sacra Scrittura, e di Lingua Ebraica nella regia Università di Cagliari, di cui altra volta si è pur parlato in questi nostri fogli."
^ Andreas Böcker, Museumsblog 08. September 2016, su kalkriese-varusschlacht.de, kalkriese-varusschlacht.de/. URL consultato il 24 aprile 2017 (archiviato dall'url originale il 5 aprile 2017).
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