Un decreto ministeriale del 24 novembre 1964 lo definisce «formaggio duro, fatto con latte vaccino o misto, non fermentato, con un contenuto in grassi pesato a secco non inferiore al 18%»
Etimologia
L'etimo è incerto, forse dal francese tomme, che viene spesso tradotto come "formaggio della Savoia" o "formaggio del Delfinato" ma potrebbe anche essere derivato dal francese tumer (cadere), con riferimento alla precipitazione della caseina nella cagliata.[1][2]
In Sicilia il termine con cui si indica un tipo di formaggio fresco è tuma, la cui radice etimologica è la medesima.
Zone di produzione
Numerosi sono i tipi di "toma", prodotti quasi esclusivamente in Piemonte e Valle d'Aosta, con diverse varianti nella composizione del latte (vaccino con più o meno latte di pecora o capra) e nella stagionatura, oltre che nelle dimensioni delle forme e nel gusto (più o meno aromatico, più o meno salato e più o meno forte) e spesso da parte di piccoli produttori. In Piemonte sono particolarmente note le tome delle valli dell'Orco, di Lanzo di Susa (la toma della Val Susa è citata nell'opera Summa Lacticinorium di Pantaleone da Confienza, pubblicata in Torino nel 1477) e nella Stura (famosa per la toma del bot), nella Valle Ellero e in Valsesia, nonché nelle zone delle Langhe, delle valli del vercellese e del biellese.