Nel 1961, dopo il matrimonio con Giana Petronio[3] - una giovane triestina laureata alla Cattolica, che aveva vissuto per anni tra Londra e Il Cairo al seguito del padre dirigente del Credito Italiano - andò in India per conto del MIT di Cambridge, nel Massachusetts, come consulente presso la Planning Commission del governo di Jawaharlal Nehru, ex allievo del Trinity College. Nel 1962 divenne professore ordinario presso università di Urbino e presso quella di Trento (dal 1962 al 1968, durante la contestazione studentesca). Nel 1963 gli fu assegnata la cattedra di Economia politica presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna. A Bologna nel 1964 fu tra i fondatori, con Achille Ardigò e Giuseppe Alberigo, della Facoltà di Scienze politiche e, nell'ambito di questa, del Dipartimento di scienze economiche, di cui divenne direttore. Sempre a Bologna insegnò presso la Johns Hopkins University - School of Advanced International Studies (SAIS) e presso il Dickinson College for European Studies.
Nel 1972 fu tra i fondatori, con Paolo Sylos Labini e altri professori bolognesi, dell'Università della Calabria a Rende (in provincia di Cosenza), università con campus d'impostazione anglosassone, nata con lo scopo di stimolare la crescita del Mezzogiorno. Dell'Università della Calabria fu anche il primo Rettore, dal 1972 fino al 1974. Il 15 gennaio 2009, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l'Università della Calabria lo ha ricordato in questo suo ruolo, intitolandogli l'aula magna dell'università e facendo scolpire, dal maestro orafo Gerardo Sacco, un altorilievo a lui dedicato).
Andreatta intrattenne un lungo sodalizio politico con Bruno Kessler, ex dipendente della Banca di Trento e di Bolzano e stretto collaboratore del padre di cui aveva preso il posto, dopo la morte, di presidente dell'Istituto atesino di sviluppo spa (dal 1963 al 1991), che era stato poi anche presidente della Provincia di Trento dal 1960 al 1974, e quindi della Regione autonoma Trentino Alto Adige dal 1974 al 1976, e poi parlamentare dal 1976 fino al 1991.[6]
Dopo essere stato sostenitore della corrente democristiana Sinistra di Base fin dalla fondazione a Milano nel 1953, negli anni Sessanta collaborò però anche con Aldo Moro, entrando in contatto con il gruppo di economisti e giuristi, tra cui Giuliano Amato, Francesco Forte, Siro Lombardini, Giorgio Ruffolo, Franco Momigliano e Alessandro Pizzorno, che all'epoca gravitavano attorno al deputato socialista e più volte ministro del Bilancio e della programmazione economica Antonio Giolitti. Fu vicino a Moro nei periodi in cui lo statista fu presidente del consiglio dei ministri (1963-68 e 1874-76), mentre se ne allontanò dopo la fine dei governi di centro sinistra che vide il coinvolgimento, promosso dallo stesso Moro, del Partito Comunista Italiano nella maggioranza di governo (1976-78).
La sua permanenza al Tesoro coincise con alcuni degli anni più critici della storia dell'Italia contemporanea. Andreatta sancì la separazione della Banca d'Italia dal Ministero del Tesoro.[7][8][9][10]
Quando nel 1981 emerse lo scandalo della loggia P2, rimosse i funzionari e i dirigenti che comparivano nella lista degli appartenenti sequestrata a Licio Gelli. Con il manifestarsi dello scandalo dello IOR di Roberto Calvi e arcivescovoPaul Marcinkus, Andreatta impose lo scioglimento del Banco Ambrosiano e la sua liquidazione, ignorando le pressioni politiche e mediatiche che ne volevano il salvataggio con fondi pubblici, dove Andreatta stesso tenne uno storico discorso in Parlamento, riferendo pubblicamente delle responsabilità della banca vaticana e dei suoi dirigenti.
Sono ormai gli anni del tramonto della Democrazia Cristiana, provata dalle indagini di Mani pulite e dal processo per mafia a Giulio Andreotti e della transizione alla cosiddetta "Seconda Repubblica", nella quale Andreatta divenne capogruppo alla Camera dei deputati per il neocostituito Partito Popolare, ponendosi a capo dell'ala ex-democristiana schierata con i Progressisti contro il governo Berlusconi I e il suo Polo delle Libertà; fu eletto deputato nel 1994 e nel 1996, e fu uno dei principali ispiratori e sostenitori della nascita del nuovo raggruppamento di centro-sinistra l'Ulivo.
Nel 1994Rocco Buttiglione fu eletto segretario del partito nonostante la netta opposizione di Andreatta e di altri esponenti di spicco del partito. L'anno successivo, in seguito all'improvvisa svolta a destra di Buttiglione, che cercò di portare il partito nell'area del centro-destra, Andreatta fu tra i promotori della crisi di partito che portò alla sfiducia del segretario e alla sua sostituzione con Gerardo Bianco.
Andreatta, lungo tutta la sua carriera, fu il promotore di un sistema economico misto. Tra gli allievi principali della sua scuola di pensiero, Romano Prodi fu il più importante, da lui poi proposto come guida per la coalizione di centro-sinistra dopo la caduta del primo governo Berlusconi nel 1995.
Prodi lo volle poi come ministro della Difesa nel suo primo governo (maggio 1996 - ottobre 1998), un ruolo dove Andreatta si distinse per la forza delle sue proposte: in breve tempo operò la riforma degli Stati Maggiori, ottenne dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il ruolo di guida per l'Italia durante la Missione Alba (un'operazione di peacekeeping e d'aiuto umanitario all'Albania interamente gestita da forze europee), propose l'idea di costruire e organizzare una vera forza di difesa internazionale europea; stabilì l'abolizione della leva obbligatoria, modificò il servizio civile, si schierò con forza contro lo scioglimento della Brigata paracadutisti "Folgore". Era ministro della Difesa in carica quando il 28 marzo 1997 la motovedetta albanese Kater I Rades, carica di circa 120 profughi in fuga dall'Albania in rivolta, affondò dopo una collisione con una corvetta della Marina Militare italiana.
In questo periodo, Andreatta fu attivo promotore del graduale processo di privatizzazione del gruppo pubblico IRI: a tal proposito, firmò l'accordo Andreatta-Van Miert alla fine del 1993[12].
Dopo la caduta del governo Prodi, nel 1998, fonda "Carta 14 giugno", un'associazione ulivista che si proponeva di allargare le basi democratiche del consenso e favorire la riduzione del potere dei partiti: un'idea, questa, che Andreatta coltivava fin dagli anni della Democrazia Cristiana e delle Partecipazioni Statali. Fu fortemente osteggiato dal PPI durante la campagna elettorale per le europee del 1999, quando auspicò l'incontro tra Partito Popolare Italiano e I Democratici, che si sarebbe poi realizzato nel 2001 con la costituzione de La Margherita.
Infarto e coma
Il 15 dicembre 1999, nel corso di una seduta parlamentare per il voto della legge finanziaria, ebbe un grave malore e finì in coma profondo in seguito a un infarto e alle conseguenze di un'ischemia cerebrale. Venne trasferito d'urgenza all'Ospedale San Giacomo di Roma, dopo aver ricevuto i primi soccorsi in aula da parte del medico della Camera e dai deputati Pino Petrella e Pierluigi Petrini, rispettivamente medico e anestesista. Nonostante l'immediata assistenza, prima che la rianimazione desse esito, Andreatta rimase in stato di sofferenza cerebrale da ipossia per venti minuti, riportandone danni permanenti.
I bollettini medici dichiararono fin dall'inizio che l'ex ministro si trovava in "condizione critica" e in coma profondo. Il 1º gennaio 2000 fu trasferito a bordo di un mezzo di trasporto militare da Roma al Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna.
Nei primi anni trascorsi in condizione di coma, mentre era degente al Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna, dall'11 ottobre 2000 al 29 maggio 2001 fu annoverato fra i componenti della XIII Commissione (agricoltura) della Camera dei deputati.[13]
Andreatta trascorse gli ultimi anni di vita in stato vegetativo, senza mai riprendere conoscenza dal coma: si spense il 26 marzo 2007 nel reparto di rianimazione del Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna[14][15][16]. I funerali furono officiati il 29 marzo nella basilica di San Domenico del capoluogo emiliano, celebrante il vescovo ausiliare mons. Ernesto Vecchi; successivamente, ricevette sepoltura al cimitero monumentale di Trento[17].
Il 26 marzo 2018, nell'undicesimo anniversario della morte, la città di Bologna ha dedicato a Beniamino Andreatta una strada nel cuore della zona universitaria, dove hanno sede le aule della facoltà di giurisprudenza.[18]
Per un'Italia moderna. Questioni di politica e di economia, Il Mulino, Bologna, 2002.
Opere su Nino Andreatta
Mario Tesini, Nino Andreatta. Appunti per una biografia intellettuale, in N. Andreatta, Per un'Italia moderna. Questioni di politica e di economia, Il Mulino, Bologna, 2002, pp. 7–69.
Giana M. Petronio Andreatta, È stata tutta luce, Bompiani, Milano, 2017.
Alfredo Gigliobianco e Salvatore Rossi, Andreatta economista, Forum/Il Mulino, Bologna, Il mulino, 2009, p. 159, OCLC799541593. URL consultato il 18 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 18 dicembre 2019).
Mario Draghi, Banca d'Italia, Beniamino Andreatta economista (PDF), Convegno in memoria del Prof. Beniamino Andreatta, Roma, 13 febbraio 2008, p. 8. URL consultato il 18 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 18 luglio 2017).