«Colui che ammette solo una teologia trascendentale vien detto deista, e teista invece colui che ammette anche una teologia naturale. Il primo concede che noi possiamo conoscere, con la nostra pura ragione, l’esistenza di un essere originario, ma ritiene che il concetto che ne abbiamo sia puramente trascendentale: che sia cioè soltanto di un essere, la cui realtà è totale, ma non ulteriormente determinabile. Il secondo sostiene che la ragione è in grado di determinare ulteriormente tale suo oggetto in base all’analogia con la natura: e cioè di determinarlo come un essere, che in forza di intelletto e di libertà contiene in sé il principio originario di tutte le altre cose.[2]»
Il deismo assume quindi a priori l'esistenza di un Essere Supremo, creatore e regolatore delle leggi dell'universo,[2] indispensabile a spiegarne l'ordine, l'armonia e la regolarità. Nega però sia la necessità di una rivelazione, dalla quale comunque prescinde ritenendo che sia solo per gli incolti, sia la storicità di qualsiasi pretesa rivelazione.[1][2] A seconda dei casi ammette o meno l’esistenza di una provvidenza, di qualcosa che agisce nella storia oltre le azioni contingenti dell'uomo.
La negazione della rivelazione ha come conseguenza il rifiuto di qualsiasi dogma, testo sacro o autorità religiosa.[1][2] L'uso corretto della ragione consente all'uomo di elaborare una religione naturale e razionale completa e autosufficiente, capace di spiegare il mondo e l'uomo.
Il deismo viene definito anche come "religione naturale",[2] in quanto non fondato su testi sacri ma sulla ragione che, ribadendo l'esistenza di Dio, lo configura in termini differenti da quelli delle religioni rivelate. Esso assume anche alcuni elementi del panteismo di Spinoza (Deus sive Natura), come in Rousseau, o reputa Dio come ciò che è inconoscibile direttamente ma verso cui tende tutto l'uomo, come in Kant, o come qualcosa di esterno e disinteressato al mondo come in Hume e Voltaire.
Nonostante le difficoltà iniziali a superare la censura non solo ecclesiastica (cattolica e protestante) per le posizioni di estremo razionalismo, il deismo diventò ben presto una delle principali correnti d'interpretazione filosofica della religione, anticipando tematiche che avrebbero trovato pieno sviluppo nel Settecento con l'Età dei Lumi.
Se l'amico di Cartesio, Marin Mersenne, nel 1624 sente l'urgenza di denunciare il diffondersi del deismo e di altre correnti filosofiche antireligiose in Europa, pubblicando L'impiété des déistes, athées et libertins de ce temps, combatue et renversée de point en point par raisons tirées de la philosophie et de la théologie, il filosofo cattolico francese Blaise Pascal qualche decennio dopo denunciò come deisti tutti coloro che pretendono di assurgere alla conoscenza di Dio prescindendo dalla rivelazione tramandata dalla tradizione ecclesiastica, e contrapporrà al «Dio dei filosofi», raggiunto con il lume naturale, il «vero Dio» rivelato dei testi sacri ebraici e cristiani.
L'empirista ed illuminista scozzese David Hume è il filosofo che ha espresso la critica più feroce dell'antropomorfismo sotteso sia alle religioni monoteiste, sia alla concezione deistica del mondo, tuttavia sostenne l'esistenza di un ordine morale del mondo, sebbene non conoscibile razionalmente. Nei suoi Dialoghi sulla religione naturale (1779) sostenne che «la materia può essere suscettibile di numerose e grandi rivoluzioni durante i periodi infiniti di durata eterna del mondo», contro la tradizione che da Anassagora si estende fino a Cartesio e oltre, attacca il privilegio accordato «a questa piccola agitazione del cervello che noi chiamiamo pensiero», facendone il modello di risoluzione di tutti gli enigmi posti dall'esistenza e dal funzionamento dell'universo e proprio in virtù delle sue tendenze antirazionaliste ammise la potenza dell'abitudine e della consuetudine in rapporto a conoscenze di ordine fisico-naturale (induzione) e in rapporto a conoscenze morali, valorizzando molto le componenti sensitive su quelle razionali e ammettendo, seppur in maniera problematica, una certa validità al senso comune.
Un caso a parte nella diffusione del deismo francese è stato quello del prete Jean Meslier, il quale pur essendo segretamente ateo, antiteista e materialista, nel suo Testamento sosteneva con entusiasmo la causa combattuta dal deismo contro la religione; il capitolo sul deismo del Testamento di Meslier venne ricopiato e pubblicato clandestinamente dal filosofo ateo e illuminista Paul-Henri Thiry, barone d'Holbach, oltre che riutilizzato da Voltaire che pubblicò parzialmente la prima versione del Testament di Meslier depurandola dalle parti atee.
In seguito ci fu un periodo di deismo ufficiale durante la Prima Repubblica francese, con la nascita del Culto dell'Essere Supremo.
«Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità»
Concezioni religiose di tipo deista sarebbero ancora particolarmente diffuse negli Stati Uniti e in grande espansione. Alcune associazioni di deisti, basandosi su studi sulle dinamiche religiose, stimano la popolazione americana vicina al deismo pari a quasi il 10% del totale; questa percentuale è annoverata come parte della categoria non religiosa. Altre stime vorrebbero invece il deismo una minoranza molto più esigua, circa lo 0,02%.[11]
«L'universo mi imbarazza, e non posso fare a meno di riflettere che se esiste un tale orologio debba esistere un orologiaio.»
(Voltaire, Les cabales, 1772)
Critiche alle istituzioni religiose
Facendo leva sulla ragione, i deisti contestano le rivelazioni su cui si fondano le varie confessioni religiose, ritenendo le chiese istituzioni umane dettate da scopi di dominio e non dal possesso della verità. La vera rivelazione è offerta dal lume naturale della ragione e non da comunicazioni dirette e miracolose della divinità a profeti o fondatori di religioni positive.
Per Lord Bolingbroke, la religione, il cristianesimo e le chiese non sono che mezzi al servizio dello Stato per temperare le passioni antisociali presenti nell'uomo (come definiti già dal Machiavelli). Il cristianesimo è vero solo nella misura in cui la sua dottrina è razionale, mentre la fede ecclesiastica è un'invenzione umana, escogitata a vantaggio di un ordinamento gerarchico, in cui il clero recita una parte ben remunerata, mantenendo al contempo nella miseria, nella superstizione e nell'ignoranza gli strati popolari. In questo caso viene portata la dottrina protestante all'estremo, e in ambito cattolico si avvicina alla dottrina eretica del modernismo teologico, e politicamente a una forma di "cristianismo" laico (come nel caso dell'ateismo cristiano).
Per Matthew Tindal la religione rivelata è il risultato di imposture umane, evidenti negli antropomorfismi che caratterizzano la divinità preda di passioni umane come l'ira e la gelosia. La religione autentica si fonda su principi puramente morali e pratici, come voleva anche Locke, su un atteggiamento di tolleranza nei confronti degli anticonformisti e degli eterodossi. Tindal in ogni caso identifica la religione autentica negli aspetti razionali del cristianesimo, ritenuto però come istituito direttamente da Dio all'atto della creazione.
«Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi: se è lecito che delle deboli creature, perse nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato,
a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura. Fa' sì che questi errori non generino la nostra sventura. Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l'un l'altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda; fa' che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. Fa' sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te, insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati "uomini" non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione. Fa' in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera; che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo. Fa' che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo, e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano "grandezza" e "ricchezza", e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c'è nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi. Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime, come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell'attività pacifica! Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace, ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante.»
(Voltaire)
Anche Rousseau, ex calvinista ed ex cattolico, è un critico delle religioni rivelate, quelle caratterizzate da dogmi positivi e formalizzate da testi sacri o autorità terrene. La sua critica è rivolta soprattutto contro il principio di autorità, considerato il fondamento di ogni intolleranza; per Rousseau non si può
«credere a tutto sulla fede altrui, e sottomettere all'autorità degli uomini l'autorità di Dio che parla direttamente alla ragione. (...) Tutti i libri sono stati scritti da uomini? Allora come fa l'uomo ad averne bisogno per conoscere i suoi doveri, e di che mezzi disponeva prima che questi libri fossero stati scritti? O apprenderà questi doveri da sé stesso, o ne sarà dispensato.[16]»
«Se il figlio di un Cristiano fa bene a seguire la religione di suo padre senza un esame approfondito e imparziale, perché il figlio di un Turco farebbe male a seguire allo stesso modo la religione del suo? Sfido tutti gli intolleranti del mondo a darmi su questo una risposta che soddisfi un uomo assennato.[17]»
Secondo il pensatore svizzero, se la nostra comprensione pondera circa l'esistenza di Dio, non incontra altro che contraddizioni. Per cui gli impulsi del nostro cuore hanno più valore della comprensione, e questo ci proclama chiaramente le verità della religione naturale, ovvero l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima[18]; questo lo differenzia dalla visione deista di Voltaire, che riteneva che l'esistenza dell'Essere Supremo fosse verità di ragione e non di fede. Rousseau ribadisce poi quello che aveva sostenuto nel Contratto sociale, che le religioni positive (purché siano oneste, veritiere e tolleranti) sono molto importanti come garanzia del rispetto delle leggi all'interno di uno Stato, in questo senso in maniera simile a Bolingbroke: «Considero tutte le religioni particolari come altrettante salutari istituzioni che in ogni paese prescrivono un modo uniforme di onorare Dio con un culto pubblico. ( [...] ) Credo che siano tutte buone quando Dio vi è servito adeguatamente.»[19] Lo stesso Voltaire ammette pragmaticamente che "la legge vigila sui crimini conosciuti, la religione su quelli segreti".
Critiche all'ateismo
«L'ateismo non si oppone ai delitti, ma il fanatismo spinge a commetterli.»
(Voltaire)
Il deismo rifiuta decisamente l'ateismo, in quanto incapace di spiegare l'ordine del «grande orologio dell'universo che richiede un grande orologiaio quale suo fattore», scrisse Voltaire.
«[Un modo] per acquisire la nozione di "essere che dirige l'universo" è considerare il fine al quale ogni essere appare essere diretto. Quando vedo un orologio con una lancetta che segna le ore, concludo che un essere intelligente ha progettato la meccanica di questo meccanismo così che appunto la lancetta segni le ore. Perciò, quando vedo il meccanismo del corpo umano, concludo che un essere intelligente ha progettato questi organi per essere nutriti all'interno del ventre materno per nove mesi; gli occhi per vedere, le mani per afferrare e così via. Ma da simile argomento, non posso concludere nient'altro, a parte per il fatto che sia probabile che un essere intelligente e superiore ha preparato e dato forma alla materia con abilità; non posso concludere da tale argomento e basta che questo essere ha creato la materia dal nulla o che è infinito in qualsiasi senso s'intenda. A ogni modo cerco con intensità dentro alla mente mia la connessione tra le seguenti idee — "è probabile che io sia il prodotto di un essere più potente di me stesso, quindi questo essere è eterno, quindi ha creato tutto quanto, quindi è infinito e così via." — Non riesco a intravedere il filo che porti direttamente a quella conclusione. Posso solo constatare che v'è qualcosa di più potente di me stesso, e nient'altro.»
L'obiezione fondamentale mossa agli atei dai deisti (ad esempio da Rousseau a Diderot e d'Holbach) è compendiabile nell'immagine dell'Iliade o dell'Eneide[4] come risultanti da una combinazione puramente casuale delle lettere dell'alfabeto o dei caratteri di stampa. Per usare un'altra immagine: gli atei sarebbero imbarcati su un aereo privo di pilota e, escludendo all'origine una mente onnisciente e onnipotente, non saprebbero spiegare chi ha predisposto il pilota automatico o costruito un aereo capace di volare. Anche con la selezione naturale e l'evoluzione, aggiunta la moltitudine di pianeti, per quanto riguarda la vita, non essendo dimostrata l'esistenza di un multiverso resta difficile spiegare con il semplice caso l'universo finemente regolato. Il cosiddetto teorema della scimmia instancabile, che sostiene che premendo tasti a caso per un tempo infinito anche una scimmia può scrivere un libro, è assai dibattuta; il biologo ateo e antiteista Richard Dawkins, esponente del neodarwinismo lo considera impossibile. Nel suo L'orologiaio cieco[20] (1986) calcola che al ritmo di una lettera al secondo il tempo trascorso dalla nascita dell'universo ad oggi non sarebbe stato (quasi certamente) sufficiente alla scimmia per terminare il proprio lavoro. Obiezioni simili, dopo la formulazione della teoria del Big Bang hanno riportato in auge agnosticismo, panteismo e deismo razionalista in luogo dell'ateismo forte, in particolare l'ipotesi del Dio-orologiaio esterno al mondo e alle sue leggi, una volta avviata la macchina. Riprendendo concetti del suo saggio Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, e come detto pur dichiarandosi sostanzialmente ateo, Stephen Hawking disse di credere, in base anche alle proprie convinzioni strettamente cosmologiche, che
«L'universo è regolato dalle leggi della scienza. Le leggi possono essere state decretate da Dio, ma Dio non interviene per infrangere le leggi.[21]»
Questa affermazione è possibilista nei confronti di un deismo leggero in cui sono assenti la nozione di provvidenza ed elementi metafisici.
Voltaire chiama questa visione "eterno geometra", in cui si ammette un ordinatore, lontano e irraggiungibile:
«Quando mi rendo conto dell'ordine, della prodigiosa abilità delle leggi meccaniche e geometriche che governano l'universo, dei mezzi e dei fini innumerevoli di tutte le cose, sono preso dall'ammirazione e dal rispetto...Io ammetto così quest'intelligenza suprema senza temere che mi si possa far cambiare opinione...Ma dov'è quest'eterno geometra? Esiste in qualche luogo oppure dovunque, senza occupare uno spazio? Non ne so nulla.»
Jean-Jacques Rousseau, dopo aver proposto una religione civile nel Contratto sociale, nell'Emilio ricostruisce una "fede razionale" semplice e intuitiva[4], basata sulle più elementari evidenze sensibili e sui sentimenti intrinseci al cuore dell'uomo. Dalla sensibilità egli deduce l'esistenza, dalla libera volontà dell'uomo (indipendente dalle semplici relazioni meccaniche tra i corpi) deduce la dualità di spirito e materia; dal moto dei corpi deduce una causa prima, l'indipendenza della cui volontà originaria deve essere ricondotta a una volontà universale che anima il mondo; dalla regolarità di questa volontà, che opera per mezzo di leggi, deduce un'intelligenza; dalla volontà, dalla potenza e dall'intelligenza deduce la bontà di un ente che viene chiamato Dio; dalla bontà di Dio deduce l'immortalità dell'anima, che garantisce la punizione dei malvagi e il premio dei buoni oltre questa vita. Da queste semplici considerazioni, a suo avviso, si possono ricavare tutte le massime necessarie per regolare la propria vita secondo giustizia, cioè per comportarsi moralmente.[22] Rousseau decisamente rifiuta il movimento in sé della materia, tema su cui insistevano i materialisti, occorrono una causa prima intelligente, un motore immobile:
«Io credo che una volontà muova l’universo e animi la natura. Se la materia in quanto mossa mi rivela una volontà, la materia mossa secondo precise leggi mi rivela un’intelligenza. L’uomo è dunque libero nelle sue azioni e, come tale, animato da una sostanza immateriale. (...) Così, dopo aver dedotto dall’impressione degli oggetti sensibili e dal sentimento interno, che mi porta a giudicare delle cause secondo le mie cognizioni naturali, le principali verità che m’importava conoscere, mi resta da ricercare quali massime debba trarne per la mia condotta e quali regole debba prescrivermi per assolvere il compito toccatomi sulla terra, secondo le intenzioni di colui che mi ci ha posto. Seguendo sempre il mio metodo, non desumo tali regole dai principi di un’alta filosofia, ma le trovo in fondo al mio cuore scritte dalla natura a caratteri indelebili (...) la coscienza non inganna mai, è la vera guida dell’uomo: è per l’anima quel che l’istinto è per il corpo; chi la segue obbedisce alla natura e non teme di smarrirsi. (...) Tutta la moralità delle nostre azioni è nel giudizio che noi stessi ne diamo.»
Quindi deduce che questa divinità sia buona e creatrice di esseri in origine buoni:
«Questo essere che vuole e che può, questo essere attivo per se stesso, questo essere infine, qualunque esso sia, che muove l’universo e ordina tutte le cose, io lo chiamo Dio. Unisco a questo nome le idee di intelligenza, di potenza, di volontà, che ho già riunite, e quella di bontà che ne è una conseguenza necessaria... Ma credete voi che vi sia su tutta la terra un solo uomo tanto depravato da non aver mai abbandonato il suo cuore alla tentazione di far bene? Questa tentazione è così naturale e così dolce, che è impossibile resisterle sempre; e il ricordo del piacere che essa ha prodotto una volta è sufficiente a richiamarla senza posa. Disgraziatamente essa è dapprima penosa a soddisfare; vi sono mille ragioni per rifiutarsi all'inclinazione del proprio cuore; la falsa prudenza lo rinserra nei limiti dell’io umano; occorrono mille sforzi di coraggio per osare di superarli. Compiacersi di far bene è il premio per aver fatto bene, e questo premio non lo si ottiene che dopo averlo meritato. Niente è più amabile della virtù; ma bisogna gioirne per trovarla tale. Quando la si vuole abbracciare, simile al Proteo della favola, prende dapprima mille forme e non si mostra infine sotto la sua che a coloro che non hanno mai lasciato la presa.»
Etica
«Coscienza! Coscienza! Istinto divino, immortale e celeste voce; giudice infallibile; guida sicura di ogni essere ignorante e limitato, intelligente e libero; giudice infallibile del bene e del male, che rendi l’uomo simile a Dio, sei tu che fai l’eccellenza della sua natura e la moralità delle sue azioni; senza di te non sento niente in me che mi elevi al di sopra delle bestie, salvo il triste privilegio di sviarmi di errore in errore con l’aiuto di un intelletto senza regole e di una ragione senza principi. (...) Se la divinità non esiste solo il malvagio ragiona bene e il buono è uno stolto.»
Il concetto alla base del deismo, quello di una divinità eminentemente creatrice e ordinatrice, è immediatamente utilizzabile, nell'ambito della classificazione tra religioni rivelate e religioni in ottica etnologica, per identificare questi secondi modelli rispetto alle prime.
Nella religione rivelata infatti la divinità non esplica solo una funzione creatrice ma anche quella di censore/supervisore etico dell'uomo. Nel deismo questa posizione, seppur in polemica con i cristiani, emerge in Rousseau, che pur negando il Peccato Originale scrive anche che "Tutte le cose sono state create buone da Dio, tutte degenerano nelle mani dell’uomo".[24]
Questa modalità di intendere il profilo della divinità è una modalità contingente che si può ritrovare solo su sistemi di culto connessi con modelli sociali di tipo classistico. Il passaggio da modelli deistici a modelli teoetotomistici - corroborato da varie evidenze antropologiche - è stato invocato, ad esempio da Locke e Rousseau, per spiegare la credenza religiosa riguardo al peccato originale.
Le forme deistiche, non teoetomistiche, non contemplano infatti alcun concetto di peccato/corruzione/impurità. Questo implica che in esse la sfera etica sia sottratta dall'ambito confessionale, di fede.
L'uomo dunque non può conoscere il bene e il male. Secondo Rousseau l'uomo nasce neutro, semplificando molto un "buon selvaggio", e sono la società e l'educazione, non la natura o qualche peccato ereditato, a renderlo malvagio e intollerante; l'ordine politico dispotico è una pura creazione umana, non esiste diritto divino dei re ("l'uomo è nato libero, ma ovunque è in catene" scrive nel Contratto sociale).
Questa trasformazione socio culturale può essere infatti invocata in ambito ebraico-cristiano per interpretare il passaggio dalla condizione anteriore alla nascita della leggenda della manducazione del pomo dell'albero biblico - detto per l'appunto della conoscenza del bene e del male - in cui l'uomo, vivendo in contesti deistici non era in grado di sperimentare la condizione di conoscenza di eventuali gesti e scelte da intendere quale opposizione alla volontà della divinità (male) da gesti e atteggiamenti graditi alla stessa (bene). È immediata la possibilità di identificare questa valenza nel nome dato all'albero in questione, l'albero della conoscenza del bene e del male, dall'agiografo. La conoscenza del bene e male, vere e proprie categorie teologiche, è infatti possibile solo in un contesto dove la divinità emani norme e leggi o principi etici a cui l'individuo si deve attenere - pena l'incorrere in sanzioni/condanne. Secondo Voltaire e Rousseau, l'uomo può trovare comunque come individuo pensante alcuni valori fondamentali seguendo il proprio sentimento e la propria ragione, creando quindi un patto sociale. L'etica della reciprocità è considerata un principio importante.
Ispirazioni etiche
«Ciò che tu eviteresti di sopportare per te, cerca di non imporlo agli altri.»
La frase precedente attribuita a Voltaire è in realtà basata su un altro passo:
«Mi piaceva l'autore de L'Esprit [Claude-Adrien Helvétius]. Quest'uomo era meglio di tutti i suoi nemici messi assieme; ma non ho mai approvato né gli errori del suo libro, né le verità banali che afferma con enfasi. Però ho preso fortemente le sue difese, quando uomini assurdi lo hanno condannato.»
(Voltaire, Questions sur l'Encyclopédie, articolo "Homme")
Già nel discorso per l'approvazione della legge sull'Essere Supremo e la conferma della libertà di culto, il leader giacobino della rivoluzione franceseMaximilien de Robespierre descrisse la propria visione teorica di un deismo etico istituzionale a beneficio del popolo ancora tendente al cattolicesimo, che intendeva placare i conflitti interni seguiti al Regime del Terrore e arginare l'ateismo; tale visione è basata sulle teorie espresse da Rousseau e sulla libertà di culto propugnata da Voltaire:
«Il vero sacerdozio dell’Essere Supremo è quello della Natura; il suo tempio è l’universo; il suo culto, la Virtù; le sue feste, la gioia di un grande popolo, riunito sotto i suoi occhi per stringere i dolci nodi della fratellanza universale e per fargli omaggio dei propri cuori sensibili e puri.»
Gli illuministi hanno approfondito molto la questione etica deista; oltre a Rousseau, specialmente Voltaire e gli enciclopedisti.
Secondo loro Dio quindi non interverrà più nella creazione dell'universo che egli «lascia andare come va» e che non interferisce nella storia dell'uomo che secondo molti non sarà né condannato né premiato per le sue azioni (posizione anti-provvidenzialista che è invece condannata aspramente da Rousseau nella sua polemica con Voltaire[28]).
Rousseau afferma anche di aver «chiuso tutti i libri. Solo uno resta aperto davanti agli occhi di tutti, ed è quello della natura.»[29]
La guida dell'uomo nella sua condotta morale diviene così una religiosità laica, trasformazione della religione in morale naturale i cui precetti sono uguali per tutti gli uomini:
«Per religione naturale si devono intendere i principi morali comuni a tutto il genere umano.»
«I doveri a cui siamo tutti tenuti nei confronti dei nostri simili appartengono essenzialmente ed unicamente al dominio della ragione, e pertanto sono uniformi presso tutti i popoli. La conoscenza di questi doveri costituisce ciò che si chiama morale e rappresenta uno degli oggetti più importanti a cui la ragione possa riferirsi...»
(D'Alembert, Elementi di filosofia, VII)
Tra i doveri naturali va annoverato il nuovo concetto rivoluzionario di tolleranza che viene spesso riferito alla vita economica applicando il concetto illuministico della ragione operativa, nel senso di giudicare la razionalità dai suoi risultati pratici:
«Se ognuno avesse la tolleranza che qui sostengo, in uno stato diviso tra dieci fedi religiose vi sarebbe la stessa concordia che sussiste in una città nella quale varie categorie di artigiani si sopportano reciprocamente, Il risultato sarebbe quello di una onesta emulazione a chi meglio riesce a segnalarsi per pietà, per buoni costumi, per coscienza.»
«La natura dice a tutti gli esseri umani: (...) Qualora foste tutti dello stesso parere, cosa che sicuramente non succederà mai, qualora non ci fosse che un solo uomo di parere contrario, gli dovrete perdonare: perché sono io che lo faccio pensare come lui pensa. (...) Di tutte le superstizioni, la più pericolosa è quella di odiare il prossimo per le sue opinioni. (...) È cosa crudelissima perseguitare in questa vita quelli che non la pensano al nostro modo (...). Ma come! Sarà permesso a ciascun cittadino di non credere che alla sua ragione e di pensare ciò che questa ragione, illuminata o ingannata, gli detterà? È necessario, purché non turbi l'ordine.»
(Voltaire, Trattato sulla tolleranza)
«Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all'errore. Non resta dunque che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani.»
Questo metodo di giudizio riguarda anche la morale: per gli illuministi è moralmente buono solo ciò che rende possibile il conseguimento dell'utile sociale. Lo stesso valore di tolleranza non esclude che si possa professare la fede in una religione rivelata: questo però sarà consentito solo nell'ambito della morale privata e non in quello della morale pubblica:
«Reprimete con severità coloro che col pretesto della religione mirano a turbare la società, a fomentare sedizioni, a scuotere il giogo delle leggi; noi non siamo i loro apolegeti; ma non confondete con questi colpevoli coloro che vi chiedono solo la libertà di pensare, di professare il credo che giudicano migliore e che, per il resto, vivono da fedeli cittadini dello stato... Noi predichiamo la tolleranza pratica non quella speculativa, e si comprende a sufficienza la differenza che esiste tra il tollerare una religione e l'approvarla.»
Voltaire esemplifica nel Candido un modello di utopica società dove (a differenza della violenta e intollerante Europa) vige il deismo, la tolleranza e il buon senso, nei capitoli ambientati nell'Eldorado:
«Candido infine, che aveva sempre piacere alla metafisica, fece domandare da Cacambo se nel paese vi era una religione. Il vecchio arrossì un poco. «Ma come! disse, ne potete dubitare? Ci prendete forse per ingrati?» Cacambo gli domandò umilmente qual era la religione d’Eldorado. Il vecchio arrossì ancora. «Ci possono essere due religioni? disse. Noi abbiamo, credo, la religione di tutti, adoriamo Dio dalla sera alla mattina. – Adorate un solo Dio? disse Cacambo, che serviva sempre d’interprete ai dubbi di Candido – Evidentemente, disse il vecchio non ve ne sono né due, né tre, né quattro: io vi confesso che mi pare che le genti del vostro mondo fanno domande assai strane». Candido non si stancava di far interrogare questo buon vecchio: volle sapere in che modo si pregava Dio nell’Eldorado. «Non lo preghiamo, disse il buono e rispettabile saggio: non abbiamo nulla da chiedergli: ci ha dato tutto quello di cui abbiamo bisogno e noi lo ringraziamo continuamente».
Candido aveva la curiosità di vedere dei preti, e fece domandare dove fossero. Il buon vecchio sorrise. «Amici miei, disse egli, noi siamo tutti preti: il re e tutti i capi di famiglia cantano degl’inni di rendimento di grazie solennemente, e tutte le mattine cinque o seimila musici li accompagnano. – Come! voi non avete frati che insegnano, che disputano, che governano, che tramano e bruciano e che facciano bruciare la gente che non è del lor parere? – Bisognerebbe che noi fossimo ben pazzi, disse il vecchio: noi siamo tutti di un medesimo sentimento, e non intendiamo ciò che vogliate dire a proposito dei vostri frati.»
(Voltaire, Candido o l'ottimismo, "Quel che videro in Eldorado")
Vita oltre la morte
Il deismo non ha una posizione univoca sull'esistenza di una vita oltre la morte, anche se essa è generalmente ammessa, come pure in alcuni casi (Giuseppe Mazzini[32], Benjamin Franklin[33]) è ammessa la possibilità della reincarnazione.[34]
Voltaire nel Dizionario filosofico ammette di non poter né definire né escludere l'esistenza dell'anima, né comprendere la sua sostanza e come differenziarla da un corpo, quindi afferma di non poter aderire né al materialismo né allo spiritualismo.[35]
Le associazioni deiste moderne considerano la questione come non rilevante e lasciano ai loro aderenti la facoltà di autodeterminarsi, non imponendo lo scetticismo scientifico, anche spesso i deisti, essendo razionalisti, non credono a concezioni miracolistiche. Solitamente viene ammessa e accettata dai deisti l'immortalità dell'anima e in certi casi (come era sostenuto da Rousseau e da Locke) una forma di retribuzione, in una vita futura o in un aldilà (secondo Rousseau anche dopo aver ricevuto un premio immanente; anche solo il pensiero di aver fatto del bene è esso stesso un bene[36]). Tuttavia ciò è visto anche in funzione di miglioramento, infatti la maggioranza dei deisti non crede ad una punizione eterna come l'inferno, ma al massimo temporanea, vista come una forma di superstizione che nasconde, per ignoranza o per meri fini di controllo sociale, la benevolenza finale erga omnes e la razionalità divina, oppure la sua indifferenza a punire e occuparsi direttamente del mondo.[37] Chiunque è ritenuto vivere una vita degna e positiva, praticando la tolleranza, è comunque ben considerato anche se privo di fede o credenze in una religione rivelata.
«Il termine di deismo venne utilizzato già da Pierre Viret nel 1563, ma il movimento si affermò veramente soltanto nel XVII e nel XVIII sec. Ebbe diffusione soprattutto in Inghilterra, dove Herbert di Cherbury e in seguito Matthew Tindal, John Toland e Anthony Collins ne posero le basi concettuali nelle loro pubblicazioni, che suscitarono lo scandalo dei contemporanei. Nonostante la presenza di sensibilità diverse all'interno del movimento, il deismo fu caratterizzato dal vigore con il quale si oppose alla rivelazione biblica e alle istituzioni ecclesiastiche, in nome di una religione naturale che l'essere umano doveva essere in grado di scoprire con l'ausilio esclusivo della propria ragione. Sebbene i suoi adepti si richiamassero spesso a John Locke e al suo cristianesimo razionale e tollerante, essi divergevano dal suo pensiero per il carattere radicale del loro discorso. Equiparati agli atei [...] dagli apologisti cristiani, i deisti non negavano l'esistenza di Dio, ma denunciavano con fermezza le presunte incoerenze e persino l'immoralità della Sacra Scrittura, considerata tutt'al più come una congerie di contraddizioni, se non addirittura come un imbroglio sfruttato con abilità dalle autorità ecclesiastiche. Essa veniva a questo modo spogliata da qualunque carattere sacro. Eppure, nonostante il suo carattere radicale e polemico, la riflessione deista sull'Antico e sul Nuovo Testamento contribuì allo sviluppo della critica biblica, in particolare per quanto riguarda l'accertamento delle componenti giudaiche e cristiane, la storia del canone e l'interpretazione delle profezie.»
«Deismo: Orientamento di pensiero che riconosce l’esistenza di un Dio come prima causa, creatore e ordinatore del mondo: tale credenza (che, stabilita dalla ragione naturale, costituisce insieme all’immortalità dell’anima il nucleo della religione naturale), pur non essendo, per molti aspetti, in contrasto con posizioni teologiche delle Chiese cristiane, storicamente assume – lungo il sec. 17° e soprattutto nel 18° – un significato polemico contro le religioni storiche, le Chiese, contro l’idea di rivelazione o di mistero, in nome della ragione e della libertà di coscienza. Il termine deriva dal latino deus, come teismo dal greco ϑεός. I due termini, d. e teismo (il primo appare già nel 16° sec., forse usato per la prima volta dal calvinista M. Viret; il secondo fu messo in voga da Cudworth) furono sentiti come equivalenti ancora nell’Ottocento; [...] Storicamente il d. si matura nel Sei e Settecento, in relazione al nascere di una ragione critica e storica, alla crisi della coscienza religiosa tradizionale fortemente scossa dalle polemiche tra cattolici e riformati, alla scoperta di religioni antichissime e diverse dalla cristiana: in nome della ragione il d. combatte il dogmatismo delle religioni positive e cerca di definire, al di là delle differenze delle Chiese, un nucleo primordiale e «naturale» (perché conforme a ragione) della religione, in cui tutti gli uomini possano concordare, mentre considera le dottrine caratterizzanti le religioni storiche come aggiunte che spesso tradiscono quel nucleo essenziale («religione naturale»). Il d. diviene quindi promotore di ideali di tolleranza religiosa e di una critica assidua del soprannaturale, del miracoloso, dell’autoritario, di tutti quegli elementi insomma che sembrano sempre più annullare, introducendo spirito settario, l’universalità della religione naturale.»
( Deismo, in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.)
^Frede, Victoria (2011). Doubt, Atheism, and the Nineteenth-Century Russian Intelligentsia. University of Wisconsin Pres. p. 57. ISBN 9780299284442. Schiller was no atheist: he preached faith in God and respect for the Bible, but he condemned Christianity (both Catholic and Protestant forms) as a religion of hypocrisy
^Müntz, Eugène (2011). Leonardo Da Vinci. Parkstone International. p. 80. ISBN 9781780422954. To begin with, even if it could be shown - and this is precisely one of the points most in dispute - that Leonardo had broken with the teachings of the Catholic Church, it would still be nonetheless certain that he was a deist and not an atheist or materialist.
^Marie Courtemanche, Napoléon et le sacré, Editions du Cerf, 2019, cap. VII
^Come si nota nel capitolo finale del suo libro Dal Big Bang ai buchi neri, in cui usa l'espressione "mente di Dio" e in cui parla di un Dio orologiaio esterno all'universo
«It is clear that by the time Armstrong returned from Korea in 1952 he had become a type of deist, a person whose belief in God was founded on reason rather than on revelation, and on an understanding of God's natural laws rather than on the authority of any particular creed or church doctrine. While working as a test pilot in Southern California in the late 1950s, Armstrong applied at a local Methodist church to lead a Boy Scout troop. Where the form asked for his religious affiliation, Neil wrote the word "Deist."»
(James R. Hansen, First Man: The Life of Neil A. Armstrong, Simon & Schuster, 2005, p. 33)
«Che c’è in comune tra i preti e Dio? I preti stanno alla morale come i ciarlatani alla medicina. Com’è diverso il Dio della Natura da quello dei preti! Nulla vi è più assomigliante all’ateismo delle religioni da loro create. A forza di sfigurare l’Essere Supremo hanno distrutto quanto di questi vi era in loro; ne hanno fatto una palla di fuoco, un bue, un albero, un uomo, un re. I preti hanno creato Dio a propria immagine: l’hanno fatto apparire geloso, capriccioso, avido, crudele e implacabile. L’hanno trattato come un tempo i prefetti di palazzo trattavano i discendenti di Clodoveo, per regnare a suo nome a prenderne il posto. L’hanno relegato nel cielo come in un palazzo e l’hanno chiamato sulla terra solo per chiedergli a proprio vantaggio decime, ricchezze, onori, piaceri e poteri. Il vero sacerdozio dell’Essere Supremo è quello della Natura; il suo tempio è l’universo; il suo culto, la Virtù; le sue feste, la gioia di un grande popolo, riunito sotto i suoi occhi per stringere i dolci nodi della fratellanza universale e per fargli omaggio dei propri cuori sensibili e puri.»
(Maximilien de Robespierre, Sui rapporti delle idee religiose e morali con i principi repubblicani e sulle feste nazionali, discorso tenuto alla Convenzione il 7 maggio 1794)
«Pare sempre che Voltaire creda in Dio. In realtà egli non ha mai creduto che al diavolo. Il suo preteso Dio è soltanto un essere che fa del male e prende gusto solo a nuocere. L'assurdità di questa dottrina salta agli occhi, ma soprattutto è rivoltante in un uomo colmato di ogni bene che, dalla rocca della sua buona sorte, cerca di indurre alla disperazione tutti i suoi simili con l'immagine penosa e crudele di tutte le calamità da cui egli è immune. Poiché sono più autorizzato di lui a contare e pesare i mali della vita umana, ne feci un esame equilibrato e gli provai come di tutti questi mali non ve sia uno solo imputabile alla Provvidenza o che non abbia la sua matrice nell'abuso compiuto dall'uomo delle sue facoltà anziché nella natura stessa. (...) Dopo di che Voltaire ha pubblicato la risposta che mi aveva promesso, ma che non mi è mai stata inviata, ed essa non è altro che il romanzo di Candide, di cui non posso parlare perché non l'ho letto.»
^Lettera di T.P. Le Nieps a Rousseau, 30 novembre 1764, in Corrispondenza generale di J.-J. Rousseau, editori T. Dufour e P.P. Plan, Paris, 1924-1934, 20 volumi, volume XII, p.104
^«Noi crediamo in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un miglioramento ulteriore…» (Mazzini, in E. Bratina, op. cit., pag. 70); «La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo, II)
^"When I see nothing annihilated (in the works of God) and not a drop of water wasted, I cannot suspect the annihilation of souls, or believe that He will suffer the daily waste of millions of minds ready made that now exist, and put Himself to the continual trouble of making new ones. Thus, finding myself to exist in the world, I believe I shall, in some shape or other, always exist; and, with all the inconveniences human life is liable to, I shall not object to a new edition of mine, hoping, however, that the errata of the last may be corrected"
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