Il territorio si estende su 1.099 km² ed è suddiviso in 56 parrocchie, raggruppate in 12 zone pastorali.
Storia
Diocesi di Conversano
Secondo la tradizione petrina, comune a molte diocesi della Puglia e in genere dell'Italia meridionale, il cristianesimo fu diffuso a Conversano dallo stesso apostolosan Pietro. Alcuni autori hanno attribuito un'origine antica a questa sede pugliese, ed hanno inserito nella cronotassi episcopale una serie di vescovi spuri, la cui storicità è stata ormai da tempo messa in dubbio.[1] Come è accaduto per numerose altre comunità ecclesiali paleocristiane ed altomedievali dell'Italia meridionale, la paternità apostolica nella fondazione delle Chiese locali è stata di frequente introdotta fittiziamente al fine di procurarsi una patente di antichità ed un surplus di sacralità funzionali all'accrescimento del prestigio della propria sede vescovile. «I dittici conversanesi inanellano così, sia pure con intermittenza, vescovi apocrifi che risalgono al V secolo…, proseguono con Gerico e Simparide nell'VIII secolo, sfumano negli anonimi dell'XI attinti da bolle e narrazioni apocrife».[2]
La diocesi conversanese è nata probabilmente soltanto nell'XI secolo dopo la conquista normanna della regione, all'epoca di Goffredo di Conversano, fautore della latinizzazione, e che favorì con donazioni e privilegi diversi monasteri sorti nel territorio. Il primo vescovo documentato è Leone, la cui firma appare in molti diplomi della fine del secolo, tra il 1081 e il 1096. La sede diocesana fu sin dalle origini suffraganea dell'arcidiocesi di Bari.
Arcipretura Nullius Dioecesis di Rutigliano
In ambito giurisdizionale e della cura d'anime, significative furono le annose controversie che contrapposero per secoli i vescovi conversanesi agli arcipreti mitrati dell'antica nullius dioecesis della vicina Rutigliano, la quale fu per secoli un'isola ecclesiastica autonoma rispetto alle circoscrizioni episcopali contigue.
La Chiesa rutiglianese infatti, sin dall'epoca della sua fondazione - avvenuta nella prima metà dell'XI secolo -, fu dichiarata libera da ogni sorta di giurisdizione vescovile ed arcivescovile, per concessione pontificia ricevuta da papa Niccolò II, attraverso una bolla inviata dal 1059[3], in seguito confermata dallo stesso vescovo di Conversano Sassone nel 1118. Per oltre sei secoli, gli arcipreti della Collegiata di Santa Maria della Colonna di Rutigliano furono nominati direttamente dalla Santa Sede ed esercitarono giurisdizione "quasi episcopale" sul clero e la popolazione locale, con la facoltà di possedere proprie insegne prelatizie, di indossare mozzetta, mitra, pastorale e fregiarsi dell'uso della cappa magna durante la celebrazione delle messe pontificali. Sino al 1662, la Chiesa di Rutigliano e i suoi alti prelati godettero pienamente del privilegio di nullius dioecesis e, successivamente, seppur con discontinuità, continuarono ad esercitarlo de facto fino al 1811 quando, con decreto regio, l'arcipretura curata fu declassata a prelatura di prima classe, pur preservando il riconoscimento dello speciale protettorato della Corona da parte della casa regnante. Alla chiesa arcipretale di Rutigliano, per la quale il primicerio Giannangelo Settanni aveva richiesto nel 1831 l'erezione a concattedrale diocesana al fine di dirimere le dispute inveterate, fu riconosciuto lo status di Reale insigne collegiata.
Fin dalla sua fondazione, la chiesa conversanese dovette fronteggiare diverse dispute relativamente all'esercizio della propria giurisdizionale sul territorio.
Il conte Goffredo aveva elargito benefici e privilegi al monastero benedettino di Conversano, tra cui il controllo e la giurisdizione "quasi episcopale" sul territorio di Castellana. Papa Pasquale II confermò questi privilegi, sottomettendo il monastero alla diretta protezione della Santa Sede.[4] Quando nel 1266 ai benedettini subentrarono le benedettine, le abbadesse (chiamate "badesse mitrate") difesero strenuamente questi privilegi, provocando una serie di conflitti con il vescovo, fino agli inizi dell'Ottocento quando i privilegi furono abrogati.
Una terza situazione di conflittualità riguardò i rapporti tra i vescovi di Conversano e gli arcipreti mitrati di Rutigliano, i quali, in forza di una bolla del vescovo Sassone del 1118, contenuta in una bolla perduta di papa Sisto IV del 1473,[2] rivendicavano la giurisdizione nullius, ossia esente dal controllo dei vescovi conversanesi, sulla città e il territorio di Rutigliano; questo privilegio fu parzialmente ridotto nella seconda metà del Seicento e soppresso in via definitiva agli inizi dell'Ottocento.
Nella seconda metà del Cinquecento il vescovo Francesco Maria Sforza (1679-1605) si impegnò per l'attuazione delle riforme stabilite al concilio di Trento, ricostruì il palazzo episcopale, attuò una politica per la razionalizzazione delle risorse diocesane, accolse in diocesi i cappuccini e favorì la fondazione di nuove confraternite.
Il Seicento fu caratterizzato dalla figura del vescovo Giuseppe Palermo (1658-1670), che consacrò la cattedrale e fu fautore della costruzione di nuove chiese cittadine; nel 1660 celebrò un sinodo diocesano; si impegnò con ardore per rivendicare i diritti della mensa episcopale sul monastero cittadino di San Benedetto, favorito dalla bolla Inscrutabili, con cui papa Gregorio XV nel 1622 aveva soppresso tutte le nullius dioecesis. Ma la caparbietà con cui le "badesse mitrate" difesero i loro diritti, portò al trasferimento del presule nella minuscola arcidiocesi di Santa Severina.
All'inizio del Settecento, il vescovo Filippo Meda (1702-1733), milanese nativo di Canzo e autore di diverse opere di carattere teologico e ascetico, fondò 16 aprile 1703 il seminario diocesano e restauro in forme barocche gli interni della cattedrale. Il seminario trovò una nuova sede nell'Ottocento con il vescovo Gennaro Carelli (1797-1818), e un nuovo impulso, con metodi nuovi di insegnamento, con il vescovo Giuseppe Maria Mucedola (1848-1865). Con Casimiro Gennari (1881-1891), il seminario fu trasferito nuovamente all'interno del palazzo vescovile.
Nel 1911 un incendio distrusse completamente gli interni della cattedrale; a parte pochi arredi salvati dalle fiamme, fu possibile recuperare solo la facciata e la parte absidale; la ricostruzione, promossa dai vescovi Antonio Lamberti e Domenico Lancellotti, fu completata nel 1926, quando la cattedrale venne riaperta al culto.
«L'episcopato più lungo del XX secolo è quello di Gregorio Falconieri (1935-1964): a lui si deve l'erezione canonica di undici parrocchie durante il periodo bellico; presule di rigido stampo tradizionalista, non esitò a far pesare la sua forte autorità in favore del partito democristiano nelle elezioni politiche del 1948 e 1956. Le sue precarie condizioni di salute gli consentirono appena l'iniziale partecipazione al concilio Vaticano II.»[2]
Secondo la tradizione storiografia locale, la sede vescovile di Monopoli deriverebbe da quella di Egnazia, sede pugliese documentata agli inizi del VI secolo con il vescovo Rufenzio, che prese parte ai concili romani indetti da papa Simmaco. Questi è anche l'unico vescovo noto di Egnazia, la cui sede scomparve alla fine del VI o gli inizi del VII secolo, in concomitanza con la decadenza della città.[7] Non è tuttavia documentato storicamente nessun trasferimento di sede da Egnazia a Monopoli, le cui prime attestazioni episcopali risalgono solo all'XI secolo.[8]
Nella seconda metà del X secolo la città di Monopoli appare tra i possedimenti dei vescovi brindisini, che dall'VIII secolo avevano la loro sede a Oria. Infatti, dopo la morte cruenta del vescovo Andrea nel 979, sembra che i vescovi di Brindisi abbiano trasferito momentaneamente la loro sede a Monopoli, come si evincerebbe da un diploma del 996 di Gregorio, successore di Andrea, che nell'atto si firma come episcopus Ecclesie Brundisine et Monopolitane seu Stunense civitatis, ossia "vescovo di Brindisi e Monopoli o della città di Ostuni".[9]
Agli inizi dell'XI secolo, la sede brindisina fu elevata al rango di arcidiocesimetropolitana, ed inizialmente le furono assegnate due diocesi suffraganee di nuova istituzione, Monopoli e Ostuni. Il primo vescovo documentato di Monopoli è Leone, che nel 1033 è confermato come vescovo suffraganeo di Giovanni di Brindisi; il nome di Leone appare anche in un diploma del 1037, redatto nel sesto anno del suo presulato.[10]
Con il vescovo Romualdo, la sede monopolitana ottenne di essere esentata dalla suffraganeità brindisina, e con due bolle di papa Urbano II del 1091 divenne immediatamente soggetta alla Santa Sede, status confermato da Pasquale II nel 1110 e da Callisto II nel 1123.[11] «Fondamentale nella storia della città è la figura del vescovo Romualdo; fu lui a farsi committente dell'originaria cattedrale romanica, e a divenire il mentore del culto mariano: si sviluppò infatti, avvolto da suggestivi contorni letterari, il culto della Madonna della Madia la cui icona viene fatta approdare sulle coste il 16 dicembre 1117, evento di cui ancor oggi si celebra la festa.»[2] Sempre all'epoca di Romualdo, il monastero benedettino di Santo Stefano, a sud di Monopoli, fu dotato di privilegi e reso esente dalla giurisdizione vescovile; lo stesso Romualdo concesse agli abati, cui successero nel 1317 i balì dell'ordine ospedaliero dei Cavalieri di Malta, la giurisdizione spirituale sulla città e il territorio di Fasano, che ritornerà sotto la piena giurisdizione dei vescovi monopolitani solo nel 1811.
In epoca tridentina si distinsero in particolare Fabio Pignatelli (1561- 1568), che prese parte al concilio di Trento e si adoperò per la riforma del clero diocesano; Giacomo Macedonio (1608-1624) e Francesco Surgente (1640-1651), che tentarono inutilmente di recuperare la giurisdizione vescovile su Fasano; e Giuseppe Cavalieri (1664-1696), che nel 1668 istituì il seminario diocesano. Nel XVIII secolo il vescovo Francesco Iorio (1738-1754) vide la demolizione della vecchia cattedrale e iniziò l'edificazione della nuova, che fu consacrata dal vescovo Giuseppe Cacace nel 1773.
Il 27 giugno 1818, in concomitanza con la riorganizzazione delle diocesi del Regno di Napoli, in forza della bollaDe utiliori di papa Pio VII, a Monopoli fu aggiunto il territorio della soppressa diocesi di Polignano. La stessa bolla confermò la dipendenza della diocesi direttamente dalla Santa Sede, privilegio che conservò fino al 20 ottobre 1980 quando, con la bolla Qui Beatissimo Petro di papa Giovanni Paolo II, Monopoli perse la sua autonomia e divenne suffraganea dell'arcidiocesi di Bari.
Il 21 gennaio 1970 Antonio D'Erchia, già vescovo di Monopoli, fu nominato anche vescovo di Conversano, unendo così in persona episcopi le due sedi. Abitualmente il vescovo risiedeva a Monopoli.
Il 30 settembre 1986 con il decreto Instantibus votis della Congregazione per i vescovi, nel quadro più ampio della revisione delle circoscrizioni ecclesiastiche in Italia, le due sedi di Conversano e di Monopoli furono unite con la formula plena unione e la nuova circoscrizione ecclesiastica ha assunto il nome attuale. Contestualmente il vescovo ha trasferito la sua residenza nella città di Conversano.
Nei primi anni Duemila, la diocesi si è dotata di diverse istituzioni culturali e religiose, tra cui il Museo diocesano di Monopoli (29 giugno 2002), il Museo didattico di Arte e Storia sacra di Rutigliano (10 marzo 2016), e la Pinacoteca diocesana di Conversano (17 marzo 2016).
Cronotassi dei vescovi
Si omettono i periodi di sede vacante non superiori ai 2 anni o non storicamente accertati.
^La storiografia tradizionale ha trasmesso i nomi di alcuni vescovi (Basilio nel 649, Eucherio nel 701 e Selperio nel 720), derivanti da documenti spuri. Kehr, Italia pontificia, IX, p. 373.
^Kehr, Italia pontificia, IX, pp. 375-376, nnº 6-9.
^Cronotassi iconografia e araldica dell'Episcopato pugliese, Regione Puglia 1984, p. 234.
^La leggenda del prete Gregorio racconta di un prodigio avvenuto nel 754 nella cattedrale di Bari legato all'immagine dell'Odigitria; Maurenziano, arcivescovo di Bari, avrebbe chiamato come testimoni del fatto due vescovi, Ottone di Bitonto e Simparide di Conversano. Questo racconto agiografico, ripreso dagli storici locali, è all'origine della presenza di questi tre vescovi nelle cronotassi delle rispettive diocesi.
^Kehr, Italia pontificia, IX, pp. 358 e 359, nº 1 - nota.
^Kehr, Italia pontificia, IX, p. 358. Ughelli riporta l'anno 1120 ma senza alcuna indicazione documentaria (Italia sacra, VII, col. 703.
^abcdefghKamp, Kirche und Monarchie…, II, pp. 625-629.
^In un diploma del 1101, si dice che quello era il venticinquesimo anno del suo episcopato. Kehr, Italia pontificia, IX, p. 375, nota al nº 6.
^Documentato storicamente nel 1123 e nel 1133. Kehr, Italia pontificia, IX, p. 376, nº 9.
^Documentato storicamente nel 1150 e nel 1154. Kehr, Italia pontificia, IX, p. 376, nº 11.
^Secondo Kamp (Kirche und Monarchie…, II, p. 496, note 6-7-8), Stefano, documentato da febbraio 1177 a febbraio 1181, potrebbe essere stato eletto tra luglio 1176 e febbraio 1177; infatti nel concilio del 1179 si firma come terzo anno del suo episcopato e febbraio 1177 è la sua prima menzione documentaria. Questo vescovo potrebbe essere morto nel 1187, come dice Ughelli, perché nel maggio 1188 la diocesi era vacante.
^abcdefghijkKamp, Kirche und Monarchie…, II, pp. 495-500.
^Ughelli e Gams indicano come date estreme del suo episcopato il 1227 e il 1238.
^Erroneamente chiamato Giulio da Ughelli e dagli autori che ne dipendono.
Michele Fanizzi (a cura di), Istoria di Monopoli del primicerio Giuseppe Indelli, nuova edizione con note di Cosimo Tartarelli, Fasano, Schena editrice, 2000