L'odierna diocesi è frutto della piena unione di tre sedi episcopali distinte, ognuna con una sua storia.
Venosa
La diocesi di Venosa è di origine antica. Essa è legata alla memoria del santo vescovo Felice di Tibiuca, che secondo alcune versioni della sua Passio avrebbe subito il martirio a Venosa nel 303.[2]Ferdinando Ughelli[3] attribuisce alla diocesi di Venosa tre vescovi, Filippo (238), Giovanni (443) e Asterio (493), che sarebbero frutto di fantasia[4] e perciò destituiti di storicità[5].
Primo vescovo storicamente documentato è Stefano, menzionato nell'epistolario di papa Gelasio I e che prese parte ai concili indetti a Roma da papa Simmaco nel 501 e nel 502. Ada Campione fa notare che «durante i lavori del concilio del 502 Stefano di Venosa interviene con notevole fermezza nella discussione relativa alla salvaguardia dei possedimenti ecclesiastici dalle intromissioni dei laici. Il suo intervento, in linea con quanto sostenuto dai vescovi Lorenzo di Milano, Pietro di Ravenna ed Eulalio di Siracusa – diocesi che avevano una notevole consistenza patrimoniale – può anche far ipotizzare l'esistenza nel Venosino di proprietà ecclesiastiche di una certa entità sul cui possesso e sulla cui amministrazione ecclesiastici e laici dovettero essere spesso in disaccordo».[6] All'epoca del vescovo Stefano possono essere attribuite le scoperte archeologiche ed epigrafiche che hanno portato alla luce un complesso episcopale, inglobato successivamente nell'abbazia della Santissima Trinità.
Della diocesi di Venosa non si hanno più notizie fino a quando la città viene conquistata dai Normanni nella prima metà dell'XI secolo e diviene capitale della contea di Drogone d'Altavilla; a lui si deve la fondazione dell'abbazia della Santissima Trinità, consacrata da papa Niccolò II nel 1059. Alla cerimonia era presente anche il vescovo Morando[7], primo vescovo medievale attribuibile con certezza alla sede venosina.
Il 27 giugno 1818 la diocesi di Lavello fu soppressa e il suo territorio venne incorporato nella diocesi di Venosa. Da questo momento la diocesi risultava composta da Venosa, Forenza, Maschito, Spinazzola, Castello del Garagnone e Lavello.[8]
Il 14 ottobre 1901 fu fondata a Venosa la prima cassa rurale cattolica del Potentino, per iniziativa del vescovo Lorenzo Antonelli.[9]
Il 21 agosto 1976 Venosa fu sottratta, dopo quasi un millennio, alla metropolia di Acerenza e divenne suffraganea dell'arcidiocesi di Potenza e Marsico Nuovo, contestualmente elevata a sede metropolitana della Basilicata.[11] L'8 settembre successivo alcune modifiche territoriali hanno portato alla cessione del comune di Spinazzola alla diocesi di Gravina e all'acquisizione del comune di Montemilone dalla diocesi di Andria.[12]
Era fin dalle origini diocesi immediatamente soggetta alla Santa Sede. Questa speciale condizione fu ribadita da una bolla di papa Eugenio III del 1152, con la quale il pontefice definiva anche i confini della diocesi e le chiese sottoposte all'autorità del vescovo.[14] «La Chiesa di Rapolla comprendeva i centri abitati di Atella e Ripacandida di rito latino, Rionero, Barile e Ginestra di rito greco»[15]; questi ultimi furono ricondotti al rito latino dal vescovo Deodato Scaglia (1626-1644). Tra le principali istituzioni della diocesi v'era la cattedrale, in origine dedicata all'Assunta, servita da un capitolo formato da un arcidiacono, un cantore, un tesoriere e dieci canonici; e le badie di Santa Maria di Pierno e San Michele in Vulture a Monticchio.
Tra i vescovi di Rapolla si possono ricordare: Giovanni II (1237-1255), che portò termine la costruzione della cattedrale, che fu tuttavia distrutta qualche anno dopo; Pietro (1305), che fu confessore del re Roberto d'Angiò; Malitia de Gesualdo (1482-1488), uomo di talento, segretario di papa Innocenzo VIII; Gilberto Sanilio (1506-1520), che prese parte al concilio Lateranense V.
La diocesi di Melfi è stata eretta nell'XI secolo in seguito all'arrivo nella regione dei Normanni, e fin dall'inizio fu immediatamente soggetta alla Santa Sede. Secondo una bolla del 1037, ritenuta dalla maggioranza degli storici un falso[16], la diocesi sarebbe stata fondata prima dell'arrivo dei Normanni dall'arcivescovo Nicola I di Bari e sottoposta alla metropolia barese.
Se si esclude il vescovo Giovanni, menzionato nella bolla del 1037, il primo vescovo noto della sede melfitana è Baldovino, che prese parte ai primi tre concili melfitani, e che per un certo periodo fu sospeso da papa Gregorio VII per i suoi eccessi. Nel quarto concilio, celebrato nel 1101, papa Pasquale II concesse al vescovo Guglielmo e ai suoi successori il privilegio di dipendere direttamente da Roma e da nessun metropolita locale. Per un certo periodo, nel corso del XII secolo, la diocesi di Lavello fu unita a quella di Melfi.
La diocesi comprendeva la sola città di Melfi con il territorio circostante;[19] grazie ad alcuni privilegi concessi da Ruggero I di Sicilia nel 1068, la diocesi fu dotata dei feudi di Gaudiano e di Sassolo (o Salsola), che permise ai vescovi di fregiarsi del titolo di conte;[20] queste donazioni furono confermate da re e papi successivi nel 1296, nel 1324 e nel 1447.
Nell'attuazione dei decreti del concilio di Trento si distinsero i vescovi Alessandro Ruffino (1548-1574), Gaspare Cenci (1574-1590) e Placido De Marra (1595-1620), ognuno dei quali celebrò un sinodo diocesano. Nel sinodo del 1598 furono emanate le regole per la vita del seminario vescovile, che risulta già attivo alla fine del XVI secolo. Tra i vescovi post-tridentini si possono ricordare: Lazzaro Carafino (1622-1626), che fece collocare nella cattedrale alcune reliquie care alla devozione popolare; Deodato Scaglia (1626-1644), che fece la visita pastorle della diocesi e prese provvedimenti per ripristinare la disciplina del clero; Antonio Spinelli (1697-1724), che istituì a Rapolla un monte frumentario; Mondilio Orsini (1724-1728), che impose ai parroci l'obbligo di formare l'archivio parrocchiale; Filippo de Aprile (1792-1811), che sostenne la rivoluzione contro il governo borbonico e per questo motivo venne incarcerato.
Il terremoto del 14 agosto 1851 devastò Melfi e Rapolla e distrusse i principali monumenti delle diocesi; un altro terremoto devastò la regione nel 1857.
Negli avvenimenti che portarono alla proclamazione del Regno d'Italia, il vescovo Ignazio Sellitti (1849-1880), fedele alla famiglia reale borbonica, si inimicò la maggior parte del suo clero, favorevole invece all'unità; per questo motivo dovette abbandonare la diocesi nel 1860, per farvi ritorno solo sei anni dopo.
Il 30 aprile 1924, con la nomina di Alberto Costa, la diocesi di Melfi e Rapolla fu unita in persona episcopi alla diocesi di Venosa. Le sedi rimasero vacanti dal 1966 fino al 1973, quando la Santa Sede decise di nominare l'arcivescovo di Acerenza Giuseppe Vairo vescovo di Melfi e Rapolla e vescovo di Venosa; l'unione in persona episcopi con Acerenza durò fino al 1976.
Il 30 settembre 1986, con il decreto Instantibus votis della Congregazione per i Vescovi, le tre sedi di Melfi, di Rapolla e di Venosa sono state unite con la formula plena unione e la circoscrizione ecclesiastia ha assunto il nome attuale.
Cronotassi dei vescovi
Si omettono i periodi di sede vacante non superiori ai 2 anni o non storicamente accertati.
^Ada Campione, Cristianizzazione e nuclei agiografici della Basilicata in epoca tardoantica, in Siris 12 (2012), p. 95. Sulla figura di Asterio tuttavia, cfr. T. Pedio, La Basilicata dalla caduta dell'impero romano agli Angioini, vol. II - La Basilicata longobarda, Bari, 1987, p. 72, che ritiene "accettabile" l'esistenza storica di Asterio.
^Cristianizzazione e nuclei agiografici della Basilicata..., p. 100.
^Paul Kehr, Italia pontificia, IX, Berolini, 1962, p. 492, nº *3.
^Una bolla del 1037, che attesterebbe la fondazione della diocesi di Melfi e l'esistenza di quella di Rapolla, è considerata dalla maggior parte degli storici un falso. Giovanni Antonucci, Il vescovato di Melfi, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania.
^Paul Kehr, Italia pontificia, IX, Berolini, 1962, p. 501, nº 4.
^Giovanni Antonucci, Il vescovato di Melfi, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania 1936, pp. 35-39. Testo della bolla in: Araneo, Notizie storiche della città di Melfi, pp. 112-114 (l'autore ritiene autentica la bolla).
^ Enrico Artifoni, Storia medievale, p. 336, Donzelli Editore, 1998. ISBN 88-7989-406-4
^ AA. VV, Basilicata Atlante Turistico, p. 16, Istituto Geografico De Agostini, 2006.
^Su questi primi tre vescovi, inseriti da Ferdinando Ughelli nella cronotassi di Venosa (Italia sacra, vol. VII, col. 168), Lanzoni è molto critico (op. cit., pp. 298-299). Anche: Paul Kehr, Italia pontificia, IX, Berlino 1962, pp. 488 e seguenti; Ada Campione, Cristianizzazione e nuclei agiografici della Basilicata in epoca tardoantica, in Siris 12 (2012), p. 95.
^Questo vescovo, che fu presente alla consacrazione della chiesa di Santa Maria della Foresta (o delle Rose) a Lavello, secondo Kehr è da eliminare dalla lista, perché in realtà si tratta di Pietro II, che partecipò alla riconsacrazione della medesima chiesa attorno al 1180. Inoltre alla consacrazione sarebbero stati presenti vescovi di diocesi che nel 1014 non erano ancora state erette (per esempio Bitetto e Minervino). G. Fortunato, La badia di Monticchio, Trani 1904, p. 343. G. Montano, Brevi note su poche iscrizioni antiche, Potenza, 1900, pp. 13-25.
^Anche questo vescovo, secondo Kehr, è da eliminare dalla cronotassi venosina, perché citato in un falso diploma.
^Kehr, Italia pontificia, IX, pp. 489 e 490 (nº 4).
^Secondo Kehr questo vescovo è da eliminare, perché il documento che lo menziona non dice affatto che fosse vescovo.
^Secondo Kamp (op. cit., p. 805, nota 17), l'identificazione del vescovo che venne ucciso da un chierico nel 1238 con Bono, documentato nel 1223, è una questione ancora aperta. Questa identificazione è riportata per la prima volta da Ughelli, Italia sacra, vol. VII, col. 172.
^Secondo Kamp (op. cit., p. 806), in assenza di documenti, non si può dire con sicurezza che il vescovo deceduto nel 1269 sia quel Giacomo menzionato nel 1256. La diocesi risulta essere vacante da giugno 1269 ad agosto 1270.
^Secondo Eubel Nicola Solimele e Nicola Gerolamo Porfido sono la stessa persona, mentre Gams distingue in due vescovi.
^Rafael Lazcano, Episcopologio agustiniano. Agustiniana. Guadarrama (Madrid) 2014, vol. I, p. 546-547.
^La sede era certamente vacante dal 30 marzo 1239 al 29 febbraio 1240.
^Gams inserisce un Guglielmo III nel 1261; secondo Kamp (op. cit., p. 493, nota 74), questo vescovo è da escludere.
^Questo vescovo ammesso nelle cronotassi di Ughelli, Gams ed Eubel, secondo Kamp (op. cit., p. 493, nota 74) è da escludere.
^Trasferito da Gallipoli da Ferdinando IV, senza ottenere la conferma pontificia. La Santa Sede considerò vacanti le sedi di Gallipoli e di Melfi, fino alla risoluzione della controversia nel concistoro del 27 febbraio 1792. L'Annuario Pontificio dopo il 1792 omette l'indicazione della sede da cui fu traslato l'arcivescovo di Capua.