Gli studiosi oggi ritengono che i diversi Florus possano identificarsi nella medesima persona.[1]
Le opere
Vergilius orator an poeta
A Publio Annio Floro (Publius Annius Florus) è attribuito un dialogo, di cui resta solo una parte dell'introduzione, concepita secondo lo stile dei dialoghi ciceroniani, in cui si ambienta la scena[2] e si introducono gli interlocutori; più nello specifico, la cornice è ambientata in un giardino che circonda un tempio vicino al porto di Tarragona, dove avviene l’incontro tra l'autore, poeta latino di origine africana, e uno straniero di passaggio, a cui egli inizia a raccontare vicende della sua vita. Nelle ultime frasi l'autore difende, contro la svalutazione dell'interlocutore, il proprio mestiere di maestro di scuola impegnato a insegnare la morale e la letteratura ai giovinetti attraverso la lettura di carmina.[3]
«La datazione dell’opera all’inizio del II secolo si ricava dalla menzione dei Giochi capitolini di Domiziano, a cui l’autore avrebbe partecipato anni prima, quand’era ancora giovanissimo (tibi puero), e di un trionfo sulla Dacia, che potrebbe essere identificato con quello celebrato da Traiano».[4]
L'argomento, consueto nelle scuole di retorica, se assegnare un autore al proprio genere o ad un altro, prelude alla valutazione di Virgilio come maestro di ogni sapere che si svilupperà nel tardo antico e avrà la sua massima espressione in Macrobio.
Poesie
Di Floro poeta ci sono rimasti, nell'Anthologia Latina, alcuni epigrammi[5] in trimetri trocaici e alcuni versi scherzosi indirizzati ad Adriano, con relativa ironica risposta dell'imperatore, riportati nella Historia Augusta:
(LA)
«Ego nolo Caesar esse / ambulare per Britannos / latitare per Germanos / Scythicas pati pruinas»
(IT)
«Io non voglio essere Cesare / e girare tra i Britanni / e nascondermi in Pannonia / e soffrire il gel polare!»
(Floro, Fr. I Di Giovine - trad. A. D'Andria)
Cui l'imperatore rispose:
(LA)
«Ego nolo Florus esse / ambulare per tabernas / latitare per popinas / culices pati rotundos»
(IT)
«Io non voglio essere Floro / e girare tra tuguri / imboscarmi per locande / patire tonde zanzare»
(Adriano)
I componimenti risultano, in genere, senza particolari pregi poetici, concentrandosi su temi abbastanza consueti, come la celebrazione delle rose[6] e della giovinezza.
Alcuni studiosi, in base alla consonanza tematica, hanno voluto attribuire a Floro poeta anche il Pervigilium Veneris, anche se questa ipotesi è oggi minoritaria.
Epistolario
Rimangono due frammenti delle lettere ad Adriano riportati da Carisio. Nel primo Floro confessa ad Adriano: «io mi diletto di poesia»; nell’altro lo intrattiene su cose storiche: «quasi preda tolta agli Arabi o ai Sarmati»[7].
Epitoma de Tito Livio
A Lucio Anneo Floro (Lucius Annaeus Florus)[8] è attribuita un'opera storico-retorica, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC libri duo: si tratta del riassunto di settecento anni di guerre romane, da Romolo ad Augusto, il cui titolo probabilmente non è autentico,[9] ma aggiunto successivamente e impropriamente, perché l'autore, se certamente attinge soprattutto a Tito Livio, se ne differenzia nello spirito e nell'impostazione (fino a contraddirlo)[10] e utilizza ampiamente altre fonti, quali Sallustio, Cesare e Seneca il Vecchio, registrando inoltre avvenimenti successivi alla trattazione liviana.[9]
Floro divide la storia romana in quattro età, come quelle della vita umana, secondo un criterio che aveva adottato Seneca il Vecchio nelle sue Historiae: il periodo monarchico (infanzia), l'età repubblicana fino alla conquista di tutta la penisola italica (adolescenza), le conquiste della tarda repubblica e la pacificazione sotto Augusto (maturità), l'età imperiale fino ad Adriano (vecchiaia), sebbene con Traiano al'Impero romano sia stata restituita una nuova giovinezza:[11]
«Se qualcuno dovesse contemplare il popolo romano come un singolo individuo e rivedere tutta la sua vita, come è nato, come è cresciuto, come è arrivato a quella che può essere chiamata la maturità della sua virilità e come in seguito, per così dire, abbia raggiunta la vecchiaia, troverà che è passato attraverso quattro fasi di progresso. Il primo periodo, quando era sotto il dominio dei re, è durato per quasi 400 anni,[12] durante i quali ha lottato contro i suoi vicini,[13] nelle immediate vicinanze della capitale. Questo periodo sarà la sua infanzia. Il suo periodo successivo si estende dal consolato di Bruto e Collatino a quello di Appio Claudio e Quinto Fulvio, uno spazio di centocinquanta anni,[14] durante i quali il popolo romano ha soggiogato l'Italia. Era un'epoca di attività estreme per i suoi soldati e le loro braccia,[15] e può quindi essere chiamato la sua gioventù. Il periodo successivo è dato dai centocinquanta anni fino al tempo di Cesare Augusto, durante il quale si è diffusa la pace in tutto il mondo.[16] Questa è stata la virilità e, per così dire, la maturità robusta dell'impero. Dal tempo di Cesare Augusto fino ai nostri anni vi è stato un periodo di non meno di duecento anni,[17] durante il quale, a causa della inattività degli imperatori, il popolo romano, per così dire, è divenuto vecchio e ha perduto la sua potenza, salvo che sotto il dominio di Traiano di nuovo mosse le braccia e, contrariamente alle aspettative generali, ancora una volta ha rinnovato il suo vigore con i giovani»
(Epitoma, I 1, 4-8 - trad. A. D'Andria)
L'opera è, come si nota anche solo dal brano riportato, un panegirico, pieno di retorica e di enfasi, del valore militare di tutto il popolo romano, di cui esalta le gesta dalle origini e che risale, come impostazione, alla dottrina stoica dei cicli e della palingenesi.[18] Se ne ricava, comunque, che l'opera risulta di scarso valore storico, dominata com'è da intenti retorici e moralistici, connessi con profondi motivi di propaganda imperiale del periodo in cui scrive: Floro, più che raccontare, elogia, come evidente dal fatto, ad esempio, che egli presenta l'epoca delle guerre puniche come un'epoca aurea ed incorrotta, lamentando l'eccesso di lusso e ricchezza del suo tempo.
Il testo risulta diviso in due libri, a loro volta divisi in capitoli.[19]
Il I libro contiene le guerre esterne dall'età monarchica al primo triumvirato:
Come anticipato nella ricapitolazione alla fine del I libro, il II libro contiene i conflitti del tramonto della Repubblica: sia le guerre civili sia le guerre esterne, in particolare la politica estera di Augusto, la cui consacrazione conclude il racconto.
La pace con i Parti[41] e la consacrazione di Augusto.
Lo stile particolarmente colorito della sua opera è stato interpretato da alcuni critici quasi un'anticipazione dei caratteri di ciò che sarà la letteratura africana, pagana e soprattutto cristiana, dei secoli successivi.[42]
Tentativo di biografia
Se le opere sin qui elencate possono riferirsi tutte al medesimo Floro, come pare probabile, è possibile tracciare un tentativo di biografia.
Floro visse all'incirca tra il 70/75 e il 145;[43] di origine africana, partecipò a Roma a una gara di poesia, nella quale non fu premiato, probabilmente per la gelosia di Domiziano. Sdegnato, Floro avrebbe allora lasciato la capitale e viaggiato a lungo nel Mediterraneo, fermandosi in Spagna, a Tarragona, dove insegnò retorica.[44]
Rientrato a Roma all'epoca di Adriano, di cui divenne amico,[45] si dedicò alla storia ed alla poesia, anticipando il gusto della scuola di coloro che saranno definiti poetae novelli.
In base all'evidenza interna, dovrebbe essere vissuto quantomeno fino al 140.[46]
(LA) L. Annaeus Florus, Quae exstant, Henrica Malcovati recensuit, Romae, typis Regiae Officinae polygraphicae, 1938; 2ª ed. 1972.
(LA, IT) L. Anneo Floro, Epitome e frammenti, a cura di Jolanda Giacone Deangeli, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1969, pp. 301-639, ISBN88-02-04291-8 (Con: Velleio Patercolo, Le storie, a cura di Leopoldo Agnes).
^Recentemente si è voluta suggerire una proposta di identificazione del contesto sacrale in cui è ambientato il dialogo con il tempio di Augusto sulla collina retrostante la città di Tarraco, in base ai cenni presenti al principio del dialogo e ad alcuni dati di ordine letterario e archeologico: S. Rocchi, Floro, Vergilius orator an poeta: un’ipotesi archeologica sull’ambientazione del dialogo presso il tempio di Augusto a Tarraco (con nuove note filologiche al testo), in Revisa d'Arqueologia de Ponent, n. 24 (2014).
^R. Tabacco, Introduzione a Vergilius orator an poeta, su DigilibLT.
^In realtà gli anni intercorsi tra l'anno tradizionale della fondazione di Roma da parte del primo re Romolo (753 a.C.) e quello dei primi consoli repubblicani sotto menzionati, Bruto e Collatino (509 a.C.), sono 244 e non "quasi 400".
^In realtà gli anni intercorsi tra il consolato di Bruto e Tarquinio (509 a.C.) e quello di Appio Claudio e Quinto Fulvio (212 a.C.) sono 297 e non "150".
^Gli anni intercorsi tra il consolato di Appio Claudio e Quinto Fulvio (212 a.C.) e la nascita di Augusto (63 a.C.) sono in effetti 149.
^Gli anni intercorsi tra la nascita di Augusto (63 a.C.) e l'epoca di Floro (ancora in vita nel 140 d.C.) sono in effetti circa 200.
^Cfr. C. Facchini Tosi, Il proemio di Floro: la struttura concettuale e formale, Bologna, Patron, 1990.
^«Altro punto di discussione è quello che riguarda i titoli dei capitoli. Vi furono essi posti dallo stesso Floro? Forse essi sono semplicemente dovuti all'opera di un amanuense o di uno studioso che li scrisse in margine, donde poi furono riportati nel testo. Forse servirono come suddivisione di studio per i giovani»: J. Giacone Deangeli, Introduzione a Floro, Epitome e frammenti, Torino, UTET, 1969, p. 308.
^Floro ricapitola qui la "prima età" della storia romana.
^Con questo capitolo Floro conclude la descrizione delle guerre esterne in quella da lui definita "seconda età" della storia romana e si concentra sulle discordie interne del medesimo periodo (soprattutto conflitto degli ordini e secessio plebis).
^Occasionali elogi della Spagna nell'opera storiografica, come, ad esempio, in I 22, 38, dimostrano il buon rapporto con questa provincia. Anche il Vergilius è ambientato in Betica, come si desume dalle prime righe del cap. 1.
^Letteratura Latina Cambridge, vol. 2, Da Ovidio all'epilogo, Milano, Mondadori, 2007, p. 712
Bibliografia
P. Zancan, Floro e Livio, Padova, Antenore, 1942.
C. V. Di Giovine, Carmina Flori, Bologna, Patron, 1988.
C. Facchini Tosi, Il proemio di Floro: la struttura concettuale e formale, Bologna, Patron, 1990.
S. Rocchi, Floro, Vergilius orator an poeta: un’ipotesi archeologica sull’ambientazione del dialogo presso il tempio di Augusto a Tarraco (con nuove note filologiche al testo), in "Revisa d'Arqueologia de Ponent", n. 24 (2014).
Floro, Epitome e frammenti, a cura di J. Giacone Deangeli, Torino, UTET, 1969.