Sisto Riario Sforza
Sisto Riario Sforza (Napoli, 5 dicembre 1810 – Napoli, 29 settembre 1877) è stato un cardinale e arcivescovo cattolico italiano. BiografiaNacque a Napoli il 5 dicembre 1810 da un'antica e nobile famiglia napoletana[1]. Iniziò gli studi filosofici e teologici presso la Congregazione della Missione. Ancora studente fu nominato da papa Leone XII abate commendatario di S. Paolo in Albano, abbazia che godeva del patronato giuridico della sua casata, prendendone possesso il 12 febbraio 1828. Si trasferì così a Roma dove proseguì gli studi presso il Seminario romano sotto la vigilanza dello zio cardinale Tommaso Riario Sforza. Venne ordinato sacerdote a Napoli il 15 settembre 1833 dall'arcivescovo cardinale Filippo Giudice Caracciolo, quindi ritornò a Roma dove conseguì le lauree in Giurisprudenza e Teologia. Papa Gregorio XVI lo incaricò per alcune missioni apostoliche e poi lo volle come segretario particolare. Canonico di S. Pietro e vicario della Collegiata di S. Maria in Via Lata, si dedicò all'apostolato fra i diplomatici e gli aristocratici. Divenne vescovo di Aversa il 24 aprile 1845 e ricevette l'ordinazione episcopale il 25 maggio dello stesso anno. Arcivescovo di NapoliIl 24 novembre 1845 fu nominato arcivescovo di Napoli; fu elevato al rango di cardinale da papa Gregorio XVI nel concistoro del 19 gennaio 1846 e fino alla nomina del cardinale Girolamo d'Andrea è stato il porporato italiano più giovane. Nello stesso anno partecipò al conclave che elesse il suo successore, Pio IX, il quale indisse il concilio Vaticano I, al quale prese parte lo stesso Sisto Riario Sforza, in qualità di padre conciliare. Dimostrò grande impegno nella cura pastorale. La prima attenzione fu per la qualità del clero secolare: curò una più attenta selezione dei candidati al presbiterato, riformò gli studi nei seminari, fondò biblioteche e accademie ecclesiastiche. Istituì nuove parrocchie per raggiungere meglio la popolazione sul territorio. Promosse vivamente la catechesi, la predicazione e le missioni popolari per accrescere l'educazione religiosa e morale. Dopo il 1860 incoraggiò la nascita di giornali e periodici cattolici, anche politici. Accolse a Napoli vari nuovi ordini religiosi e promosse l'istituzione di molte opere benefiche e di preghiera. Convinto fautore dell'intransigentismo, incentivò i culti mariani e al Sacro Cuore di Gesù - al quale consacrò la sua arcidiocesi nel 1875 - e precocemente sostenne il neotomismo, incoraggiando Gaetano Sanseverino e la rivista «La scienza e la fede» e l’Accademia di filosofia tomista da questi fondate nel 1841 e nel 1846 a contrastare le idee di Antonio Rosmini, di Vincenzo Gioberti e dell’ontologismo. Anche a carico del proprio patrimonio ebbe costante sollecitudine verso i bisognosi, dandone prova particolare durante le epidemie di colera del 1854-55 e del 1873 e l’eruzione del Vesuvio del 1861: la stima generale gli attribuì la fama di «Borromeo redivivo»[2]. La questione Enrichetta Caracciolo.Nella gestione della vicenda della monaca benedettina Enrichetta Caracciolo di Forino (la quale, dopo essere stata costretta dalla famiglia e dagli eventi ad assumere i voti claustrali, spese circa dieci anni della sua vita per riguadagnare la libertà) si attenne ai dettami del più retrivo e bigotto conservatorismo, negandole a più riprese - nonostante il favore della Santa Sede - il placuit vescovile alla vita fuori del convento e giungendo a farla recludere presso il Ritiro di Santa Maria delle Grazie a Mondragone all’epoca “in sostanza... destinato all’uso di ergastolo”[3]. Rapporti con il Regno d'ItaliaAll'ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli, il 7 settembre 1860, in una lettera espresse contrarietà all'unità d'Italia ed emarginò i sacerdoti che avevano seguito Garibaldi. Il 22 settembre fu espulso da Napoli. Si rifugiò prima a Genova e poi a Marsiglia e ritornò a Napoli il 30 novembre per intercessione di padre Ludovico da Casoria. Fu nuovamente espulso il 31 luglio 1861 e si rifugiò nello Stato Pontificio tra Roma e Terracina fino al ritorno a Napoli il 6 dicembre 1866[4][5]. Nel novembre 1869, mentre imperversava lo scontro tra il Papato e la Monarchia sabauda, rifiutò di benedire il neonato principe di Napoli – il futuro Vittorio Emanuele III – e di presenziare al Te Deum che si svolse nella basilica di San Lorenzo.[6] Morte e sepolturaMorì nella sua città natale il 29 settembre 1877 all'età di 66 anni. È sepolto in una cappella della chiesa dei Santi Apostoli dal 1927, anno in cui le sue spoglie furono traslate dalla tomba dove fu da principio deposto, sita nella chiesa di Santa Maria del Pianto. La causa di canonizzazioneIl processo di canonizzazione, avviato nel 1927, fu aperto formalmente nel 1947 e, dopo una lunga interruzione, venne ripreso nel 1995. Il 28 giugno 2012, durante l'udienza con il prefetto della Congregazione delle cause dei santi cardinale Angelo Amato, papa Benedetto XVI ratificò con decreto che il servo di Dio cardinale Sforza visse le virtù cristiane in modo eroico, riconoscendogli quindi il titolo di venerabile che attualmente detiene[2]. Genealogia episcopale e successione apostolicaLa genealogia episcopale è:
La successione apostolica è:
Ascendenza
Note
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