«In quella squadra c'erano la potenza gallese di John [Charles], la fantasia argentina di [Omar] Sívori e la sapienza tattica tutta italiana di [Giampiero] Boniperti.»
Il trio guidò il club torinese alla conquista di tre campionati italiani – tra cui il decimo titolo nazionale vinto nella Serie A 1957-1958, definito lo «scudetto della prima stella»[8][9] per il primato stabilito nell'albo d'oro della massima competizione – e due coppe nazionali consecutive dal 1958 al 1961, emergendo come uno dei più prolifici reparti d'attacco mai ammirati nella storia del calcio italiano. Il tridente Boniperti-Charles-Sívori contribuì a riportare la Juventus ai fasti del Quinquennio d'oro dell'anteguerra:[10] la squadra di quel quadriennio, composta anche da giocatori che diverranno decisivi quali il portiereCarlo Mattrel, il «centromediano sistemista» Sergio Cervato e le aliBruno Nicolè e Gino Stacchini, è inoltre ricordata tra le formazioni bianconere più competitive e spettacolari del XX secolo,[11][12] al pari del già citato Quinquennio e del successivo decennio trapattoniano dipanatosi tra gli anni 70 e 80 del Novecento.[1]
Dopo i successi in Serie A maturati nelle prime stagioni del secondo dopoguerra (1949-1950 e 1951-1952) con un tridente d'attacco di rilievo composto dal giovane Giampiero Boniperti e dai due danesiJohn e Karl Hansen,[13] a metà degli anni 50 la Juventus attraversò una serie di annate incolori, caratterizzate da organici non all'altezza e posizioni di media se non bassa classifica, in cui patì le affermazioni delle due rivali meneghine, Inter e Milan, oltreché di una rampante Fiorentina.[14][15] La squadra piemontese, già nove volte campione d'Italia, aveva chiuso le stagioni 1955-1956 e 1956-1957 entrambe a un anonimo nono posto, giungendo dietro a "provinciali" come SPAL[12] e Padova financo a rischiare, nell'ultimo torneo e per la prima volta nella storia del girone unico,[16] la retrocessione in Serie B.[17]
Deciso a invertire la rotta,[18] nell'estate del 1957 l'imprenditoreUmberto Agnelli – dal 27 giugno 1956, quand'era ancora impegnato nella leva obbligatoria come tenente,[19] eletto da una giunta di soci, tra cui il fratello maggiore Gianni,[20]presidente del club (dopo peraltro una sua breve reggenza nei mesi precedenti) divenendo, ad appena ventuno anni, il più giovane nella storia ad assumerne la massima carica dirigenziale –,[19][21] chiamò a Torino due giocatori all'epoca ancora poco conosciuti al pubblico della penisola, l'italo-argentinoOmar Sívori e il galleseJohn Charles, con l'obiettivo di riportare sopra le casacche bianconere uno scudetto che mancava ormai da un lustro.[1]
El Cabezón Sívori
Consigliato al Dottore dall'ex bianconero del QuinquennioRenato Cesarini,[10][22] il quale ne fu il pigmalione nelle giovanili del River Plate,[23][24][25] il sudamericano Sívori era un fantasista ventunenne[1] dal tocco mancino che sul rettangolo verde metteva in mostra tutta la sua picardia criolla, quell'«astuzia diabolica»[25] a cui univa genio,[1] visione di gioco[26] e, soprattutto, parecchia irriverenza nei confronti degli avversari, che soleva scherzare a colpi di dribbling, finte, tunnel[27][28] e gol da posizioni all'apparenza proibitive.[29] Nonostante la giovane età, aveva già avuto modo di cogliere due campionati argentini consecutivi (1955 e 1956) con la maglia dei Millonarios nonché, con quella albiceleste dell'Argentina, il Campeonato Sudamericano del 1957 assieme ai connazionali Corbatta, Maschio, Angelillo e Cruz, un quintetto passato alla storia come Gli angeli dalla faccia sporca.[30] Proprio tale appellativo tradiva il carattere stravagante e un po' indisciplinato del gruppo, in particolar modo di Sívori[31] – coi suoi «calzettoni arrotolati, il ciuffo, il pugno chiuso da caudillo peronista»[32] – il quale venne per questo accolto in Italia tra varie perplessità legate anche al suo corpo minuto,[15] sopra al quale spiccava una folta chioma che gli fece presto guadagnare il soprannome di Cabezón (il testone);[23] nomignolo cui poi si aggiunse, per il perenne «sguardo strafottente», anche quello di Zingaro.[27]
Il Gigante Buono Charles
Charles, ventiseienne britannico, segnalato ad Agnelli dall'amico Gigi Peronace[12][15][33][34] grande esperto di calcio inglese,[35] era invece all'opposto, sia fisicamente sia caratterialmente.[11][36] Pur essendo anche lui molto dotato in quanto a tecnica, abile soprattutto nel liberarsi dalle marcature e nel concludere a rete, indifferentemente, con entrambi i piedi, King John (così era da tempo noto oltremanica) era una classica punta d'area di rigore che praticava un gioco semplice e senza fronzoli;[37][38] insomma, un ariete che si batteva in campo dal primo all'ultimo minuto,[1] bravo a scardinare le retroguardie avversarie e a creare spazi per gli inserimenti dei compagni. La sua imponente mole[11] – che, unita alla grande correttezza e generosità che sempre mostrava in campo,[34] ne fece immediatamente un Gigante Buono agli occhi dei tifosi bianconeri[13][39] – gli permetteva di eccellere in particolar modo nel gioco aereo[1] tanto che il Leeds Utd, club dov'era salito alla ribalta divenendo, nell'annata 1956-1957, capocannoniere del torneo inglese con uno score di 38 reti, all'occorrenza lo impiegava con successo anche come difensore centrale aggiunto.[15][40]
Capitan Boniperti
I due nuovi arrivi andarono ad affiancare in avanti capitan Boniperti. Irridentemente soprannominato Marisa dagli avversari[41] per via dei boccoli biondi,[42] rimase fedele alla maglia bianconera per tutta la sua carriera da professionista, vestendola per la prima volta nel 1946 quando prese immediatamente le redini del reparto offensivo juventino: un «centrattacco»[43] per certi versi atipico, che spaziava liberamente per il campo, arretrando quando necessario, senza che ciò inficiasse sul suo bottino realizzativo.[44] Capocannoniere a diciannove anni nel campionato 1947-1948, negli anni 50 fu poi uno dei principali elementi che risollevarono una nazionale azzurra orfana del blocco granata perito a Superga.[45]
«Con loro due [Charles e Sívori] davanti, dopo otto anni da centravanti, io sono arretrato stabilmente e felicemente a mezzala. Mezzala di regia, un ruolo che mi sono inventato. Sívori faceva la mezzala di punta, Charles era un magnifico centravanti e io le mie battaglie in area di rigore le avevo già fatte.»
In Serie A rimase stabilmente in doppia cifra sino alla metà del successivo decennio. Tuttavia, ricalcando una parabola comune ad altri nel suo ruolo, con l'annata 1957-1958 il Sire di Barengo,[47] alla soglia dei trent'anni, si era ritrovato a dover mutare il proprio raggio d'azione come trequartista o mezzala: trasformatosi da bomber a "cervello" della Vecchia Signora, passò quindi dal mettere i palloni in rete al dettare l'ultimo passaggio verso l'area di rigore.[41] Il capitano juventino mostrò la sua duttilità esprimendosi al meglio anche in questa nuova posizione[44] – una scelta in qualche modo consigliata da Gianni Brera, decano del giornalismo sportivo nazionale, il quale proprio in tale frangente coniò, per la prima volta nella lingua italiana, il termine «centro-campista» (inizialmente scritto col trattino) in luogo dei precedenti «mezzala» o «mediano».[48] Nella rinnovata Juventus, Boniperti si apprestava quindi a divenire l'uomo-assist della debuttante coppia-gol bianconera.[49][50]
I successi
Quelli di Sívori e Charles furono due acquisti decisamente onerosi, rispettivamente 10 milioni di pesos (tra i 160[51] e i 180 milioni di lire[33]) per l'oriundo – il più grande esborso fin lì compiuto dalla Juventus per il cartellino di un calciatore,[29] non a caso presentato all'epoca dal Calcio e Ciclismo Illustrato come il «più caro del mondo»[33] – e 65 000 sterline[12][40] (105 milioni di lire[33]) per il gallese: con le cospicue cifre incassate, i precedenti club d'appartenenza poterono completare e ammodernare i loro impianti, rispettivamente El Monumental di Buenos Aires[25][29] ed Elland Road di Leeds, mentre la Juventus metteva in chiaro i suoi propositi di riscossa nei confronti dei nerazzurri di Jesse Carver (già coach bianconero), dei rossoneri di Gipo Viani e dei viola di Fulvio Bernardini; pur se visto il grande ricambio attuato nell'organico, con otto nuovi innesti nell'undici titolare, i bianconeri non erano nel lotto dei favoriti allo scudetto.[52][53] A gestire l'ambiziosa formazione torinese arrivò in Italia Ljubiša Broćić, tecnico che si era fatto notare alla guida di Stella Rossa e PSV, il quale si propose direttamente al Dottor Agnelli:[4][33][54] una recente e larga vittoria della Jugoslavia sugli azzurri (6-1)[55] aveva infatti destato l'interesse italico nei confronti del calcio serbo-croato, tanto che, come la Juventus, varie società della penisola optarono per un allenatore slavo.[56]
1957-1959
Insieme a calciatori come il giovane portiere Mattrel, il medianoFerrario,[33] l'ala sinistra Stacchini[14] e il diciassettenne Nicolè[33] il quale si ritagliò presto un suo spazio alle spalle dei tre «mostri sacri» dell'attacco,[57][58] nel 1958 i piemontesi ebbero la meglio sulla Fiorentina e su un'assoluta rivelazione,[59] il catenacciaro Padova del parònNereo Rocco,[60] passando nell'arco di dodici mesi da una paventata retrocessione[61] alla vittoria del titolo italiano; proprio un pareggio a reti bianche coi gigliati, il 4 maggio,[62] diede agli juventini il decimo scudetto della loro storia, cucendosi sul petto quella stella[63] nata, a suggello del nuovo record di campionati vinti,[64] da un'idea dello stesso Umberto Agnelli[65] e poi ratificata come prassi dall'allora Lega Nazionale Professionisti (LNP).[66] La maglia su cui venne apposto il nuovo distintivo, portata al debutto nel 1957-1958, fu inoltre quella che sdoganò il soprannome di Gobbi ai bianconeri:[67] un appellativo entrato nell'iconografia del club grazie alle ampie casacche da gioco, più simili a camicie, indossate da Boniperti, Charles, Sívori e compagni; durante la corsa in campo, queste generavano un curioso rigonfiamento sulla schiena (una sorta di "effetto paracadute") dando l'impressione che i calciatori avessero, per l'appunto, la gobba.[68]
A dispetto dei risultati, l'avvio della suddetta stagione non era stato dei più incoraggianti, con una pesante sconfitta (1-6) subìta in precampionato per mano del Bologna. Proprio tale rovescio fu tuttavia alla base dei futuri successi del Trio Magico: preso atto che un «attacco atomico» non poteva bastare, da solo, a dare equilibrio alla squadra, da lì in avanti capitan Boniperti arretrò definitivamente a centrocampo, per poter all'occorrenza fornire aiuto anche in fase difensiva ai due mediani di copertura, Colombo ed Emoli. Da questo nuovo assetto, che vedeva inoltre Corradi e Garzena impiegati come terzini, e il diciannovenne Stacchini (il quale sfruttò i guai fisici del titolare Stivanello) all'ala, ne scaturì una Juventus dalla retroguardia solida seppur non ermetica, ma con un attacco praticamente senza eguali in campionato.[33]
Peraltro, l'amalgama tra gli uomini del Trio non fu dei più semplici anche a causa di una difficile convivenza, che spesso sfociava in rivalità sul campo,[69] tra Boniperti e Sívori[23] – frequenti gli screzi tra i due,[31][70] con l'italiano che mal sopportava lo scarso impegno dell'oriundo fuori dal campo[1] e Charles, da subito divenuto l'uomo-spogliatoio della squadra,[71] a fare sovente da paciere[1] (rimane nella memoria una sberla data dal gallese al sudamericano, sotto l'occhio delle cineprese, onde placarne l'irruenza)[72] – e quella ben più aspra tra l'italo-argentino e l'allenatore jugoslavo.[4][24] Ciò nonostante, l'intesa e l'amicizia tra la nuova «strana coppia» d'attacco sbocciò immediatamente fin dalle prime uscite,[36] fugando i molti dubbi della vigilia[73] circa due giocatori dai tratti così differenti,[36][74] tanto che il capocannoniere Charles[11][40] – acclamato come il miglior giocatore del campionato[39][75] – e Sívori chiusero al primo e terzo posto la classifica marcatori della stagione, con 28 e 22 reti rispettivamente,[15] per un totale di 96 marcature totali della squadra torinese in 43 partite.[64][76]
«Boniperti impostava dalla metà campo le nostre azioni. Omar, in fase avanzata, deliziava noi e il pubblico con impareggiabili serie di tocchi, di passaggi e di tiri diabolici. Quando la difesa marcava lui, doveva necessariamente concedermi una libertà, che mi consentiva di piazzare tiri in rete e colpi di testa. Quando i difensori, invece, si gettavano in massa su di me, la stessa libertà di azione veniva concessa a Sívori e dare respiro a Omar significava incassare delle reti ed essere beffati.»
Nell'annata successiva ci fu un piccolo, inaspettato, passo indietro, con un campionato chiuso al quarto posto.[78] La Juventus raddrizzò tuttavia la stagione[79] vincendo la sua terza Coppa Italia,[14] sollevata a San Siro in casa dell'Inter (4-1), siglando complessivamente 106 gol in 45 match[80] di un'annata altresì segnata dalla "guerra" tra Sívori e Broćić,[81] che già in novembre portò all'allontanamento di questo ultimo in favore del traghettatore Teobaldo Depetrini.[82]
1959-1961
È nel biennio successivo che la formazione sabauda tornò stabilmente ai vertici del calcio italiano. In panchina, affiancato da un'altra gloria del passato bianconero quale Carlo Parola,[83] da qualche mese aveva fatto ritorno da oltreoceano[84] (dopo una prima esperienza nell'immediato secondo dopoguerra) quel Cesarini[4][14] benvoluto dall'attaccante oriundo, il solo capace di porre un freno all'impeto del Cabezón e d'incanalarne al meglio il talento per metterlo al servizio della squadra.[24] Con questo assetto, nel 1960 il club conquistò per la prima volta nella sua storia il double, ovvero l'accoppiata composta da scudetto e coppa nazionale, fin lì riuscita in Italia solamente al Grande Torino.
Il Trio Magico disputò quella che rimane la sua miglior stagione, trascinandosi dietro tutta la squadra bianconera che si espresse, di conseguenza, con un gioco a tratti altamente spettacolare:[24] con 120 reti a favore in 54 gare,[85] in campionato il Cabezón e il Gigante Buono, imbeccati da un Boniperti ormai stabilmente a suo agio nei panni del regista,[41][48][86] fecero loro nuovamente il primo e terzo posto della classifica marcatori, col titolo di capocannoniere che stavolta andò appannaggio di Sívori.[4] I piemontesi presero la testa della classifica alla quarta giornata e la mantennero sino al termine, rintuzzando gli attacchi degli storici avversari del tempo, i viola e le due meneghine,[87] «narcotizzando» di fatto un campionato vinto con relativa facilità[88] e chiuso con un bottino di 92 reti assolute (secondo storicamente solo alle 95 reti della Fiorentina 1958-1959) delle quali 41 in trasferta, primato ancora oggi in essere nei massimi tornei italiani a 18 squadre.[89] In Coppa Italia, sempre a Milano, quest'anno fu la Fiorentina a soccombere in una finale risolta ai tempi supplementari (3-2), esito che fece della Juventus la prima formazione, nella storia della competizione, a vincere consecutivamente il trofeo.
Nel 1960-1961, ultima stagione che vide in campo il tridente Boniperti-Charles-Sívori, la Vecchia Signora conquistò il suo dodicesimo titolo nazionale. Con un bilancio di 87 reti segnate in 41 partite nel corso dell'annata[90] i campioni in carica, che videro l'integrazione dell'ala offensiva Bruno Mora,[91] non partirono al meglio in Serie A (con il direttore tecnico Cesarini «dimissionato» sul finire del 1960,[92] e sostituito nel ruolo dallo svedese Gunnar Gren[93]) uscendo solo alla distanza,[94] dovendo attendere la primavera per agganciare e poi sopravanzare la capolista,[95] quella che diverrà l'Inter di Herrera.[96] Nell'ultima partita della stagione, la contestata ripetizione di Juventus-Inter resa ormai ininfluente dai sopravvenuti fatti del Cibali, e terminata in goleada (9-1) – in cui i nerazzurri schierarono per protesta la loro formazione De Martino, e per cui mise a segno la rete della bandiera un esordiente Sandro Mazzola –, Sívori eguagliò Silvio Piola come i soli capaci di siglare sei reti in una singola partita di Serie A,[97] mentre al termine dell'incontro capitan Boniperti, all'età di trentadue anni e ancora in perfette condizioni fisiche,[98] con le parole «io non gioco più»[99] consegnò i suoi scarpini al magazziniere, dando l'addio all'attività calcistica;[14][90] ritornerà alla Juventus dieci anni più tardi, stavolta da presidente.[24]
L'epilogo
Quel 10 giugno 1961, in cui i bianconeri festeggiarono, nel centenario dell'Unità d'Italia,[29] il terzo scudetto in quattro anni, segnò di fatto la fine dell'epoca di successi del Trio Magico.[100] Al termine dell'anno solare, grazie al suo status di oriundo, il 12 dicembre il Cabezón diventò il primo giocatore italiano, della massima serie italiana e al contempo il primo juventino, a essere eletto calciatore europeo dell'anno:[7] si trattò dell'ultimo colpo di coda di un ciclo vincente dipanatosi nell'arco di un quadriennio.
Dopo il ritiro di Boniperti – il quale deterrà i primati bianconeri di reti in competizioni ufficiali (183) e di presenze in Serie A (443) per i seguenti quarant'anni –, e l'avvicendamento alla presidenza tra Umberto Agnelli, chiamato a incarichi societari in FIAT, e il deputato Vittore Catella,[101] la squadra torinese disputò un deludente campionato chiuso al dodicesimo posto; fu l'ultima annata in Piemonte di un Charles rallentato da un'operazione al ginocchio che ne minerà il prosieguo della carriera italiana,[1] e che nel 1962, assieme ad altri compagni di squadra, venne ritenuto non adatto agli schemi del nuovo allenatore, il brasiliano Paulo Amaral,[102] facendo definitivamente ritorno (salvo una breve quanto effimera parentesi alla Roma) in Gran Bretagna.[11][12][34][39] Sívori rimase invece a Torino sino al 1965, divenendo nel frattempo il nuovo capitano della squadra bianconera ma scegliendo, in quell'anno, di svestirne a malincuore[103] la maglia[10][104] per accasarsi al Napoli, in fuga dalla sempre più rigida disciplina tattica[105] richiesta dal nuovo tecnico juventino,[23][24] il ginnasiarca Heriberto Herrera.[29]
«Nella distribuzione delle parti, John Charles era l'Ursus di Quo vadis?, perfetto complemento al cardinal Boniperti e allo sciuscià Sívori. Mai si sarebbero visti giocatori così diversi, anche umanamente, e così perfettamente complementari.»
Boniperti, in seguito riconosciuto come il calciatore più rappresentativo nella storia della società,[107] assunse la presidenza del club su richiesta dell'Avvocato Agnelli all'inizio degli anni 70, carica mantenuta sino al 1990 e seguita da un trennio (1991-1994) come amministratore delegato.[20] La sua gestione presidenziale diede inizio a uno dei maggiori periodi di successo di una squadra di club italiana, in cui la Vecchia Signora fece incetta di trofei e primati senza riscontri in campo nazionale e internazionale.[6] Ciò fece di Boni una delle personalità più importanti nella storia del movimento calcistico del bel paese, inserito nel 2012 nella Hall of Fame del calcio italiano e, nell'anno successivo, premiato con un riconoscimento alla carriera sportiva da parte del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).[108]
Il Cabezón sarebbe stato nominato, nel 2000, nella lista dei migliori cinquanta giocatori del XX secolo stilata dall'Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio (IFFHS). Dopo il ritiro dell'attività agonistica rimase legato ai colori bianconeri – tanto da chiamare la sua tenuta in Argentina La Juventus[111] – divenendo osservatore del club per il Sudamerica.[10] Sia lui sia Boniperti, infine, sono stati inseriti, nel 2004, nella FIFA 100, una lista dei migliori calciatori allora viventi della storia del calcio elaborata dalla Federazione Internazionale del Calcio (FIFA), con la supervisione di Pelé, in occasione delle celebrazioni per il centenario dell'organizzazione mondiale.[112]
Impatto nella società italiana
Il periodo di storia juventina compreso tra la fine degli anni 50 e l'inizio degli anni 60, di cui fece parte il Trio Magico, oltre a essere ritenuto il secondo grande ciclo di vittorie del club[20] nonché il primo di una squadra di calcioitaliana dalla sciagura di Superga – evento che segnò l'inizio del «dopoguerra calcistico»[113] –, ebbe anche un forte impatto nella società nazionale durante il secondo dopoguerra. Quella squadra, come osservarono il sociologo Giovanni Bechelloni un quarto di secolo dopo,[114] e lo storicoingleseJohn Foot all'inizio del terzo millennio, accompagnò la crescita di un'intera generazione di tifosi bianconeri[115] e divenne il simbolo sportivo del miracolo economico in virtù di un notevole incremento del bacino di simpatizzanti a seguito della massiccia immigrazione meridionale a Torino nei primi anni del decennio,[114][116] consolidandosi come la prima tifoseria sportiva italiana diffusa a livello nazionale; un processo che aveva avuto inizio già tre decadi prima:[117]
«Dopo la tragedia di Superga, il mito della grande Torino ha continuato ad alimentare l'immaginario collettivo italiano che ha trovato nella Juventus un'incarnazione vincente, che ha messo radici negli angoli più sperduti del Paese, diventando il simbolo stesso di una rinnovata identità italiana.»
Per un altro storico come Giovanni De Luna, i flussi migratori verso il capoluogo piemontese e le contemporanee vittorie del club durante quel periodo permisero un maggior avvicinamento da parte dei sostenitori bianconeri del Sud Italia, per i quali la Juventus «non era più la lontana espressione di un sogno di vittoria, raggiungibile solo attraverso i giornali, la radio, la televisione, ma un'entità finalmente concreta, visibile, continuamente a portata di mano» in quanto «grazie alla maggiore circolazione delle persone, al riplasmarsi delle identità collettive, all'abbattimento delle barriere regionali e perfino linguistiche, il tifo juventino si diffuse in maniera più incisiva e generalizzata in particolare nel Mezzogiorno», rappresentando lo spirito del nuovo lavoratore immigrato in Piemonte; un fenomeno sociale che sarebbe giunto a compimento qualche anno più tardi, con la «squadra meridionale» pluricampione d'Italia degli anni 70.[118]
«L'uomo che più di altri incarna la Juventus [...] Boniperti ha legato la sua intera vita ai colori bianconeri: prima da calciatore e poi da dirigente»
^ab Alberto Rossetto, Campioni del passato: gli attaccanti (II parte), su bianconerionline.com, 12 agosto 2006. URL consultato il 5 ottobre 2008 (archiviato dall'url originale il 9 dicembre 2012).
^ Mario Gherarducci, Io, Lorenzi, non ho mai perso il Veleno, in Corriere della Sera, 20 dicembre 2000, p. 47 (archiviato dall'url originale il 3 ottobre 2013).
«[...] In nazionale affibbiò a Boniperti il soprannome di Marisa, che lo juventino non ha mai gradito. "Eravamo nello spogliatoio, Giampiero aveva appena vent'anni, era bellino, biondo, poco peloso, quasi efebico. Che fisico da Marisetta, gli dissi ridendo. Poi siamo diventati grandi amici"»
«[...] Il Consiglio Direttivo ha espresso al Consiglio Federale il parere che la Juventus (e in seguito tutte le società che abbiano vinto almeno dieci campionati di Serie A) sia autorizzata a fregiare la propria maglia con una stella d'oro a cinque punte»
^ Stefano Bedeschi, Un gigante è per sempre: John Charles, su vavel.com, 6 gennaio 2012. URL consultato il 5 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
^Come Cesarini ha giocato d'anticipo, in Corriere dello Sport, 28 dicembre 1960, p. 6. URL consultato il 23 settembre 2015 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2015).
^Si trattò della ripetizione della sfida di campionato del precedente 16 aprile, che era stata vinta 2-0 a tavolino dall'Inter per via di un'invasione a bordo campo del pubblico presente all'interno dello stadio Comunale di Torino. La Juventus presentò ricorso contro la decisione, che il successivo 3 giugno venne accolto dalla Commissione di Appello Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), la quale annullò la vittoria a tavolino dei nerazzurri e dispose di rigiocare la partita; con le due formazioni in lotta per lo scudetto, la decisione sancì de facto la vittoria del titolo italiano da parte dei bianconeri. In segno di protesta, nella ripetizione del 10 giugno l'Inter non fece scendere in campo la sua prima squadra bensì la sua formazione De Martino; nonostante la Juventus non volesse infierire più di tanto sui giovani nerazzurri, Sívori – intento a inseguire quel Pallone d'oro che avrebbe poi conquistato alla fine dell'anno – volle ugualmente segnare quante più reti possibili, cfr. Mario Gherarducci, Boniperti e quel 9-1 all'Inter: «Fu Sivori a voler infierire», in Corriere della Sera, 25 ottobre 2001, p. 47. URL consultato il 4 ottobre 2014 (archiviato il 20 settembre 2013).
«[...] Non era solo un grande calciatore ma ha dimostrato di essere un grande dirigente e un modello di riferimento per tutto il movimento agonistico, grazie alle sue capacità e alla sua indubbia passione»
^ab Ken Jones, Il gigante buono, su it.uefa.com, 27 dicembre 2004 (archiviato dall'url originale il 10 maggio 2007).
Nicola Calzaretta, Il pallone racconta: un secolo di bianconero (tutte le maglie della Juventus 1903-2003), in Guerin Sportivo, n. 29, Bologna, 22/28 luglio 2003, ISSN 1122-1712 (WC · ACNP).
Carlo F. Chiesa, Milan e Juve, rivoluzione vincente, in Il grande romanzo dello scudetto, Calcio 2000, 13ª puntata, Milano, febbraio 2003, ISSN 1126-1056 (WC · ACNP).
Carlo F. Chiesa, Schianto a Superga, l'uomo Novo, in La grande storia del calcio italiano, Guerin Sportivo, 25ª puntata, n. 4, Bologna, marzo 2014.
Carlo F. Chiesa, Umberto primo, Belfast fatale, in La grande storia del calcio italiano, Guerin Sportivo, 34ª puntata, n. 1, Bologna, gennaio 2015.
Gianni Giacone, Il mondo è bianconero, in Hurrà Juventus, 1ª puntata, giugno 2005, ISSN 1594-5189 (WC · ACNP).
Manuela Romano (a cura di), Roberto Saoncella (con la collaborazione di), La grande storia della Juventus (monografia): 1956-1966 "Sivori, Charles e Boniperti", RCS Quotidiani, RAI Trade, LaPresse Group, 2005.
Videografia
Roberto Buttafarro, Giovanni De Luna, Marco Revelli, Leone Piccione, episodio 1, Un fenomeno in bianco e nero, RAI 3, 16 settembre 1986, a 59 min 58 s.
Roberto Buttafarro, Giovanni De Luna, Marco Revelli, Leone Piccione, episodio 2, Un fenomeno in bianco e nero, RAI 3, 23 settembre 1986, a 60 min 00 s.
Manuela Romano (a cura di), Roberto Saoncella (con la collaborazione di), La grande storia della Juventus (DVD-Video): 1956-1966 "Sivori, Charles e Boniperti", RCS Quotidiani, RAI Trade, LaPresse Group, 2005, a 35 min 32 s.