I frammenti dell'abbazia di Leno, principalmente lapidei, rappresentano le poche testimonianze superstiti del monastero lenese fondato nell'VIII secolo da re Desiderio e infine demolito nel 1783.
I frammenti, recuperati direttamente dalle strutture dell'abbazia in via di demolizione o riconosciuti come provenienti da Leno solo successivamente, oppure ancora recuperati durante gli scavi del XX secolo, sono per la maggior parte conservati nel museo di Santa Giulia a Brescia e in luoghi pubblici o collezioni private di Leno.
Per la maggior parte di essi è praticamente impossibile risalire all'originaria collocazione, trattandosi soprattutto di piccoli frammenti ormai del tutto estraniati dal contesto per il quale erano stati predisposti.
I frammenti principali
L'elenco seguente è diviso in tre paragrafi a seconda della collocazione dei frammenti: il museo di Santa Giulia a Brescia, dove si trova il gruppo più consistente e alcuni tra i pezzi più importanti, altri luoghi pubblici (municipio di Leno, parco di Villa Badia, ecc.) e collezioni private, soprattutto lenesi.
L'elenco qui presentato non esaurisce il corpus di frammenti provenienti dall'abbazia, che ammonta a diverse decine di pezzi, soprattutto di piccole dimensioni quali capitelli, basi di colonnine e cornici. I frammenti qui segnalati, pertanto, sono da considerarsi solamente come i più rilevanti e/o rappresentativi dal punto di vista storico e artistico, con l'esclusione cioè di tutti i pezzi tipologicamente generici o, per lo meno, dotati di nulla più che del loro intrinseco valore documentaristico. Per una visione completa ed esauriente del gruppo di testimonianze si vedano gli studi citati in bibliografia, qui e nella voce principale.
Sezione "L'Età del Comune e delle Signorie - Strutture del potere ecclesiastico"
Si tratta forse del più rilevante frammento superstite del portale e dell'intero corpus di testimonianze plastiche dell'abbazia scomparsa[1][2], soprattutto a causa del brano di iscrizione dedicatoria che ancora conserva lungo la cornice superiore. L'iscrizione, oggi lacunosa, è comunque nota nella sua interezza grazie al fatto di essere stata trascritta prima della demolizione dell'abbazia da Francesco Antonio Zaccaria nel 1767[3]
Incolmabile resta invece lo spazio interno della lunetta, che doveva ospitare il resto della figura di Cristo, del quale rimane solamente il capo entro un'aureola raggiata connessa direttamente alla cornice, e almeno altre due figure scultoree. Queste ultime sono identificabili nella Vergine e in san Benedetto grazie alle didascalie incise nello spazio tra gli archetti dei frammenti di arcata superstiti[1], questo e altri due, consistenti nella sola cornice ad archetti, conservati a Leno[4].
Sezione "L'Età del Comune e delle Signorie - Strutture del potere ecclesiastico"
L'esecuzione della lunetta è da collocare alla fine del XII secolo, nell'ambito della ricostruzione della chiesa abbaziale operata in quegli anni dall'abate Gonterio[2].
Non è comunque nota l'originaria collocazione della lunetta: forse sopra un ingresso minore, frontale o laterale, della nuova chiesa abbaziale, oppure in uno dei due oratori presenti nel monasterio, dedicati alla Madonna e a san Giacomo, oppure ancora dall'apparato lapideo di un sacello interno alla chiesa o alla cripta, dedicato ai due santi raffigurati[5].
La lunetta è da collocare tra gli episodi salienti delle testimonianze della scultura romanica bresciana del XII secolo, della quale poco è sopravvissuto fino ai nostri giorni[2][6].
Sezione "L'Età altomedievale - Longobardi e Carolingi"
L'iscrizione recita Hic requiescet / Magnus . abba in pa / ce, cioè "Qui riposa in pace l'abate Magno".
La lapide è registrata nel 1759 da Giovanni Ludovico Luchi sulla porta di una casa contigua alla chiesa dell'abbazia[7]. Successivamente viene trasferita su un muro esterno presso la sacrestia, dove la vede Francesco Antonio Zaccaria nel 1767[8]. Il frammento si distingue per la qualità dell'incisione e la definizione dei caratteri. Le caratteristiche di alcune lettere, tra cui la C di forma quadrata, la Q con la coda entro il cerchio e la G con il pilastrino a ricciolo, rimandano alla prassi di scrittura epigrafica diffusa nella tarda età carolingia, quando si ebbe un ritorno alla norma calligrafica classica con l'introduzione di qualche elemento originale. L'iscrizione è pertanto collocabile tra la fine del IX secolo e l'inizio del X secolo[9].
Anche lo stesso Zaccaria, argomentando sulla datazione del testo, colloca l'abate Magno, nella cronotassi degli abati lenesi, tra Remigio (attestato nell'862) e Uberto (documentato nel 939)[9][10].
Sezione "L'Età altomedievale - Longobardi e Carolingi"
L'iscrizione recita Hic requiescet / in pace Anselmus / de vico A[...] / qui obiit VI id(us) ap(rilis) / feria II . un . XX ind(ictione) . X, cioè "Qui riposa Anselmo del villaggio di A[...], che morì sei giorni prima delle idi di aprile, lunedì, nella ventesima luna, nella decima indizione"[11].
Il riferimento temporale non è assoluto, bensì espresso secondo l'indizione, come in uso nel medioevo. L'anno del decesso può essere tuttavia ricavato combinando gli indicatori temporali forniti, dai quali risulta che l'otto aprile, sei giorni prima delle idi, cadeva di lunedì e venti giorni dopo il novilunio solamente nell'anno 877[12][13]. La data esatta del decesso, attorno alla quale si può datare l'epigrafe, è pertanto l'8 aprile 877. Rimane ignota, invece, l'identità di Anselmus[11].
La cura con la quale è stata concepita questa lapide, oltre che nella raffinata espressione temporale che trova pochi eguali prima dell'XI secolo, si ritrova anche nella scelta di distribuire le poche righe di testo su tutta la superficie della lastra, ricorrendo a spaziature molto ampie tra le linee di scrittura. Si tratta di un sistema che richiama l'impostazione di alcune scritte monumentali a tutta pagina
di codici manoscritti coevi, i quali hanno forse ispirato l'elegante soluzione qui adottata[14].
Sezione "L'Età del Comune e delle Signorie - Strutture del potere ecclesiastico"
Il frammento è databile al XIV secolo. Il carattere arcaico del trattamento del volto è da porre in relazione con la presenza di maestranze campionesi, operanti in territorio lombardo in piena età gotica[4].
Sezione "L'Età del Comune e delle Signorie - Strutture del potere ecclesiastico"
La piccola testa, pertinente a una scultura di soggetto non identificabile, è databile alla prima metà del XV secolo per i caratteri del modellato e per la foggia dell'acconciatura[4].
Sezione "L'Età del Comune e delle Signorie - Strutture del potere ecclesiastico"
La teca, a forma di capitello pseudo cubico fogliato, era sostenuta da una colonnina tortile, della quale rimane solamente l'attacco superiore. Aveva probabilmente la funzione di reliquiario, il cui contenuto era osservabile dal foro circolare frontale[4].
I due fianchi recano la stessa raffigurazione simbolica di Gesù in forma di colomba reggente una croce. Sul retro sono ancora fissati nel marmo due cardini in ferro con alcuni frammenti lignei dell'originale sportello.
Capitello: 15,5×12,7 cm; colonnina: 18,5 x 8,5 x 12 cm
Ubicazione
Sezione "L'Età altomedievale - Longobardi e Carolingi"
Il frammento di fusto e il capitello fanno parte di un unico blocco di marmo. La qualità del materiale impiegato e il grado di lavorazione lo avvicinano a pezzi affini di produzione ravennate, mentre la forma cubica della parte superiore, assieme al tipo delle volute, ricordano i capitelli di transizione cubici-prelombardi[15].
Secondo Monica Ibsen (2006), il capitello rappresenta uno tra i più raffinati manufatti della produzione scultorea di area bresciana del periodo e, a sua volta, concorda sulla ripresa della cultura figurativa ravennate. Si nota, in particolare il riferimento all'acanto spinoso qui rielaborato con una forte astrazione, tanto da modificare, allungandole, anche le proporzioni del capitello, che mettono in risalto la croce centrale. Il pezzo è pertanto riconducibile alle raffinate esperienze elaborate da maestranze a stretto contatto
con i modelli ravennati, assunte al ruolo di guida nei cantieri regi[16].
Nell'allestimento ottocentesco del museo il frammento era indicato proveniente da Leno, ma il dato non è confermato[15].
La provenienza da Leno dei due manufatti è segnalata in una nota d'archivio ottocentesca dei Civici Musei di Brescia, ma non vi sono riscontri all'annotazione. Essendo comunque riconducibili a un ambiente monastico, non è da escludere che provengano dal monastero di Santa Giulia a Brescia[17]. La datazione alla prima metà del IX secolo è stata confermata dall'esame del carbonio-14 condotto su alcuni frammenti delle canne che formano la struttura interna delle due sculture[17][18].
I due altorilievi sono rarissime testimonianze dell'arte figurativa in stucco di età carolingia, della quale pochissimo si è conservato nella produzione di manufatti di questo materiale. Entrambi, ma in particolare il primo e meglio conservato dei due, sono di particolare efficacia rappresentativa per la monumentale impostazione, per le proporzioni e per il fine modellato[17][18].
Chiesa parrocchiale di Leno, ai lati dell'ingresso principale
L'ipotesi ricostruttiva della chiesa abbaziale dell'abate Gonterio, fatta sulla base delle mappe redatte tra XVII e XVIII secolo, lascerebbe intuire una facciata completata da un protiro[19], le cui colonne erano spesso sorrette da coppie di leoni stilofori, tipologia diffusissima in tutto il nord Italia già dalla fine dell'XI secolo e che si protrarrà nel secolo successivo con funzione più trionfale che strutturale. Il leone e la leonessa sopravvissuti, sebbene provenienti dall'abbazia, non sono comunque stilofori, benché dovessero far parte dello stesso apparato lapideo del portale[19].
Il leone, oltre che essere stiloforo come denuncia l'impronta della base di una colonna a metà della schiena, è realizzato in materiale differente rispetto ai precedenti, pur rimanendo stilisticamente analogo[19].
La scena presenta due centauri, forse maschio e femmina, a giudicare dalla diversificazione dei volti, affrontati e armati di bastoni ai lati di un'asta centrale. Il pezzo è di complessa collocazione cronologica e stilistica: pubblicata per la prima volta nel 1993[20] con datazione all'età protoromanica (fine X-inizio XI secolo) alla luce sia del soggetto, sia dell'interpretazione del motivo a destra dei centauri come una coppia di colonne tortili, anche se più probabilmente si tratta di una palmetta, stupisce per il riferimento al tema mitologico dei centauri, non assente dal repertorio altomedievale ma qui evidentemente caratterizzato da una mera funzione decorativa, senza alcuna una dignità autonoma. Ciò è deducibile dal fatto che la lavorazione si presenta su un unico lato e i due lati non spezzati non presentano incavi o giunzioni di sorta, il che fa pensare che il pezzo doveva essere murato[21].
L'inserimento di elementi decorativi nelle superfici murarie trova precedenti altrove, ad esempio in San Salvatore a Spoleto o nel Tempietto del Clitunno, ma nel ben diverso contesto della ripresa del sistemi decorativi classici. Nell'area lombarda, coeve cornici in terracotta con grifoni a Brescia e Mantova, assieme ad alcune rozze formelle con figurazioni antropomorfe, sempre in terracotta, a Cremona, suggeriscono l'utilizzo di metope o di lastre decorate nella muratura anche nell'architettura locale, ambito cui la lastra con centauri di Leno sembrerebbe far parte, ferma restando l'assoluta rarità della figurazione[21].
Il trattamento della superficie scolpita e le tracce della lavorazione escludono inoltre l'eventualità che si tratti di un pastiche ottocentesco mal adattato a un precedente rilievo romanico. La tipologia della palmetta sul margine destro della lastra, la tecnica esecutiva e il tratto evidentemente sperimentale e acerbo consentono una datazione del manufatto entro l'VIII secolo[21].
Il coperchio apparteneva alla capsella che ospitava le reliquie di san Vitale, custodite nella chiesa abbaziale. La concezione plastica del soggetto corrisponde alla tipologia delle urne a sarcofago e trova riscontro nei quattro orecchioni angolari e nell'imitazione della doppia fila di coppi su ciascuna falda.
La chiusura era garantita dall'aggetto della parte centrale del coperchio. La presenza delle croci è invece motivo alquanto frequente sulle capselle reliquiario[22].
Leno, collezioni Lanti e Peri; depositi del nucleo operativo della Soprintendenza Archeologica per la Lombardia di Brescia
Numerosi frammenti marmorei di cornice, in parte già presenti in collezioni private e depositi pubblici e in parte recuperati negli scavi, consentono di ricostruire parzialmente quella che doveva essere una grande pergula presbiteriale, una sorta di recinto sostenuto da colonnine attorno all'altare maggiore per preservarne la sacralità, impostato secondo una tipologia frequente all'epoca. Un'approfondita analisi dell'andamento delle geometrie e delle palmette raffigurate consentono una ricostruzione a tratti dell'apparato[23].
I frammenti completano il lato sinistro della cornice marmorea superiore del portale della chiesa abbaziale, unitamente all'iscrizione che ornava la fascia esterna. Al contrario del frammento custodito nel museo di Santa Giulia a Brescia, però, questo non presenta tracce della decorazione plastica all'interno della lunetta[24].
Si tratta di una formella quadrata lavorata a bassorilievo con tondo centrale contenente lo stemma di un abate, concepito come uno scudo sagomato e troncato sormontato da una mitria e fiancheggiato dal bastone pastorale. Ai lati vi sono una O e una A in caratteri gotici a rilievo: a sinistra una O e destra una A[25].
Gli angoli presentano un motivo circolare liscio a dentelli, mentre in margine superiore è ornato da una fascia a losanghe. In basso vi è un altro motivo inciso, ma di difficile interpretazione. Le due lettere presenti ai lati dello stemma potrebbero alludere all'abate Ottobono, conte di Langosco e Mirabello, che i documenti ricordano essere stato a capo del cenobio di Leno fra il 1402 e il 1450[25].
^Per una tabella di confronto tra le cadenze dell'otto aprile e le decime indizioni del IX e X secolo, dalla quale si trae che l'unica combinazione possibile è quella presentata, si veda Sannazaro, p. 346
^La prima datazione della lapide è in Carlini, pp. 139-142
F. Carlini, Problema di cronologia, in Biblioteca Italiana,, luglio-settembre, t. LXIII, 1831. ISBN non esistente
Luigi Cirimbelli, Leno. Dodici secoli nel cuore della Bassa. Il territorio, gli eventi, i personaggi, Borgo Poncarale, Cassa rurale ed artigiana padana, 1993. ISBN non esistente
Monica Ibsen, Indagine preliminare sulla scultura altomedievale a Leno (PDF), in Angelo Baronio (a cura di), San Benedetto "ad Leones" un monastero benedettino in terra longobarda, Brescia, Brixia Sacra, 2006 N. 2, pp. 305 – 338. URL consultato il 20 novembre 2022 (archiviato dall'url originale il 14 giugno 2022). ISBN non esistente
Elena Lucchesi Ragni, Ida Gianfranceschi (a cura di), Santa Giulia - Museo della città a Brescia, Milano, Skira, 2004, ISBN88-8491-179-6.
Elena Lucchesi Ragni, Francesca Morandini, Piera Tabaglio, Francesco de Leonardis (a cura di), I tesori di Santa Giulia museo della città, volume II, Brescia, Grafo, 2011, ISBN978-88-7385-842-3.
Giovanni Ludovico Luchi, Monumenta Monasterii Leonensis, Roma, 1759. ISBN non esistente
Simona Gavinelli, Sopravvivenze lapidee a Leno: l'iscrizione dell'abate Gonterio, in San Benedetto "ad Leones" un monastero benedettino in terra longobarda, Brescia, Brixia Sacra, 2006 N. 2. ISBN non esistente
Saverio Lomartire, Architettura e decorazione nel S. Salvatore di Brescia tra alto medioevo e "romanico": riflessioni e prospettive di ricerca, in Giancarlo Andenna, Marco Rossi (a cura di), Società bresciana e sviluppi del romanico, Peschiera Borromeo, Solari, 2007, ISBN978-88-343-1472-2.
Gaetano Panazza, L'arte medioevale nel territorio bresciano, Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1942. ISBN non esistente
Pierfabio Panazza, Per una ricognizione delle fonti artistiche dell'abbazia di Leno: le sculture (PDF), in San Benedetto "ad Leones" un monastero benedettino in terra longobarda, Brescia, Brixia Sacra, 2006 N. 2. URL consultato il 20 novembre 2022 (archiviato dall'url originale il 16 luglio 2020). ISBN non esistente
Marco Sannazaro, Le iscrizioni paleocristiane e altomedievali da Leno - Alcune osservazioni (PDF), in San Benedetto "ad Leones" un monastero benedettino in terra longobarda, Brescia, Brixia Sacra, 2006 N. 2. URL consultato il 20 novembre 2022 (archiviato dall'url originale il 16 luglio 2020). ISBN non esistente