Diede un contributo alla riflessione teologica sul tema della guerra giusta, già affrontato, tra gli altri, da Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino. Accettò sostanzialmente la dottrina dell'Aquinate, introducendo però il concetto di proporzionalità, per cui i mali che una guerra provoca non devono essere maggiori di quelli a cui intende portare rimedio.
Insieme a Bartolomé de Las Casas, fu anche il primo teologo ad affrontare la questione della conquista spagnola delle terre americane da poco scoperte ed il problema del rispetto dei diritti degli indios, cioè dei nativi di quelle regioni.
A differenza di Las Casas, egli affermava che il papa non può concedere al re cattolico il cosiddetto "patronato" (e cioè il mandato di evangelizzare le popolazioni indigene, assumendo anche il potere temporale su di esse) in quanto il papa non è “dominus orbis”, né ha potestà in campo temporale sugli infedeli. Vitoria dunque contesta le giustificazioni in base alle quali si legittima la conquista, anche negli argomenti più accreditati, come la bolla Inter Caetera e il Trattato di Tordesillas. Anche le argomentazioni basate sul concetto aristotelico della naturale schiavitù introdotte da John Mair sono contestate da Vitoria, convinto del fatto che gli indigeni, prima dell'arrivo degli spagnoli, governavano legittimamente le loro terre ed era quindi esclusa la schiavitù naturale.
Di fronte a questi principi vengono consolidati i diritti degli indios, tra i quali la nativa libertà, la loro dignità umana, la capacità giuridica. In particolare, negò l'applicabilità del concetto giuridico del res nullius da parte degli Spagnoli, in quanto i nativi già presenti precedentemente all'arrivo di Colombo e pertanto pieni titolari della sovranità e della proprietà delle loro terre, per cui l'Impero Spagnolo non avrebbe potuto rivendicarne il possesso.[5]
De Vitoria costruisce anche il nuovo concetto di diritto internazionale, ove la cristianità medievale è sostituita dalla comunità universale del genere umano, nella quale sono conviventi stati cristiani e gli altri popoli del mondo in una situazione di parità. È così rotto per sempre l'incantesimo della società cristiana universale tipico del medioevo.
Proprio sulla base dell'universalizzazione dei diritti, coerentemente, Vitoria definisce una serie di “titoli legittimi” della conquista, come il diritto di evangelizzare, di commerciare e di diventare cittadini. Se questi diritti venissero negati, allora la guerra sarebbe legittima, in assenza di alternative. Anche nel caso vigano usanze disumane, come i sacrifici umani e il cannibalismo la guerra sarebbe legittima. Egli dunque inquadrava teologicamente e giuridicamente la conquista delle Americhe nella trama concettuale della "guerra giustificata", che tale era solo in presenza di una "giusta causa"; de Vitoria istruì, tra gli altri, anche il suo coetaneo Hernan Cortez[6].
Francesco de Vitoria è onorato di una statua posta davanti alla sede della Nazioni Unite di New York e di un grande ritratto collocato nel Salone della Pace di Ginevra, perché considerato precursore dell'idea di "Nazioni Unite". Andrés de Vega fu suo allievo.
Opere
De potestate civili, 1529
Del Homicidio, 1530
De matrimonio, 1531
De potestate ecclesiae I eta II, 1532
De Jure belli Hispanorum in barbaros, 1532
De potestate papae et concilii, 1534
De augmento caritatis et diminutione, 1535
De eo, quod tenetur homo, cum primum venit ad usum rationis, 1535
(LA) Francisco de Vitoria, Relectiones Theologicae, Antverpiae, apud Iacobum Boyerium, 1557. URL consultato il 12 settembre 2019.
Summa sacramentorum Ecclesiae, 1561
Di grande importanza è il suo ampio commentario, anch'esso conservato solo in forma manoscritta, sulle opere di Tommaso d'Aquino:
Comentario a la Secunda secundae de Santo Tomás, ed. Vicente Beltrán de Heredia, 6 volúmenes, Salamanca 1932-1952.
Textos inéditos de Francisco de Vitoria", en Friedrich Stegmüller: Francisco de Vitoria y la doctrina de la gracia en la Escuela salmantina". Barcelona 1934: 166-482
^ Anthony Pagden, Vitoria: Political Writings (Cambridge Texts in the History of Political Thought), UK, Cambridge University Press, 1991, p. xvi, ISBN0-521-36714-X.