Nacque da Giuliano e da Apollonia Morastrelli.[1] Compì i primi studi nella città natale, probabilmente sotto la guida di Guido Vannini, traduttore della Gerusalemme liberata in esametri latini, e di Giuseppe Laurenzi, lettori di “umanità” nella prestigiosa scuola di eloquenza di San Girolamo. Proseguì la sua formazione a Roma, dove rimase fino al 1636 e dove entrò in contatto con gli ambienti curiali di Urbano VIII, nonché con il pontefice stesso. Sul finire del 1636 lasciò Roma per insediarsi stabilmente a Venezia, tra i centri più militanti del marinismo.[2] A Venezia divenne membro all’Accademia degli Incogniti, stringendo profonda amicizia con Leonardo Quirini e Pietro Michiele.
Non prese moglie e non ebbe figli. Morì a Venezia nel 1679.
Opera
Tra i lavori del periodo romano si ricordano il Gryphus purpuratus (Venezia, Sarzina, 1637), l’Adone ridotto in otto canti (epitome del poema mariniano, diffusa a partire dal 1637) e un gruppo di altre opere che saranno stampate solo dopo la sua morte, fra cui La coltre di Teti (poemetto in ottave ispirato al carme 64 di Catullo), L’occhio comico (commedia satirica contro Tommaso Stigliani) e l’Eneide maccaronica.
Al periodo veneziano appartengono invece i due epitalamîLe querele d’Amore (Venezia 1640) e L’Aurora fra le Nereidi (Venezia 1640) e le versioni poetiche dai classici, in particolare da Catullo e dai Dialoghi di Luciano e da Anacreonte, del quale il Torcigliani tradusse in volgare l’intera produzione poetica allora conosciuta (anche questi lavori verranno stampati postumi).
Sempre a Venezia scrisse opere di argomento sacro, come I settantadui nomi di Dio (corona di sonetti pubblicati nel terzo volume dell’Eco cortese), l’ecloga La lucerna sotto lo staio, alcuni Salmi in lingua latina, La sedia coronata (dodici sonetti) e la raccolta di rime L’acque della Vergine (Padova, Frambotti, 1674).
Scrisse anche drammi per musica, che tuttavia non sono stati ancora identificati in modo risolutivo.[3] Gli si attribuisce, fra gli altri, il testo delle Le nozze di Enea con Lavinia, messo in musica da Claudio Monteverdi.[4]
Molti scritti del Torcigliani, fra cui parte del suo corpus epistolare, ricevettero pubblicazione postuma a cura del fratello del poeta, Salvestro (sic), in tre volumi dal titolo Eco cortese, Lucca, Salvator Marescandoli e Fratelli, 1680-1683.[5]
Un testo esemplificativo
«Forse perché di brine sparso mi vedi il crine, giovinetta mi fuggi, né più d’amor ti struggi? O perché nel tuo volto hai d’Ebe il fior raccolto, i miei scherzi, i miei vezzi, fastidita disprezzi? Dilettevole e bello, in fiorito fastello vedi pur che si sposa il ligustro a la rosa.»
(Michelangelo Torcigliani, Ad una giovinetta – da Anacreonte)
Note
^Sulla vita e le opere di Michelangelo Torcigliani cfr. Le glorie degli Incogniti, Venezia 1647, pp. 337-339; Gregorio Leti, L’Italia regnante, parte IV, Ginevra 1676, pp. 412-431; Giovanni Sforza, F. M. Fiorentini ed i suoi contemporanei lucchesi del secolo XVII, Firenze 1879, pp. 361-365 e passim. Per una bibliografia degli studi più recenti cfr. la voce dedicata a Torcigliani da Francesco Rossini in Dizionario biografico degli italiani, vol. 96, Roma 2019, pp. 220-223 (versione online: “Torcigliani, Michelangelo” in Dizionario biografico degli italiani).
^"Sovrano imitatore del cavalier Marino” viene definito il Torcigliani da Angelico Aprosio (Leti, L’Italia regnante…, p. 427).
^Di tali drammi, senza specificarne i titoli, fa menzione Le glorie degli Incogniti, Venezia 1647, p. 339.
^Cfr. Nicola Michelassi, Michelangelo Torcigliani e l'Incognito autore delle "Nozze di Enea con Lavinia", in "Studi secenteschi", XLVIII, 2007, pp. 381-386.
^Spesso indicato, secondo la grafia dell’editio princeps, come Echo cortese. Il secondo e il terzo volume includono un’eterogenea messe di poesie disperse, cui Salvestro diede il titolo complessivo di L’Iride postuma.