È ricordato come lo stratega delle incursioni e delle conquiste della flotta ottomana lungo tutte le coste del Mediterraneo cristiano dalla metà del XVI secolo alla Battaglia di Lepanto.
Nato a Viganj, un villaggio nella peninsola di Sabbioncello, era di origini croate[1][2][3], sebbene una controversa leggenda narra che fosse un neonato ritrovato su un vomere di aratro alla periferia di Belgrado, in Serbia.
Piyale Paşa fu portato a Istanbul dove riuscì a distinguersi sufficientemente per essere allevato come ghazi del Sultano. Ricevette la sua educazione formale presso la accademia imperiale (Scuola dell'Enderûn), ottenendo il titolo di Kapıcıbaşı.
Prime imprese
Nominato inizialmente governatore Sanjak Bey della penisola di Gallipoli, fu promosso a Bahriye Beylerbeyi (primo ammiraglio) ottenendo il comando della flotta ottomana alla età di soli 39 anni.
Nel 1554 catturò l'Isola d'Elba e la Corsica, grazie ad una imponente flotta e alla partecipazione degli ammiragli Turgut Reis e Salih Reis. L'anno successivo il sultano Solimano il Magnifico gli assegnò il compito di aiutare la Francia contro la Spagna su richiesta della madre del re Francesco II di Francia. Piyale Paşa partì con la sua flotta il 26 giugno 1555, per riunirsi con le forze francesi a Piombino e respingere gli spagnoli.
Negli anni successivi si impiegò per numerose incursioni e terribili saccheggi di molte città (per cui è menzionato in diverse Memorie Storiche), tra cui Amalfi, le Isole Eolie, Massa Lubrense, Cantone, Sorrento, Torre del Greco e Piombino. Nel 1558 la sua flotta assalì le coste spagnole e Minorca.
Secondo alcuni storici, potrebbe essere stato lui, attorno al 1553-4 a mettere a morte per tradimento l'ammiraglio ottomano Piri Reìs, autore di discusse carte geografiche delle Americhe.
Piyale Paşa tornò Istanbul in trionfo con un gran numero di prigionieri, tra cui il comandante del forte di Gerba Alvaro de Sandi e gli ammiragli di Sicilia e di Napoli Sancho de Leyva e Berenguer de Requenses.
Solimano il Magnifico gli diede in sposa Sultana Gevher Han, sua nipote e figlia di Selim II, che diverrà il successivo sultano.
Occupazione di Napoli
La flotta a comando di Piyale Paşa riprese ben presto l'attività di conquista e razzia dei porti cristiani. Nel 1563 prese Napoli spagnola su commissione dei francesi, che la occuparono brevemente prima di esserne sloggiati dagli spagnoli.[senza fonte]
In 1566 Piyale Pasha conquistò l'isola di Chio ponendo fine alla presenza genovese nel mar Egeo. Successivamente si dedicò a devastare le coste pugliesi, molisane e abruzzesi. A tal proposito, il Tria, riferendo di quanto scrive un certo Tommaso Costo[5] che, trattando delle cose avvenute nel Regno nel 1566, così scrive:
«Era già il Mese di Agosto di quest'anno 66, quando l'Armata Turchesca guidata da Pialì Bassà scorse fino al Golfo di Venezia; e come fu al dritto di Pescara, luogo famoso, e forte dell'Abruzzo, fece alto. Di poi dato di nuovo de' remi in acqua, assaltò quella riviera, ove per trascuraggine del Governatore di quella Provincia si era fatto poco provvedimento, e pose a sacco, e a fuoco alcune Terre, cioè Francavilla, Ortona, Ripa di Chieti, S. Vito, il Vasto, la Serra Capriola, Guglionesi, e Termoli, menando via e di robba, e di gente quanta ne poté mettere su Galee, guastando, e rovinando tutto il resto... ».
Pialì Bassà, tentò poi di assaltare, ma invano, il Monastero di S. Maria a Mare nelle isole Tremiti.»
Nel 1567 lasciò la carica di Kapudanpaşa e il comando supremo della flotta a Müezzinzade Alì Pascià, per essere promosso nel 1568 a Vizir, diventando il primo ammiraglio nella storia dell'impero ottomano a raggiungere tale carica.
Il 15 maggio 1570 la flotta ottomana salpò per Cipro, allora in possesso alla Repubblica di Venezia, raggiungendola il 1º luglio. Il 22 luglio il generale Lala Kara Mustafa Pascià iniziò l'assedio di Nicosia, che capitolò il 9 settembre. Le altre città furono conquistate in rapida successione tranne Famagosta che, dopo un lungo assedio, cadde il 4 agosto 1571.
Nel 1571, la flotta ottomana fu pesantemente sconfitta alla Battaglia di Lepanto. Il comandante il capo, Müezzinzade Alì Pascià perse la vita e Piyale Paşa fu brevemente chiamato al comando della flotta ottomana, finché al suo posto fu nominato Uluç Alì Pascià. Le cronache di Katib Celebi e di Mustafa Selaniki, contemporaneo degli eventi, riferiscono che Paşa si dimise poco tempo dopo la disfatta di Lepanto.[7]
In meno di un anno gli ottomani ricostruirono la flotta in un numero pari quanto era prima della dello scontro a Lepanto e ripresero le azioni di guerra, sebbene con scarso successo. Nel 1574, con la battaglia di Tunisi riconquistò la Tunisia dalla Spagna e dai suoi vassalli Hafsid.
L'ultima spedizione navale di Piyale Paşa fu nel 1573 in Puglia.[senza fonte]
Morte
Piyale Paşa morì il 21 gennaio 1578 e fu seppellito a nella Piyale Paşa Camii, moschea a lui intitolata, edificata negli ultima anni della sua vita da Mimar Sinan.
Ayşe Atike Hanımsultan (1563 - c.1614/1616). Sposò Doğancıbaşı Kerim Ağa. Atike Sultan, figlia di Ahmed I, prende il nome da lei.
Sultanzade Mehmed Pasha (?-1593). Governatore prima del Peloponneso e poi dell'Erzegovina.
Sultanzade Mustafa Bey. Probabilmente morto infante.
Fatma Hanımsultan. Sposata con Ibrahim Bey.
Hatice Hanımsultan. A volte considerata figlia del secondo matrimonio, sposò Sinanpasazade Sinanpaşaoğlu Mehmed Pasha nel novembre 1598[8] e rimase vedova nel 1605, quandò Ahmed I giustiziò suo marito. Lascio il suo palazzo, il Piyale Pasha Palace, alla nipote Kaya Ismihan Sultan, figlia di Murad IV.
^Secondo Conflict and Conquest in the Islamic World: A Historical Encyclopedia, Piyale Paşa era di origini croate, ma nato in Ungheria. Tale discordanza potrebbe essere dovuta al fatto che la Croazia al quel tempo era incorporata nell'Ungheria.
^ Tamás Kiss, 2 (PDF), su Cyprus in Ottoman and Venetian Political Imagination c.1489-1582 (PhD dissertation), Academia.edu, Central European University, p. 108, DOI:10.14754/CEU.2016.05. URL consultato il 20 febbraio 2020. Ospitato su archive.is.
^Ipşırlı, Mehmet (June 1976). Mustafa Selaniki's history of the Ottomans. p. 211.