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La sindrome di Goodpasture è rara e colpisce circa lo 0,5÷1,8 per milione di persone all'anno in Europa e in Asia.[3] Si riscontra più frequentemente nei maschi rispetto alle femmine ed è anche meno comune nei neri rispetto ai bianchi. Si presenta, tuttavia, con maggior probabilità in persone Maori della Nuova Zelanda.[3] Le fasce di età di picco per l'insorgenza della malattia sono tra i 20 e i 30 e tra i 60 e i 70 anni.[3]
Il polmone presenta diffuse emorragie alveolari con aree rosse più consistenti per la presenza di sangue e microscopicamente si nota necrosi, ispessimento delle pareti e presenza di emosiderina. La presenza di immunocomplessi è il punto fermo per la diagnosi. Clinicamente può manifestarsi con emoftoe.
Il principale cardine del trattamento della sindrome consiste nella plasmaferesi, un procedimento in cui il sangue del paziente viene passato attraverso una centrifuga e i vari elementi separati in base al peso.[6] Il plasma, la parte fluida del sangue e che contiene gli anticorpi anti-MGB che attaccano i polmoni e i reni causando la malattia, viene filtrato reimmettendo nel paziente le altre parti del sangue, ovvero i globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.[6] Inoltre, la maggior parte degli individui affetti dalla malattia devono essere trattati con immunosoppressori (farmaci che deprimono il funzionamento del sistema immunitario), e in particolare con la ciclofosfamide, il prednisone e il rituximab, al fine di impedire la formazione di nuovi anticorpi anti-MGB per evitare ulteriori danni a reni e polmoni.[6] Altri immunosoppressori meno forti e dunque con meno effetti collaterali, come l'azatioprina, possono essere utilizzati per mantenere la remissione.[6]
Se la malattia ha colpito pesantemente il rene, è necessario ricorrere al trapianto.
Prognosi
Senza trattamento la prognosi sarà infausta praticamente per ogni paziente, in quanto andrà in corso al decesso o per l'insufficienza renale o per l'emorragie polmonari.[3] Con il trattamento, il tasso di sopravvivenza a 5 anni risulta maggiore dell'80% e meno del 30% degli individui affetti necessitano di emodialisi a lungo termine.[3] Allo stesso modo, il tempo medio di sopravvivenza è di circa 5,93 anni, come appare in uno studio effettuato sulle popolazioni dell'Australia e della Nuova Zelanda.[3]