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Tommaso Gaudiosi

Tommaso Gaudiosi, anche Tomaso Gaudiosi (Cava de' Tirreni o Napoli, inizio XVII secoloCava de' Tirreni o Napoli, dopo il 1671) è stato un poeta italiano di scuola marinista.

Biografia

Nato molto probabilmente a Cava de' Tirreni tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, compì studi giuridici e si avviò alla professione notarile.[1] A Cava dovette, ad ogni modo, dimorare in modo stabile, con l'eccezione di qualche trasferta imposta dagli impegni professionali, e certamente vi rivestì l’incarico pubblico di segretario cittadino.[2]

Cava de' Tirreni nel XVII secolo

Qualche utile informazione biografica si può ricavare da elementi interni alle sue opere, in particolare dall'Arpa poetica, raccolta di versi pubblicata a Napoli nel 1671. Una delle poesie proemiali dell’opera ci rivela, per esempio, che al momento della pubblicazione il Gaudiosi era ormai avanti negli anni,[3] e diversi sonetti alludono alla sua canizie, al venir meno della vista, ecc. Nella prefazione il poeta stesso racconta di aver perso i figli, che dal sonetto Alle proprie poesie, perduti i figli naturali sappiamo essere stati tre.[4] E l'avvertimento dello stampatore ai lettori spiega che all'epoca della pubblicazione l'autore si trovava “lontano da Napoli”. Da alcuni dei componimenti del Gaudiosi o a lui indirizzati da altri letterati e inclusi nella raccolta è inoltre possibile farsi un’idea della fitta rete di relazioni che il poeta intratteneva con significativi esponenti culturali dell’ambiente partenopeo: incontriamo figure come Girolamo Fontanella, Pietro Casaburi Urries, Giovanni Canale,[5] Giuseppe Battista, Antonio Muscettola, Niccolò Toppi, Federigo Meninni, e altri ancora.

Partecipò alle attività delle locali accademie cavesi dei Ravveduti e degli Occulti e fu in contatto con quella napoletana degli Oziosi.

Sconosciuto il luogo della morte, forse Cava o Napoli. La data andrà collocata non troppo oltre l’ottavo decennio del Seicento.

Opere

Le prime opere date alle stampe da Tommaso Gaudiosi furono una tragedia, La Sofia, ovvero L'innocenza ferita (Napoli, Nucci, 1640), e un'orazione, Il tempio rinascente, relazione per la consegrazione della maggior chiesa della Cava sotto il titolo delle Visitazione (Napoli, Francesco Savio, 1643). Eccezion fatta per la tragedia, la produzione in versi del poeta circolò a lungo solo in forma manoscritta. Giunto all’età senile tuttavia il Gaudiosi si risolse, per interessamento del letterato napoletano Lorenzo Crasso, a stampare il suo corpus poetico nel volume L'arpa poetica di Tomaso Gaudiosi, distinta in sei parti (Napoli, Novello de' Bonis, 1671), che è dunque di gran lunga la sua opera più importante.

L’arpa poetica raccoglie una variegata messe di componimenti, organizzati in sei sezioni. Gli argomenti prediletti sono quelli a carattere morale e religioso, trattati con particolare intensità e partecipazione,[6] ma non mancano inquiete poesie a sfondo politico, storico e civile, nonché una sezione di versi giovanili a tema amoroso, dai quali, peraltro, il poeta prende le distanze.

Oltre a sonetti, canzoni e madrigali, tra i vari componimenti figurano carmi di ampie proporzioni, come L’invito della Sirena alla maestà della Regina di Svezia (dove la sirena è, naturalmente, Partenope), Il Corradino (riflessione su Corradino di Svevia scritta “in persona di Carlo I”), Il pianto d'Italia ("in occasion delle guerre del 1643"), La fenice rinascente (traduzione parafrastica da Claudiano) e le stanze dedicate All'immaculata Madre di Dio, Maria sempre vergine, tutti in ottava rima, nonché un poemetto di tre canti in sesta rima, La Vergine trionfante.

Nella preliminare nota "al lettore", di pugno dello stesso Gaudiosi, le poesie contenute nella raccolta vengono definite "aborti d'un animo petrurbato ed evaporamenti d'una mente agitata da tristi pensieri"; e nondimeno l’autore torna più volte a dichiarare l’intento di immortalarsi nei suoi versi.

Un testo esemplificativo

Ecco de’ dolci miei teneri errori
il fausto clima, il genïale albergo,
a cui già volsi infaustamente il tergo
per cercar nova terra e nuovi amori.

Per tenerezza qui de’ vivi umori
che mi cingono il cor, le guance aspergo:
qui parimente mi sollevo ed ergo,
a trar da questo ciel nuovi furori.

Ma dove – ahi lasso! – de’ miei dolci affanni
son le belle cagioni? Ha pur distrutto
sì ricche moli un breve corso d’anni!

O Natura imperfetta, a che produtto
le cose avendo, alfin la speme inganni
e in un subito nulla involvi il tutto?

(Tommaso Gaudiosi, Ritornando alla stanza paterna)

Si nota un'influenza esercitata a posteriori anche su Giacomo Leopardi, specie confrontando la strofa finale con alcuni versi di A Silvia:

«O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?»

I tema della Natura ingannatrice e del tempo che scorre, tipicamente barocchi, sono infatti ricorrente in Gaudiosi:

«O natura infedel, come m'inganni!
Più dell'ingegno uman vola leggiera
la ruota irrevocabile degli anni.[7]»

Note

  1. ^ Sebbene già il Toppi, suo contemporaneo e diretto conoscente, lo dica “della Cava” (cfr. Niccolò Toppi, Biblioteca Napoletana, Napoli 1678, p. 297), non manca chi ne sostiene l’origine partenopea (cfr., per es., Alberto Granese, Sterminate eredità, Salerno 2002, p. 40 n. 31: “Napoletano di nascita, ma vissuto soprattutto a Cava de' Tirreni, dove esercitò la professione di notaio”). Si veda l'analogo caso di Giovanni Canale.
  2. ^ Un volume dal titolo Privilegi della fedelissima Città di Cava, stampato a Napoli nel 1674, si apre con un discorso prefatorio redatto dal Gaudiosi in veste di "segretario della fedelissima città di Cava" (cfr. Catalogo di libri rari della biblioteca del sig. Camillo Minieri Riccio, vol. II, Napoli 1865, p. 145).
  3. ^ “Or che del viver mio declinan gli anni”, scrive il poeta nel sonetto Per lo ritratto dell’autore (v. 5).
  4. ^ Uno spirato a pochi mesi dalla nascita, l’altro dopo qualche lustro, il terzo vissuto un po’ più a lungo, ma ucciso a tradimento (o forse a tradimento accusato e giustiziato). Il primo è probabilmente il bimbo del madrigale Per un figlio bambino morto: Giovann’Antonio de’ Gaudiosi della Cava (anagrammato in "nat’a Dio, già vado suo angelo, vad’in cielo"). Il terzo è fatto argomento del sonetto Per la morte del mio innocentissimo figlio don Girolamo.
  5. ^ Il Canale, anch'egli legato a Cava, commemorerà Tommaso Gaudiosi in un sonetto in morte (Fosti caro alle Muse, e a Febo caro).
  6. ^ “Rime sacre e morali insolitamente pensose e commosse” le definisce Guido Ferrero in Marino e i Marinisti, p. 1073, Napoli-Milano 1954.
  7. ^ Da I Marinisti. Opere scelte, a cura di G. Getto, Utet, Torino, 1954; citato in Lunario dei giorni di quiete. 365 giorni di letture esemplari, a cura di Guido Davico Bonino, prefazione di Claudio Magris, Einaudi, Torino, 1997, p. 392. ISBN 8806147234

Bibliografia

  • Marino e i marinisti. Opere scelte a cura di G. Getto, Torino 2013.
  • Emilio Risi, Poesia marinistica meridionale (Giovanni Canale e Tommaso Gaudiosi de La Cava), Pompei 1932.
  • Giovanni Getto, Il barocco letterario in Italia, Milano 2000, pp. 55, 74, 78, 80, 85, 87.

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