Figlio di Saverio e Rosa Ferrari, s'arruolò come volontario nel 1906 nel Reggimento "Lancieri di Milano", successivamente studiò all'Accademia militare di Modena dalla quale ne uscì nel 1912 con il grado di sottotenente di cavalleria. Nello stesso anno il padre trovò la morte a Derna nel corso della guerra italo-turca e pertanto venne decorato con la medaglia d'argento al valor militare alla memoria[2].
Dardano Fenulli invece venne invece inquadrato nei Cavalleggeri di Lucca e partì alla volta della Tripolitania. Alla fine della prima guerra mondiale, nel corso della quale aveva preso parte ai combattimenti sul Col Briccon e sulla Cima Bocche e anche perso il fratello minore Saverio caduto nel 1917[3], venne assegnato al Reggimento Nizza Cavalleria con il grado di capitano.
Nel 1938, con il grado di tenente colonnello, prese parte ad operazioni di contrasto alla guerriglia in Etiopia. Per il lavoro svolto venne premiato con una medaglia d'argento al valor militare. Nel 1941, nominato colonnello, Fenulli venne mandato in Jugoslavia alla testa dei "Lancieri di Vittorio Emanuele". Due anni dopo venne nominato Generale di brigata e vicecomandante della Divisione corazzata Ariete. Nei giorni immediatamente successivi l'8 settembre 1943 guidò alcune operazioni contro i tedeschi nei pressi di Roma, ma la firma del cessate il fuoco fermò ogni sorta d'iniziativa militare contro il nemico.
Il generale Fenulli entrò a far parte, come uno dei vertici, delle nascenti formazioni partigiane che operavano nella capitale e nel Lazio. Tradito da un delatore, venne arrestato dai tedeschi nel febbraio 1944. Dopo un periodo di detenzione nelle carceri di via Tasso, venne giustiziato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Per il suo sacrificio venne decorato con la medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
«Vicecomandante della Divisione "Ariete", prendeva parte ai combattimenti dei giorni 9-10 settembre guidando una colonna corazzata che si impegnava nei pressi di Ciampino e la cui ulteriore azione fu sospesa dal concluso armistizio. Dopo l'armistizio rimaneva in Roma per dedicarsi intensamente all'organizzazione della lotta clandestina. A tale scopo prendeva contatti con numerosi rappresentanti politici e militari esponendosi senza riguardo. Animato da purissimi ideali e da una ardente volontà di lotta si prodigava in ogni modo per organizzare in Roma e nel Lazio bande armate per la lotta contro i nazifascisti. Individuato ed arrestato e sottoposto a tortura dava ai suoi compagni di prigionia esempio di fortezza d'animo. Nelle Fosse Ardeatine faceva olocausto della sua nobile esistenza.» — Roma, settembre 1943-marzo 1944.
«Durante un lungo ciclo operativo, al comando di tre battaglioni coloniali e due gruppi di squadroni costituiva un formidabile sbarramento su di una importante via di comunicazione, impedendo ad agguerrite formazioni di ribelli di attraversare la zona affidata alla sua sorveglianza e di sfuggire alla pressione delle altre colonne operanti. Si portava più volte, alla testa di aliquote delle sue truppe laddove il nemico tenacemente inseguito tentava il passaggio, riuscendo ad arrestarlo ed a volgerlo in fuga dopo avergli inflitto sanguinose perdite. Magnifica tempra di soldato e di combattente sagace ed ardito.» — A.O.I, 28 ottobre 1938-31 gennaio 1939.
A Pinerolo la caserma "Principe Amedeo", ora sede del Museo storico dell’Arma di Cavalleria, venne ribattezzata nel 1961 con il nome del generale reggiano. A Reggio nell'Emilia, sua città natale, è stata intitolata alla sua memoria una strada, mentre sulla facciata del Palazzo del Comune è stata posta una lapide che ricorda il sacrificio del generale.
Nel 2015 il testamento spirituale[4] di Fenulli venne scelto come traccia del tema di ambito storico per la prova di italiano degli esami di stato di istruzione secondaria superiore[5].
«Le nuove generazioni dovranno provare per l’Italia il sentimento che i nostri grandi del risorgimento avrebbero voluto rimanesse a noi ignoto nell’avvenire: «il sentimento dell’amore doloroso, appassionato e geloso con cui si ama una patria caduta e schiava, che oramai più non esiste fuorché nel culto segreto del cuore e in un’invincibile speranza». A questo ci ha portato la situazione presente della guerra disastrosa.
Si ridesta così il sogno avveratosi ed ora svanito: ci auguriamo di veder l’Italia potente senza minaccia, ricca senza corruttela, primeggiante, come già prima, nelle scienze e nelle arti, in ogni operosità civile, sicura e feconda di ogni bene nella sua vita nazionale rinnovellata. Iddio voglia che questo sogno si avveri.»