Nacque a Labico il 2 settembre 1906, figlio del brigadiere CC.RR Alfonso, comandante della locale stazione carabinieri, e di Mariangela Aquino, entrambi originari di Atripalda (Av), ove il giovane Raffaele vivrà dal 1912. Dopo aver frequentato il Liceo Ginnasio "Pietro Colletta" di Avellino, nel dicembre 1924 si arruolò nell'Arma dei carabinieri,[1] frequentando la Scuola carabinieri di Roma e prestando servizio come sottufficiale a Firenze. Nell'ottobre 1930 entrò come allievo ufficiale alla Regia Accademia Militare di Modena per frequentare un corso speciale, brevettandosi ufficiale in servizio permanente effettivo.[1] Uscito con il grado di sottotenente dei carabinieri il 1 marzo 1932, nell'aprile del 1933 venne destinato a disposizione della Legione di Alessandria 7 mesi dopo al comando della Tenenza di Egna (BZ). L'anno successivo assunse il comando della Compagnia di Bolzano e nel giugno 1935 quello della Tenenza di Villanova d'Asti. Fu poi promosso tenente e nel 1935 partì per l'Africa Orientale Italiana[1] Dal 23 agosto 1935 al 29 maggio 1937 rimase in A.O.I. in forza alla 390ª sezione C.C. mobilitata, combattendo nel corso della guerra d'Etiopia.[1] con la 390ª Sezione Carabinieri Mobilitata dal 23 agosto 1935 al 29 maggio 1937, distinguendosi particolarmente nela battaglia dello Scirè, ove meritò un encomio solenne. Alla fine dello stesso anno conseguì la Laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Bologna.
Il 19 dicembre 1938 si unì in matrimonio con la signora Liana Melley, ligure; dal loro legame nascerà la figlia Mirella.
L'arresto di Mussolini aveva posto i due ufficiali in una situazione delicata.[3] La situazione diventò più seria quando le cose precipitarono dopo l'armistizio dell'8 settembre. A questo punto il Vigneri ritenne opportuno non prestare più servizio e, lasciato il comando, si diede alla macchia, mentre egli rimase al suo posto. Dopo l'8 settembre 1943, Romolo Guercio nella relazione inviata il 7 luglio 1944 al Ministero della Guerra, riferisce che aveva discusso della situazione con l'Aversa, ottenendo questa risposta: "Vedi. Qui si sono tutti "squagliati": le truppe che difendevano Roma, i capi militari, le autorità politiche, ecc. Siamo rimasti solo noi carabinieri, gli unici che possiamo ancora frenare gli eccessi tedeschi. Anche se abbiamo ricevuto specifici ordini, il nostro dovere è quello di proteggere la popolazione. Per questo nessuno di noi deve abbandonare il suo posto. Per me, se ritengono che ciò che ho fatto sia un delitto, mi arrestino e mi uccidano pure, ma io non solo non debbo nascondermi, ma debbo e voglio operare apertamente e in piena uniforme, onde ottenere che anche tutti i dipendenti pensino soltanto al loro attuale dovere, qualunque sia il suo costo".
Sfuggito all'arresto tentato dalle nuove autorità il 7 ottobre 1943, condusse vita da latitante, trovando rifugio nell'abitazione dell'amico Capitano dei Bersaglieri Romolo Guercio. Sistemate invece la moglie e la piccola figlia nell'abitazione del Commissario di Pubblica Sicurezza Laurenziani, anch'egli suo amico, riuscì subito a procurarsi documenti falsi sotto il nome di dottor Aquino e già a fine ottobre prese contatto e si diede a organizzare i carabinieri nel Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri, sotto la guida del generale Caruso e in collegamento con il colonnelloGiuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.[4]
«Ufficiale dei CC.RR. comandante di una compagnia della Capitale, opponeva dopo l’armistizio, all’azione aperta ed alle mene subdole dell’oppressore tedesco e del fascismo risorgente, il sistematico ostruzionismo proprio e dei dipendenti. Sfidava ancora i nazifascisti sottraendo i suoi uomini ad ignominiosa cattura. Riannodatene le file e raccolti numerosi sbandati dell’Arma, ne indirizzava le energie alla lotta clandestina, cooperando con ardore, sprezzante di ogni rischio, a forgiarne sempre più vasta e possente compagine. Arrestato dalla polizia tedesca come organizzatore di bande armate, sopportava per due mesi, nelle prigioni di via Tasso, sevizie e torture che non valsero a strappargli alcuna rivelazione. Fiaccato nel corpo, indomito nello spirito sempre drizzato fieramente contro i nemici della Patria cadeva sotto la mitraglia del plotone di esecuzione alle Fosse Ardeatine. Fronte militare della Resistenza - Fosse Ardeatine, 8 settembre 1943 - 24 marzo 1944.[5]» — Decreto Luogotenenziale 25 febbraio 1946[6]
Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo. Storia del capo della resistenza militare nell'Italia occupata, Milano, Baldini & Castoldi s.r.l., 2014, ISBN88-6865-424-5.
Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1964.
Alessandro Portelli, L'ordine è già stato eseguito: Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma, Donzelli editore, 1999, ISBN88-7989-457-9.
Mario Ragionieri, Enrico Nistri e Marco Rossi, 25 luglio 1943: il suicidio inconsapevole di un regime, Roma, Ibiskos Editore, 2007, ISBN88-546-0152-7.
Giancarlo Barbonetti, Oltre il dovere – I Carabinieri decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare, Roma, Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri, 2023, ISBN9788889242575.
Periodici
Carlo Maria Magnani, Le fosse ardeatine, in Il Nastro Azzurro, n. 4, Roma, Istituto del Nastro Azzurro, luglio-agosto 2013, pp. 8-9.