Le lingue lechitiche occidentali (o dialetti lechitici occidentali), note anche come lingue venediche, sono un insieme di dialetti affini estinti appartenenti al gruppo lechitico delle lingue slave. Erano parlate dai cosiddetti Venedi, popoli slavi stanziati tra il medio e basso corso dell'Elba (comprese alcune sezioni della sua sponda occidentale) e il basso corso dell'Oder, tra il IX e il XVIII secolo, quando furono definitivamente soppiantate dal basso tedesco.
Questi dialetti sono spesso impropriamente raggruppati sotto il glossonimo di lingua polaba, sebbene tale termine definisca in realtà solo l'ultima fase di questo gruppo linguistico, attestata a partire dal XVII secolo.
Dopo essere state incluse nell'impero carolingio come marche di confine, le terre tra l'Elba e l'Oder divennero meta, tra il X e il XIV secolo, di un progressivo insediamento di coloni di lingua germanica (principalmente sassone), che si stabilirono spontaneamente o su invito dei signori locali in quei territori scarsamente popolati.[2]
Questa colonizzazione, per la maggior parte pacifica ma occasionalmente caratterizzata anche da episodi di discriminazione o persino conflitto (come nei casi della rivolta slava del 983 o della crociata dei Venedi),[3] comportò una graduale assimilazione dei popoli slavi locali, che abbandonarono la propria lingua d'origine in favore di quella dei colonizzatori, specialmente nei contesti urbani. Le parlate lechitiche occidentali si conservarono tuttavia in alcune delle aree più rurali, riuscendo a sopravvivere ancora per alcuni secoli.[4]
Con l'avanzata e la diffusione del basso tedesco, le varie comunità slavofone rimasero isolate le une dalle altre, sviluppando una notevole varietà dialettale. Il declino nell'uso dei dialetti lechitici occidentali proseguì lento e graduale fino al XVII secolo, quando subì una brusca accelerazione a causa della guerra dei trent'anni.[5] La fase svedese del conflitto, infatti, devastò le campagne del Meclemburgo e delle regioni limitrofe, portando a una drammatica riduzione della popolazione locale e sancendo la scomparsa pressoché totale delle comunità slavofone in Germania orientale.[6][7] Le lingue lechitiche occidentali si conservarono solo in un limitato territorio sulla sponda sinistra del basso corso dell'Elba, che a partire dal XVIII secolo divenne noto come Wendland (Terra dei Venedi), corrispondente più o meno all'attuale circondario di Lüchow-Dannenberg.[5]
Fu solo sul finire del Seicento che alcuni studiosi tedeschi, soprattutto pastori protestanti, iniziarono a interessarsi a queste comunità slave e a documentare i loro usi e la loro lingua ormai moribonda, definita venedica dagli uomini del tempo e polaba dai linguisti novecenteschi. Furono compilate brevi raccolte di canzoni e preghiere locali, nonché piccoli dizionari, nei quali la lingua dei lechiti occidentali veniva messa per la prima volta in forma scritta; le più importanti di queste opere furono il Vocabularium Venedicum di Christian Hennig von Jessen, pastore e linguista dilettante,[8] e la Parum Schulze’s Chronik di Johann Parum Schultze, scoltetto di Süthen (Küsten) nonché uno degli ultimi locutori nativi del polabo.[9] La lingua documentata in questi scritti, ancorché fondamentalmente slava, presenta ormai una profondissima influenza bassotedesca nel proprio vocabolario e nella propria sintassi.
Pochi decenni dopo, la lingua venedica si estinse definitivamente. L'ultima persona nota di madrelingua polaba, una contadina di Dolgow (Wustrow) di nome Emerentz Schultze, morì nel 1756 all'età di 88 anni.[10] Altre persone con una conoscenza parziale della lingua sono documentate fino alla prima metà dell'Ottocento, ma la loro effettiva capacità di utilizzare l'idioma slavo si limitava a brevi frasi o singole parole o alla ripetizione di preghiere standardizzate di cui però ignoravano il significato esatto.[5]
Caratteristiche fonetiche
Data l'esiguità di attestazioni scritte delle parlate lechitiche occidentali, i tratti distintivi di questo gruppo dialettale sono stati ricostruiti principalmente tramite l'analisi della toponomastica dei loro territori. Questi dialetti condividono diversi tratti con le varietà lechitiche parlate in Pomerania Orientale e Pomerelia, le quali sono tuttavia solitamente classificate a parte in un gruppo di transizione tra lechitico occidentale e lechitico orientale.[11][12]
Alcune delle caratteristiche fonetiche distintive dell'area lechitica occidentale erano:
La metatesi slava delle liquide, completatasi nelle altre lingue lechitiche, avviene solo parzialmente, in particolare:
Assenza quasi totale della metatesi TorT > TroT, cfr. polabo korvo, stornă, morz < proto-Slavo *korva, *storna, *morzъ; in alcuni casi TorT si sviluppa poi in TarT, cfr. Garditz < PS *Gordьcь.[13]
Fusione di TolT e TelT in TolT, che dopo la metatesi diventa TlåT o TloT, cfr. polabo slåmă, mlåkă < PS *solma, *melka.[14] Sono presenti tuttavia anche alcuni toponimi che non esibiscono questa metatesi, e.g. Moltow, Priwalk.[14]
Preservazione delle consonanti palatalizzate prima della *ŕ (*ьr) sillabica protoslava depalatalizzatasi in seguito all'apofonia lechitica, cfr. polabo tjordă, ai̯ḿortă, źornü vs polaccotwardy, dial. umarty, polacco anticozarno.[14]
Fusione di *l̥ e *ĺ̥ (*ъl e *ьl) sillabiche protoslave e susseguente loro sviluppo in oł e poi åu̯, cfr. polabo påu̯nă, våu̯k, dåu̯ďĕ vs polacco pełny, wilk, długi.[14]
Dittongazione di *y protoslava, in origine probabilmente solo in posizione successiva a una consonante labiale, come si evince da toponimi quali Boiceneburg, Boisterfelde, Primoysle, cfr. polacco Byczyna, Bystre, Przemyśl.[14]
Commistione di *o- e *vo- in posizione iniziale, fenomeno che accomuna il lechitico occidentale con le varietà slave parlate in Grande Polonia, Lusazia, Boemia e Moravia occidentale, cfr. polabo vådă, vićă, sorabo superiorewoda, wówca, grande-polaccou̯oda, u̯ofca, ceco dial. voda, vofce e polacco woda, owca.[14]
dialetti meclemburghesi, parlati nell'area dell'attuale Meclemburgo-Pomerania Anteriore; l'ulteriore suddivisione di questi dialetti in gruppi più piccoli è incerta e dibattuta. Tadeusz Milewski tracciò una serie di isofone sulla base dei toponimi della regione, tuttavia Maria Jeżowa affermò che queste isofone non fossero abbastanza supportate dalle analisi toponomastiche e che questi dialetti non differissero in maniera significativa.[16]Tadeusz Lehr-Spławiński invece, seguendo il lavoro di Milewski, propose la seguente suddivisione:
^(DE) Karl Ernst Hermann Krause, Hennig, Christian, in Rochus von Liliencron (a cura di), Allgemeine Deutsche Biographie, Lipsia, Duncker & Humblot, 1880, p. 774.
^(DE) Karl Ernst Hermann Krause, Schulze, Johann Parum, in Rochus von Liliencron (a cura di), Allgemeine Deutsche Biographie, vol. 33, Lipsia, Duncker & Humblot, 1891, p. 4.
^(DE) Simon Benne, Wer wird Welterbe?, su Hannoversche Allgemeine, 18 giugno 2012 (archiviato dall'url originale il 14 aprile 2021).
^(PL) Karol Dejna, Dialekty polskie, Breslavia, Zakład Narodowy im. Ossolińskich, 1973, p. 69.
^(DE) Marek Konopka, Polnisch, in Thorsten Roelcke (a cura di), Variationstypologie / Variation Typology: Ein sprachtypologisches Handbuch der europäischen Sprachen in Geschichte und Gegenwart / A Typological Handbook of European Languages, Walter de Gruyter, 2008, p. 657, ISBN3110202026.
^(PL) Maria Jeżowa, Dawne słowiańskie dialekty meklemburgii w świetle nazw miejscowych i osobowych, vol. 1, Zakład Narodowy imienia Ossolińskich, 1961, p. 105.
(PL) Stanisław Papierkowski, Szczątki języka słowiańskich mieszkańców Starej Marchji i okolic Magdeburga, in Slavia Occidentalis, vol. 9, 1930, pp. 73-124.
† lingua estinta (nessun sopravvissuto tra i parlanti nativi e nessuno tra i discendenti) * sottogruppo controverso la cui esistenza è ancora ampiamente dibattuta tra i linguisti