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Aladino e la lampada meravigliosa

Disambiguazione – "Aladino e la lampada magica" rimanda qui. Se stai cercando l'omonimo film, vedi Aladino e la lampada magica (film).
Aladino nel Giardino Magico, illustrazione di Max Liebert dal libro di Ludwig Fulda Aladin und die Wunderlampe[1].

Aladino e la lampada meravigliosa è uno dei più celebri racconti de Le mille e una notte. Non era però presente nella versione originale dell'opera; venne invece aggiunto da Antoine Galland, per l'edizione francese dell'opera.

Nelle versioni consolidate dell'opera[2], questo racconto occupa dalla 310ª notte alla 342ª notte.

Trama

Aladino è un ragazzo fannullone che vive in "una delle tante città della Cina" [3], figlio del sarto Mustafà, morto di crepacuore per la preoccupazione che gli dava la sua indolenza, motivo anche della disperazione della madre. Un giorno Aladino riceve la visita di un necromante Maghrebino, che si spaccia per un fratello di Mustafà; questi convince la madre ad affidargli il giovane scapestrato per farne un mercante.

Una lampada ad olio del tipo che frequentemente si accosta graficamente a questa leggenda; quella nell'immagine è una lampada indiana, ed in effetti Antoine Galland, nella sua compilazione delle Mille e una notte, si basò anche su testi indo-persiani.

Il mago porta Aladino fuori città; giunti in un dato luogo, esegue un oscuro rituale e apre l'accesso a una caverna dove è nascosto un prodigioso tesoro, del quale solo Aladino può impadronirsi. La caverna è piena di ricchezze, ma Aladino non potrà raccoglierle se prima non troverà una vecchia lampada ad olio: è quella che il mago desidera. Prima che entri, il mago consegna un anello fatato che gli servirà da talismano.

Aladino si introduce nella caverna, dove raccoglie i frutti di un giardino incantato che si rivelano essere pietre preziose. Aladino trova la lampada e la prende con sè; mentre torna indietro, il peso dei gioielli gli impedisce di salire gli ultimi scalini per tornare all'aperto; chiede aiuto al mago, ma questi gli dice di consegnargli prima la lampada. Temendo che il mago voglia abbandonarlo una volta ottenuta la lampada, Aladino rifiuta di consegnargliela: al colmo del furore, il mago richiude la caverna, intrappolandovi dentro il giovane.

Passati due giorni, Aladino giunge le mani in preghiera, strofinando involontariamente l'anello magico: subito appare un jinn, che si dichiara suo servitore ed esaudirà qualunque suo desiderio; il ragazzo chiede di essere liberato. Tornato dalla madre, Aladino le racconta tutto; rimasti senza cibo e denaro, le propone di vendere la lampada: quando la donna tenta di lucidarla, ne esce un altro jinn più potente del primo, che si offre di servire i portatori della lampada ed esaudire i loro desideri. Aladino comanda alla creatura di portare del cibo, che il jinn fa apparire insieme a preziose stoviglie d'oro e d'argento. Da quel giorno, con l'aiuto del jinn, madre e figlio riescono a vivere in prosperità, e il giovane vende all'occorrenza i piatti d'argento con cui il genio ha portato le vivande; grazie ai proventi riesce ad aprire un negozio di stoffe.

Aladino vende i piatti d'argento al mercante ebreo, che glieli paga una moneta d'oro quando ne valgono 72[4].

Mesi dopo, Aladino cammina vicino alla reggia del sovrano [5]; in quel momento un banditore ordina al popolo di rinserrarsi in casa, poiché sta per passare la figlia del sultano. Incuriosito, il giovane si nasconde e vede arrivare la principessa, il cui nome è Badru l-budūr [6], col suo seguito di ancelle ed eunuchi: il giovane se ne innamora subito e desidera ardentemente di sposarla. Manda dunque la madre dal sultano per chiedergli la mano della figlia, chiedendole di donargli i gioielli del giardino incantato. I gioielli solleticano l'avidità del sultano, che si consiglia con il gran visir: questi, che pianifica di chiedere la principessa in sposa per suo figlio, spinge il sultano a rispondere che acconsentirà alle nozze soltanto se, entro tre mesi, Aladino gli avrà fatto pervenire la dote [7].

La madre di Aladino presenta all'imperatore il vassoio di gemme del giardino incantato[4].

Ben prima dello scadere dei tre mesi, vengono fissate le nozze tra Badru l-budūr e il figlio del visir; indispettito dal tradimento del sultano, Aladino chiama il jinn e gli ordina che dopo la cerimonia, quando si saranno ritirati per la loro prima notte coniugale, la principessa ed il novello sposo siano condotti alla sua presenza. Il jinn porta dunque gli spaventanti sposi a casa del giovane: il figlio del visir viene imprigionato nel bagno, mentre Aladino spiega alla principessa come suo padre abbia disatteso la promessa; si corica poi nel letto insieme a lei, volgendole le spalle dopo aver messo una scimitarra fra sé e la donna, a garanzia dell'onore di entrambi. All'alba il jinn riporta gli sposi nella camera nuziale: quando la principessa racconta l'accaduto non viene creduta, così la notte seguente Aladino comanda al jinn di ripetere il rapimento. Ascoltato il racconto del figlio, il gran visir chiede al sovrano di annullare il matrimonio, temendo per la sua vita del figlio.

Allo scadere dei tre mesi, Aladino manda sua madre a corte a ricordare al sovrano la propria promessa. Il sultano decide allora di avanzare una richiesta impossibile, così da non essere costretto a dare la figlia in moglie a uno sconosciuto: chiede dunque in dote quaranta barili d'oro massiccio pieni di gemme dello stesso valore di quelle portate tre mesi prima. Aladino, con l'ausilio del jinn, fa apparire tutte quelle ricchezze, e le fa portare al cospetto del sovrano da quaranta schiavi bianchi e da quaranta schiavi africani riccamente vestiti: di fronte a quello spettacolo, il sultano dà dunque il suo consenso alle nozze. Aladino riceve dal jinn abiti meravigliosi per sé e per la madre e giunge a palazzo in sella a un bianco destriero; il giovane ottiene così anche la stima del sovrano. Anche la principessa si innamora di lui a prima vista, e come dono di nozze Aladino fa apparire un palazzo meraviglioso, pieno di ogni ricchezza. I due sposi passano alcuni anni di grande felicità.

Il mago africano viene però a sapere, usando la geomanzia, che Aladino è fuggito dalla caverna ed è divenuto un uomo di successo; sospettando che dietro la sua fortuna ci sia la lampada magica, si traveste da venditore ambulante e torna in Cina. Mentre Aladino è a caccia, si reca al suo palazzo e propone ai servi del giovane di barattare vecchie lampade con altre nuove di zecca. Una fantesca si ricorda che Aladino tiene una lampada vecchia in un armadio, e la dà al mendicante in cambio di una nuova. Venuto finalmente in possesso della lampada fatata, il mago ordina al jinn di portare in Africa il palazzo e la principessa. Il sultano fa allora rientrare subito Aladino e lo condanna a morte: in seguito gli concede salva la vita, a patto che riporti a casa la figlia entro quaranta giorni.

Pur avendo perso la lampada, Aladino ha ancora al dito l'anello magico: quando inavvertitamente lo strofina, ne viene fuori il jinn. Aladino gli chiede di annullare il sortilegio del mago, ma la magia del genio dell'anello non può prevalere su quella del genio della lampada; il giovane si fa dunque portare in Africa: con un sotterfugio entra a palazzo, raggiunge la moglie e scopre che il mago intende sposarla, credendo che ella sia rimasta vedova. Aladino le ordina di fingere di assecondarlo e di invitarlo a cena; le procura un potente sonnifero, che la principessa dovrà mettere nel vino destinato al mago. Quando il mago lo beve, si addormenta profondamente: Aladino lo decapita, gli sottrae la lampada e chiede al genio di essere riportato in Cina con la moglie e il palazzo, dove viene accolto con grandi onori.

Copertina di un'edizione francese con lo stralcio della storia di Aladino[4].

Il necromante aveva però un fratello che, non avendone più notizie, usa a sua volta la divinazione della sabbia e viene a conoscenza dell'accaduto. Dopo aver giurato vendetta su Aladino, raggiunge la Cina e si reca da Fatima, un'eremita che dispensa grazie: dopo averla uccisa ne assume l'identità e si reca al palazzo di Badru l-budūr; convinta che si tratti della vera Fatima, la principessa dona ospitalità all'impostore. La falsa Fatima osserva il palazzo e dice che, per farlo diventare il palazzo più bello del mondo, dovrà avere un uovo di Roc appeso al lampadario della sala grande. La principessa lo dice ad Aladino, il quale chiede al jinn della lampada di procurargli l'oggetto. Il jinn reagisce però con furia: il Roc è infatti il padrone infernale di tutti i jinn[8] e la richiesta di impiccarlo al lampadario avrebbe dovuto farlo incollerire tanto da fargli incenerire casa ed occupanti; poiché il jinn sa che la richiesta non è venuta davvero da Aladino, lo avvisa della presenza dissimulata del secondo mago. Aladino smaschera il necromante e lo uccide. Da quel momento Aladino e la sua sposa vivranno felici e contenti.

Fonti storiche

Il racconto, da qualcuno classificato come leggenda[9], appare come detto per la prima volta nella compilazione delle Mille e una notte del Galland, in cui figura nei volumi IX e X dell'edizione del 1710. Dai diari dello stesso Galland si apprende che la traduzione era stata effettuata nell'inverno 1709-1710, facendo seguito all'incontro del marzo 1709 con Youhenna Diab ("Hanna"), uno studioso maronita presentatogli da Paul Lucas, viaggiatore francese. Potrebbe perciò essere stato Hanna il cantastorie arabo, siriano di Aleppo, dal quale Galland disse di averla appresa.

Il poeta inglese John Payne, che nel 1901 pubblicò a Londra Aladdin and the Enchanted Lamp and Other Stories, parlò in questo libro sia dell'incontro fra Galland e Hanna, sia della scoperta, presso la Bibliothéque Nationale di Parigi, di due manoscritti di provenienza araba. Uno era una versione siriana della fine del XVIII secolo, l'altro la copia di un manoscritto composto a Baghdad nel 1703, prima perciò della pubblicazione del Galland, ed appartenente all'orientalista Armand-Pierre Caussin de Perceval.

Ambientazione

Galland nella frase introduttiva del racconto, colloca la narrazione in una città della Cina. Ciononostante non sono presenti ulteriori riferimenti alla Cina all'interno della storia, che presenta invece numerosi elementi ricollegabili ad un'ambientazione strettamente mediorientale. A partire dalla presenza dei jinn, per poi passare al sovrano, che viene menzionato con il titolo di "sultano" anziché di "imperatore", il primo titolo dei governati arabi mentre il secondo lo è di quelli orientali. Tutti i personaggi della storia hanno nomi arabi, sono esplicitamente musulmani e nominano di frequente Allah nei dialoghi. Il mercante che acquista i piatti d'oro da Aladino è ebreo, ma non vi è menzione nel testo di buddisti, taoisti o confuciani.

Fin dalla dinastia Tang svariati gruppi etnici della Cina hanno a lungo compreso popolazioni islamiche, come gli uiguri, gli hui o i tagiki, le cui origini risalgono ai viaggiatori della via della seta. Qualcuno ha ipotizzato che la vicenda abbia luogo nel Turkestan, racchiudente l'Asia centrale e l'odierno Xinjiang.

La dubbia ambientazione cinese della storia potrebbe essere dipesa dalla sommaria o scarsa conoscenza della Cina che potevano avere i diversi narratori del racconto. Inoltre, la Cina veniva anticamente utilizzata in Arabia per indicare in senso figurato una generica e misteriosa "terra lontana"[10].

Adattamenti

Locandina del 1886 per una pantomima teatrale di Aladino.

Il racconto ha ricevuto innumerevoli trasposizioni teatrali, cinematografiche e televisive. A causa della sua ambigua ambientazione, gli adattamenti scelgono generalmente di ambientare per comodità la storia nel medio oriente, in linea con la terra d'origine del racconto.

Opera

Teatro

Cinema

Aladino e la lampada magica (1917)
Locandina cinematografica di Aladino e la lampada magica (1917).

Televisione

Fumetti

Videogiochi

Citazioni

Note

  1. ^ (DE) Ludwig Fulda, Aladin und die Wunderlampe, su gutenberg.org, Project Gutenberg. URL consultato il 13 agosto 2023.
  2. ^ Ad esempio Eugène Destains, Le mille ed una notti: novelle arabe, già pubblicate da Galland, riscontrate ed emendate sui testi originali, traduzione di A.F.Falconetti, Giacomo Antonelli & C., IV volume, Livorno, 1852, sul cui testo si basa la ricostruzione della trama in questa pagina.
  3. ^ Nella tradizione araba la parola Cina indica qualsiasi posto lontano
  4. ^ a b c Illustrazioni di Albert Robida (1848-1926). Da una ristampa del 1953.
  5. ^ A seconda delle versioni, il sovrano viene definito "sultano" o "imperatore"); il traduttore del Destains (op. cit.) usa "sultano". Il titolo di "imperatore", nel mondo islamico, non esiste.
  6. ^ Il nome significa "luna piena delle lune piene"
  7. ^ Nella tradizione giuridica islamica è infatti l'uomo a dover portare la dote, mahr, alla futura moglie
  8. ^ In questo caso la figura mitologica del Roc viene sincretizzata col dio Simurg, parimenti rappresentato come un gigantesco uccello
  9. ^ Si veda ad esempio Vincenzo Errante e Fernando Palazzi, Il Tesoro del ragazzo italiano, Torino, UTET, 1952, SBN IT\ICCU\CUB\0257483.
  10. ^ (EN) Who was the real Aladdin? From Chinese to Arab in 300 years, su ajammc.com, 10 agosto 2017. URL consultato il 13 agosto 2023.

Bibliografia

Voci correlate

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