La neutralità di questa voce o sezione sull'argomento attori è stata messa in dubbio.
Motivo: tutta la parte dopo la biografia (su opera, stile, influenze, ecc) appare una ricerca originale, in buona parte agiografica e scritta con stile scarsamente didascalico; molte poche anche le fonti, vi sono in prevalenza note, anch'esse carenti di fonti. In vari tratti questo stile diventa agiografico.
Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.
Questa voce o sezione sugli argomenti registi e attori italiani non è ancora formattata secondo gli standard.
Commento: Voce fortemente fuori standard soprattutto negli elenchi delle opere, fuori standard e da ripulire poiché ridondanti di informazioni che non vanno elencati negli elenchi opere.
È stato uno dei protagonisti della "neoavanguardia" teatrale italiana e tra i fondatori del "nuovo teatro italiano"[1]. Autore prolifico, si impegnò in diverse forme d'arte quali la poesia, il concerto, il cinema.
Biografia
«Teniamoci lontani dal nostro tempo, lontani da questo sociale che ci frana addosso come una montagna di nulla. Non ne posso più del sociale, della politica gestita dai partiti, delle masse, ovvero delle plebi che sono al potere sotto forma di opposizione, ma non sono più minoritarie[2]»
Nasce a Campi Salentina, in provincia di Lecce[3], il 1º settembre 1937, da genitori originari di Vitigliano, frazione di Santa Cesarea Terme. I suoi genitori, Umberto Bene (1900-1973) e Amelia Secolo (1905-1992), gestivano una fabbrica di tabacco dove lavoravano diverse centinaia di giovani operaie. Bene era un bambino gracile, timido, introverso e taciturno. Sua madre era fervente cattolica e praticante, così il piccolo Carmelo si trova a servire «un'infinità di messe», sia a Campi Salentina sia a Lecce, dove abitava la zia Raffaella, anche tre o quattro al giorno[4]. Una vocazione, questa, che abbandona man mano, sino a diventare allergico a qualsiasi tipo di ritualizzazione religiosa.
Frequenta la scuola degli Scolopi di Campi Salentina, mostrandosi critico verso i propri insegnanti, definiti successivamente nella sua autobiografia[5] come incompetenti in teologia, bestemmiatori e pedofili. Trascorre così l'infanzia perlopiù fra i vezzi di questa moltitudine di ragazze, la scuola degli Scolopi e le gite domenicali a Lecce. Dopo gli studi presso l'Istituto Calasanzio dei Padri Scolopi di Campi Salentina, ove frequenta le scuole medie e il liceo classico sino al secondo anno, conclude gli studi classici nel Collegio Argento dei Padri Gesuiti di Lecce.
In seguito si iscrive, diciassettenne, alla Facoltà di Giurisprudenza all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", senza frequentarla troppo. Si iscrive anche al primo anno dell'Accademia Sharoff. Da Lecce gli arriva la cartolina precetto e parte per la visita di leva, ma, contrario a utilizzare 18 mesi delle sue «numerose vite» svolgendo mansioni ritenute inutili, riesce a evitare il servizio militare fingendosi omosessuale. Anche all'esame psichiatrico risulta la sua ambivalenza, guadagnandosi l'attestato di RAM (ridotta attitudine militare)[6].
Nel 1957 si iscrive all'Accademia nazionale d'arte drammatica «Silvio D'Amico» e ne frequenta i corsi per un anno, ritenendoli inutili[7]: esisteva un certo attrito fra lui e gli insegnanti, e lo stesso Carmelo Bene sintetizza i divergenti punti di vista affermando che «il metodo per risvegliare i sentimenti era l'accademia Sharoff, quello per addormentarli la Silvio D'Amico». Aggiungendo: «Per fortuna, dopo un anno passai a non frequentare la Silvio D'Amico». Diventò presto famigerata la battuta: «Come va? Non c'è Bene, grazie»[8]. Bene ricorda che alla Silvio D'Amico, solo due insegnanti credevano in lui: l'insegnante di metrica e la signora Morino[9], trent'anni prima attrice con Ruggero Ruggeri.
A Roma i genitori gli pagano l'affitto e un minimo di vitto, perciò in questi primi anni romani Carmelo, per sostenere la propria vita sregolata, deve lavorare di astuzia e praticare sotterfugi. In questi anni si ubriaca frequentemente e fuma molto. Finisce spesso per essere arrestato: «Bastava girare con la barba non rasa di un giorno» per essere fermato, interrogato o addirittura arrestato. Nel solo anno 1958 Carmelo Bene trascorse «trecentoventicinque notti nei vari commissariati di zona»[10].
Esordisce ventiduenne in teatro con Caligola di Albert Camus nel 1959, per la regia di Alberto Ruggiero[11]. Dopo le prime esibizioni romane torna a Campi Salentina con l'intento di sposare Giuliana Rossi, attrice fiorentina di quattro anni più grande, mal vista dalla famiglia di lui[12].
Il padre, in combutta con il primario, arriva a farlo internare al manicomio per un paio di settimane, con l'intenzione di scemare l'attrazione e l'intenzione a realizzare il matrimonio; Giuliana poi subisce esplicite minacce. Si sposano comunque a Firenze il 23 aprile 1960, «più per accontentare la suocera che per effettiva vocazione»[13] e dalla loro unione nasce un figlio, Alessandro, che viene allevato prevalentemente dai nonni materni e muore di tumore in giovane età[14] il 3 ottobre 1965 all'ospedale Meyer di Firenze.
In questo periodo fiorentino avviene l'incontro letterario fondamentale della sua vita; legge l'Ulisse[15] di James Joyce[16] che lo affascina talmente da sconvolgerne il modo di pensare, sottraendogli gli ultimi residui di esistenzialismo[17]. Dopo questo primo impatto letterario Carmelo Bene lascia Firenze, vivendo un periodo di «pura erranza»[18], «scombussolato», senza una meta, prima di approdare a Genova. Nel 1960 conosce e si lega in amicizia con Aldo Braibanti e Sylvano Bussotti il quale cura le musiche dello Spettacolo-concerto Majakovskij che si tiene a Bologna nello stesso anno. Con la seconda serie di repliche del Caligola del 1961 Bene diventa «regista di se stesso», e da Genova in poi, non delegherà più a nessun altro la regia del suo teatro[19]. Tra il 1961 e il 1962 realizza il primo Amleto, «tutto shakespeariano, non ancora pervertito in Laforgue»[20], e il primo Pinocchio. Dalla Compagnia D'Origlia-Palmi, in auge a Roma tra gli anni trenta e settanta, Carmelo Bene ha modo di prelevare attori come Manlio Nevastri (in arte Nistri), Luigi Mezzanotte e Alfiero Vincenti:
«Giovanissimo capocomico, senza un soldo, circondato finalmente da guitti straordinari reperiti nel Borgo Santo Spirito dalla signora D'Origlia e dal cavalier Palmi, miei ottimi amici[21].»
Dal 1961 fino al 1963 costituisce il cosiddetto "Teatro Laboratorio" (con gli attori prelevati dall'anzidetta compagnia), realizzato in un locale di Trastevere, nel cortile al numero 23 di San Cosimato. Viene in seguito chiuso definitivamente a causa del fattaccio del «piscio» sulla platea e sull'ambasciatore argentino attribuito a Carmelo Bene, ma probabilmente perpetrato dal pittore argentino Alberto Greco. Al Teatro Laboratorio si allestiscono gli spettacoli cabaret con titoli significativi come Addio porco, una specie di happening, goliardata o presa in giro, che serviva a raggranellare denaro attirando gente snob e ricca a caccia di emozioni forti. Lo spettacolo Cristo '63 (registrato da Alberto Grifi ma che viene censurato[22]) scatena più d'uno scandalo, fino ai tafferugli con la polizia. Bene racconta:
«La sera della prima successe un parapiglia infernale. Questo Greco, poco assuefatto al bere, si briaca di brutto [...] L'apostolo Giovanni (il Greco) cominciò a dare in escandescenze [...] In ribalta si alza la veste, mette il lembo fra i denti e comincia a orinare nella bocca dell'ambasciatore d'Argentina, della consorte in visone e dell'addetto culturale. Nel frattempo, si faceva passare le torte destinate al dessert e le spappolava in faccia a quel diplomatico e signora [...] Fui condannato in contumacia [... e poi] assolto per essere estraneo ai fatti[23].»
Lo stesso evento si ripeté successivamente in una villa sulla Cassia Antica messa appositamente a disposizione da una gallerista col solo scopo di far rivivere quel fatidico happening, comprensivo di tafferugli, e questa volta furono i Re Magi che si misero a orinare addosso alle signore impellicciate[24]. In questi primissimi anni, dal Caligola in poi, fino alla parentesi cinematografica, Carmelo Bene in definitiva non trae altro successo che dallo scandalo, come ricordano, fra gli altri, Franco Quadri[25], Lydia Mancinelli e lo stesso Carmelo Bene nella sua autobiografia. D'altra parte Giuliana Rossi descrive Carmelo come un irresponsabile, cinico, sprezzante verso il prossimo, ma fascinoso e accattivante. Questo suo comportamento biasimevole, però, veniva compensato da una forza creativa e una cura straordinarie che dedicava ai suoi spettacoli.
Sempre nel 1963 e quasi subito dopo la chiusura del Teatro Laboratorio, Carmelo Bene si imbatte casualmente, per la prima volta, in un'edizione laforguiana, che gli farà in seguito concepire i suoi Amleti. Già pensa alla sua Salomè; legge The Monk di Matthew Gregory Lewis che porterà poi in scena il 12 ottobre 1966 al Teatro delle Muse[26], con la rivisitazione[27] dal titolo Il Rosa e il Nero. Sempre nel 1963 viene allestito l'Edoardo II tratto da Marlowe che, in una delle sue repliche all'Arlecchino, vede fra gli spettatori la compagnia degli attori del Living Theatre, di passaggio a Roma, con i quali Bene stringe amicizia. Lavora contemporaneamente all'Ubu roi da Alfred Jarry che porterà al Teatro dei Satiri e alla Salomè da Oscar Wilde (con lo "straordinario" Franco Citti nei panni di Giovanni Battista) al Teatro delle Muse, davanti a un pubblico accanito e irriducibile composto da detrattori e da sostenitori (Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, John Francis Lane, Alberto Moravia).
Comincia in questo periodo il lungo sodalizio artistico-sentimentale con l'attrice Lydia Mancinelli, la quale per la prima volta recita in La storia di Sawney Bean (su testo di Roberto Lerici) del 1964. Negli anni sessanta-settanta Lydia Mancinelli[28] e Alfiero Vincenti sono per Carmelo Bene due figure fondamentali e insostituibili. Il 1964 segna anche l'anno dell'esordio al Teatro delle Muse della prima Salomè tratta da Oscar Wilde, con la partecipazione di Franco Citti nella parte di Jokanaan[29]. Lo spettacolo è osannato da Ennio Flaiano e da Alberto Arbasino, oltre che dal critico John Francis Lane del Times; fu criticato invece aspramente da Giuseppe Patroni Griffi. Dello stesso anno è la Manon, spettacolo teatrale tratto dalla Manon Lescaut di Prevost, le cui recensioni dell'epoca (come per gli altri suoi spettacoli) imputano un certo gusto per lo scandalo e una tendenza a voler stupire fine a sé stessa, cosa che Bene smentisce, asserendo che questa "rappresentazione" già era il suo "teatro degli handicap" a venire pienamente affermatosi negli anni ottanta[30].
Dopo il sequestro e la chiusura definitiva del Teatro Laboratorio trascorrono sei mesi con l'allestimento del Teatro Carmelo Bene al Divino Amore (1967), esperienza breve come l'altra precedente del Beat '72, la cui apertura avviene nel 1966[31]. Inoltre, in questo stesso periodo, tra il 1965 e il 1966, Bene scrive i romanzi Nostra Signora dei Turchi e Credito italiano, portati poi a teatro. Ma, come tutta l'opera beniana di questo periodo, il successo ebbe più che altro un riscontro elitario. Viene portato in scena al Teatro delle Muse Il Rosa e il Nero, rivisitazione[27] di The Monk di Matthew Gregory Lewis. Risale a questo periodo una testimonianza della trasmissione televisiva Avvenimenti 30. La voce fuori campo del cronista commenta:
«Un giovanotto magro, nervoso, spiritato, venuto dalle Puglie per inventare a Roma un suo personalissimo teatro. Si chiama Carmelo Bene. Non ha ancora trent'anni. Ha già scritto un romanzo Nostra Signora dei Turchi. Ha diretto come attore, autore, regista, una decina di spettacoli. Dieci spettacoli, dieci polemiche clamorose. È un istrione? Oppure: è un genio? È un mistificatore? Su questi giudizi il pubblico e la critica si danno battaglia...[32].»
Carmelo Bene pensa ora di abbandonare il teatro per dedicarsi ad altro. Nel 1967 Pier Paolo Pasolini lo invita a partecipare al suo film Edipo re. Intanto Nelo Risi, avendo progettato un film su Pinocchio, propone la parte della fatina a Brigitte Bardot, quella di Pinocchio a Carmelo Bene e quella di Geppetto a Totò; ma questi morì proprio nel 1967, mandando in fumo il progetto. Nello stesso anno Bene inizia la sua esperienza da regista cinematografico, arrivando l'anno successivo a vincere il Leone d'Argento al Festival di Venezia con quello che viene considerato il suo capolavoro: Nostra Signora dei Turchi. Fra i suoi principali amici e collaboratori di questo periodo vi furono il noto attore, autore e regista tarantino Cosimo Cinieri, Mario Ricci, Leo de Berardinis, Piero Panza e il noto pittore e scenografo leccese Tonino Caputo. Nel 1969 vediamo Bene partecipare come attore in Umano, non umano, film di Mario Schifano. La parentesi cinematografica dura sino al 1973, costituita da una serie di lungometraggi come Capricci (1969), Don Giovanni (1970), Salomè (1972), oltre al già citato Nostra Signora dei Turchi, che spesso producono in Italia reazioni sconsiderate, violenza gratuita e spaccatura di pubblico e critica, tra fautori e detrattori. Un Amleto di meno segna la fine di questa meteorica apparizione cinematografica di Carmelo Bene, esperienza mai più ritentata.
Il 1974 segna l'anno della sua prima apparizione in televisione con "Quattro modi di morire in versi: Majakowski, Blok, Esenin, Pasternak" con la collaborazione di Roberto Lerici e Angelo Maria Ripellino, che ottiene un grande successo di pubblico e critica e un indice d'ascolto elevatissimo. Con gli anni settanta iniziano le assidue frequentazioni della Versilia dove Bene incontra intellettuali e uomini di cultura come Eugenio Montale, Vittorio Bodini, lo scultore Henry Moore. Inizia anche il febbrile interessamento di Bene per la storia medicea e in particolare per Lorenzino de' Medici, detto Lorenzaccio, la "sfinge medicea", che lo farà "impazzire" per un decennio. Nel 1975 Carmelo Bene partecipa come attore nel film di Glauber RochaClaro. In questo stesso anno, durante la recita dell'Amleto al Manzoni di Milano, venne a sapere della morte del suo amico Pier Paolo Pasolini[36].
La stagione teatrale continua nel 1976 al Teatro Metastasio di Prato con Faust-Marlowe-Burlesque e Romeo e Giulietta da W. Shakespeare. Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta Bene conoscerà grandi successi. Nel 1977 viene messo in onda il Riccardo III televisivo. Alla prima al Teatro Manzoni il suo S.A.D.E. viene fatto sospendere dal questore di Milano per oscenità, provvedimento motivato apparentemente dalla presenza di nudi femminili sul palcoscenico. In questo stesso anno Bene ottiene un successo strepitoso in Francia, portando a Parigi (Opèra-Comique, Festival d'Automne) i suoi spettacoli teatrali (undici repliche di S.A.D.E., sei di Romeo e Giulietta) e dove conoscerà Jean-Paul Manganaro e altri intellettuali francesi con cui intesserà rapporti duraturi e molto proficui. Nella capitale francese frequenta Gilles Deleuze, Pierre Klossowski, Michel Foucault, conosce Jacques Lacan e altri.
Il 1979 segna l'inizio del suo periodo cosiddetto concertistico e della macchina attoriale, culminando nell'esibizione alla Scala di Milano con un memorabile Manfred in forma di concerto accompagnato dalle musiche di Robert Schumann. Di questo anno è un Otello televisivo, realizzato a Torino insieme a Cosimo Cinieri, ma il restauro e il montaggio vennero iniziati soltanto nel 2001, sotto la vigile direzione di Bene[37]. Il 1980 vede la V edizione dello Spettacolo-concerto Majakovskij al Teatro Morlacchi di Perugia e l'Hyperion. In questo suo periodo di "approfondimento musicale", conosce e stringe amicizia con il tenore Giuseppe Di Stefano, il quale amava appellarsi il "Carmelo Bene della musica", definito da questi a sua volta, in sintonia con Toscanini, "la più bella voce mai sentita"[38].
Nel 1981, con la Lectura Dantis dalla Torre degli Asinelli di Bologna, porta la lettura della Divina Commedia davanti ad un pubblico di oltre centomila persone, in occasione del primo anniversario della strage della stazione. Terza edizione del Pinocchio al Teatro Verdi di Pisa. Nell'estate del 1982 a Forte dei Marmi scrive Sono apparso alla Madonna, titolo che gli viene suggerito dall'inconsapevole Ruggero Orlando, noto giornalista televisivo, corrispondente della RAI da New York. Per quanto provato da vari malanni fisici e dagli abusi prosegue, anche se in modo discontinuo, a calcare le scene teatrali. Nel 1983 si svolge la rappresentazione del Macbeth al Teatro Lirico di Milano, L'Egmont in Piazza Campidoglio a Roma; l'Adelchi nel 1984 al Teatro Lirico di Milano; la seconda edizione di Otello nel 1985 al Teatro Verdi di Pisa; Lorenzaccio nel 1986 al Ridotto del Teatro Comunale di Firenze. Il 12 settembre 1987 Carmelo Bene è a Recanati per recitare i Canti di Leopardi e il 10 novembre dello stesso anno al Teatro Piccinini di Bari con Hommelette for Hamlet.
Nel 1988 Carmelo Bene viene nominato clamorosamente direttore artistico della sezione teatro della Biennale di Venezia, suscitando non poche polemiche. La vicenda finì poi per degenerare in querele e contro-querele, ricorsi, per un'intricata faccenda di competenze e responsabilità, e addirittura di appropriazione indebita di opere d'arte. Il 12 gennaio 1989 vede la seconda edizione della Cena delle beffe, in collaborazione con David Zed, al Teatro Carcano di Milano (con la partecipazione dell'attrice Raffaella Baracchi, che sposerà nel 1992) e il 26 luglio dello stesso anno il Pentesilea al Castello Sforzesco che l'anno dopo, il 19 maggio, verrà ripreso a Roma, al Teatro Olimpico. Nonostante gli acciacchi e i diversi interventi chirurgici subiti, e che subirà ancor più in seguito, non tradirà la sua fama di enfant terrible. Memorabili furono le sue apparizioni televisive a Mixer Cultura (1988) e al Maurizio Costanzo Show (1994 e 1995).
Alla fine del dicembre del 1990 Carmelo Bene è a Mosca per insistenza e intraprendenza di un suo grande ammiratore, Valerj Shadrin[39], realizzando un successo strepitoso. Al suo seguito troviamo, tra gli altri, Camille Dumoulié, Jean-Paul Manganaro, Gian Ruggero Manzoni ed Edoardo Fadini. Questa sua collaborazione e "ricerca teatrale" in terra russa durerà circa tre anni, suscitando, a dire di Bene, non pochi clamori e ostilità nell'ambito dell'E.T.I.[40] Nel febbraio del 1992 Carmelo Bene spende 200 milioni di lire per far pubblicare[41] e reiterare delle inserzioni pubblicitarie o propagandistiche sul "Messaggero" e la "Repubblica" che in definitiva si dimostreranno essere tout court potenti armi scagliate soprattutto contro il "Ministero dello spettacolo" e il Teatro Stabile. Questo evento clamoroso fu infatti avvertito come una calunnia e un danno da parte degli interessati addetti ai lavori, tanto che seguiranno poi querele, con richiesta di risarcimento di due miliardi di lire, da parte del Teatro di Roma, rivolte contro i quotidiani anzidetti e contro lo stesso Bene. Ecco l'incipit di uno stralcio estratto da quelle fatidiche inserzioni.
«Oggi lo Stato dello Spettacolo è in mutande: per sopravvivere ad ogni costo, minaccia contributi e sovvenzioni (a una marea indiscriminata di sfaccendati che - "quasi" nessuno escluso - può giovare al teatro in un solo modo: togliendosi di mezzo=disoccuppandosene) [...][42]»
Nel 1992 Bene sposa Raffaella Baracchi, incinta di sei mesi. Dopo due mesi la Baracchi lo denuncia per botte a mezzo di sedia. La bambina che porta in grembo, fortunatamente, non patisce conseguenze. In caserma, Bene insulta i carabinieri (che lo denunciano), controquerela la moglie per “truffa, estorsione, tentato omicidio e omissione di soccorso”; infine controquerela anche l’Arma dei Carabinieri[43]. Nel 1994 vediamo Bene con l'Hamlet Suite al 46º Festival shakespeariano al Teatro Romano di Verona. Nel 2000 con la pubblicazione del poema 'l mal de' fiori viene acclamato "poeta dell'impossibile" dalla Fondazione Schlesinger, istituita da Eugenio Montale, la cui presidenza onoraria era tenuta allora da Rita Levi-Montalcini.
Il 6 ottobre 2000 Carmelo Bene affida, tramite pubblico testamento, i diritti delle sue opere alla fondazione l'Immemoriale di Carmelo Bene. Il 16 marzo del 2002 Carmelo Bene muore a Roma. Giancarlo Dotto, per molti anni assistente alla regia di Carmelo Bene, così lo ricorda.
«Non è solo l'amico che manca, ma quella voce, chissà dov'è andata, quella voce che ci dava calma e forza, quella voce che dà la nostalgia di tutto ciò che abbiamo perduto senza avere mai avuto.[44]»
Per espressa sua volontà il suo corpo fu cremato e il suo funerale non reso pubblico. La lapide riporta solo il suo nome e cognome e le date, di nascita e di morte. Anche dopo la morte, Bene non cessa di alimentare polemiche e contrasti[45]. Raccontano alcuni testimoni, tra cui Roberto D'Agostino, che proprio durante la veglia funebre ci fu un alterco verbale, che stava per degenerare in una violenta rissa, tra Luisa Viglietti (compagna di Bene negli ultimi suoi nove anni) e la Baracchi, la quale si era presentata con la figlia Salomè insieme al suo legale[43].
Come se non bastasse, alla successiva tumulazione ufficiale delle ceneri nel cimitero di Otranto è seguita una serie di contrasti sulla loro definitiva e giusta sistemazione, che vedono come protagonisti contrapposti la moglie Raffaella Baracchi e la sorella Maria Luisa insieme a Luisa Viglietti, entrambe assenti al funerale ufficiale, data la loro esplicita disapprovazione. La sorella in particolare lo ha commemorato (senza la presenza dell'urna) nel camposanto di Vitigliano (Santa Cesarea Terme), laddove riposano le ceneri della madre Amelia[46]. Ad oggi la fondazione L'Immemoriale di Carmelo Bene risulta impedita nel dare avvio alle attività prefissate, stagnazione dovuta più che altro alla battaglia legale non ancora conclusa fra le parti in causa: Raffaella Baracchi, Luisa Viglietti e Maria Luisa Bene[47].
Il 13 gennaio 2009 Maria Luisa Bene, sorella di Carmelo, annuncia ai media di non credere alla morte per cause naturali del fratello. "Io, Maria Luisa Bene - dice la donna - avendo piena consapevolezza delle mie condizioni di salute, rendo noto di non intendere lasciare questa terra senza che il mondo sappia che mio fratello, Carmelo Bene, nominato 'chevalier des lettres et des arts' dal governo Mitterrand, è morto per mano altrui"[48]. Per un motivo o per l'altro, non ultima l'evidenza della malattia, l'ipotesi dell'omicidio è stata accolta dal generale scetticismo di collaboratori e persone vicine all'attore[47].
La sua discussa e controversa figura, spesso oggetto di clamorose polemiche, ha diviso critica e pubblico fin dagli esordi: considerato da alcuni un affabulante ingannatore e un presuntuoso "massacratore" di testi[49], per altri Bene è stato uno dei più grandi attori del Novecento. Dalle dichiarazioni di Bene risulta evidente il suo disprezzo per certa critica teatrale, da lui ritenuta "piena di parvenus". Tra i primi a rendergli omaggio si ricordano alcuni tra i più illustri esponenti del mondo intellettuale dell'epoca, come, ad esempio, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Ennio Flaiano e Pier Paolo Pasolini. Bene ebbe poi modo di collaborare, tra gli altri, con Pierre Klossowski e Gilles Deleuze, i quali scrissero alcuni saggi sul modo di fare teatro dell'artista italiano. La lotta di Bene si rivolge contro il naturalismo e la drammaturgia borghese, contro le classiche visioni del teatro. Rivendica l'arte attoriale innalzando l'attore da mera maestranza (così definita da Silvio D'Amico) ad artista-personificazione assoluta del complesso teatrale. Il testo, poiché nato dalla penna di uno scrittore spesso avulso dal problema del linguaggio scenico, non può essere interpretato[27]: esso deve necessariamente essere ricreato dall'attore.
Carmelo Bene è contro il teatro di testo, per un teatro da lui definito "scrittura di scena"[50], un teatro del dire e non del detto. Fare "teatro del già detto" sarebbe un ripetere a memoria le parole di altri senza creatività, quello che Artaud definiva un "teatro di invertiti, droghieri, imbecilli, finocchi: in una parola di Occidentali". È l'attore, con la scrittura di scena, a fare teatro hic et nunc. Il testo viene considerato come "spazzatura", perché lo spettacolo va visto nella sua totalità. Il testo ha il medesimo valore di altri elementi come le luci, le musiche, le quinte. Il teatro di testo, di immedesimazione, viene definito da Bene come un teatro cabarettistico. Gli attori che si calano in dei ruoli, che interpretano, sono per lui degli intrattenitori, degli imbonitori, dei "trovarobe". Nel suo teatro, l'attore è l'Artefice. Il testo non viene più messo in risalto come nel teatro di testo, viene anzi martoriato, continuando un discorso iniziato da Artaud, che già aveva iniziato la distruzione del linguaggio, ma che per Bene fallì sulle scene, perché cadde nella interpretazione[27].
Bene distrugge l'Io sulla scena, l'immedesimazione in un ruolo[51], a favore di un teatro del soggetto-attore. Bene è stato definito Attore Artifex, cioè attore artefice di tutto, e lui stesso preferiva definirsi, con un neologismo, una "macchina attoriale": autore, regista, attore, scenografo, costumista.[52] Buona parte delle opere letterarie di Carmelo Bene le possiamo trovare raccolte in un volume unico, dal titolo Opere, con l'Autografia di un ritratto, nella collana dei Classici Bompiani. Inoltre La Fondazione Immemoriale di Carmelo Bene si preoccupa della "conservazione, divulgazione e promozione nazionale ed estera dell'opera totale di Carmelo Bene, concertistica, cinematografica, televisiva, teatrale, letteraria, poetica, teorica, ..."
Influenze sull'opera beniana
Sarebbe fuorviante parlare di "influenza" tout court sull'opera beniana, considerata l'impossibilità di trovare raffronti e/o filiazioni storico-geografiche, e come scrive Piergiorgio Giacchè, "chi conosce Bene e il suo teatro, sa che la sua singolarità è assoluta".[53] Bisogna considerare inoltre il fatto che già dagli esordi Bene si è dichiarato una volta per tutte "allievo di sé stesso".[54]
Fuori dal campo dell'arte e della filosofia, hanno contribuito alla sua formazione (oltre alla famiglia e all'ambiente nativo salentino naturalmente), le influenze sospese tra una probabile storia e l'immaginario come San Giuseppe da Copertino, Lorenzaccio, la non-storia dei Santi.[58] Decisive furono inoltre le esperienze delle migliaia di messe servite, dove l'infante Carmelo incominciò quasi inconsapevole ad avere a che fare con "il teatro come incomprensibilità e come incomprensione tra officianti e spettatori"[59]. Altra esperienza indimenticabile fu il mesetto, poi ridotto a due settimane, di permanenza in manicomio dove incominciò a rendersi conto del "linguaggio istituzionale normale" e quello "'scombinato o impeccabile" dei pazzi, delle vere "macchine demolitrici"[60].
Il Grande Teatro o teatro senza spettacolo
Il linguaggio e la terminologia usati per spiegare il suo modo di concepire e "dis-fare" il teatro sono unici e inequivocabili, mai tentati prima, perciò Carmelo Bene si sente sempre necessitato a precisare, dicendo che [61], è:
«... un non-luogo soprattutto; quindi è al riparo da qualsivoglia storia. È intestimoniabile. Cioè, lo spettatore per quanto Martire, testimone, nell'etimo [da martyr], per quanti sforzi possa compiere lo spettatore, dovrebbe non poter mai raccontare ciò che ha udito, ciò da cui è stato posseduto nel suo abbandono a teatro.[62]»
In questo Grande Teatro agisce, o meglio, viene agito il non-attore o la macchina attoriale (conseguenza del grande attore), non vi è rappresentazione[63] e rappresentanza, divisione dei ruoli, messaggio più o meno sociale, psicodrammaticità. In questa utopia o "non-luogo", viene a imporsi l'osceno (fuori scena e fuori di sé) e l'assenza, il porno (l'aldilà del desiderio): tutti "concetti" di cui Bene ha dimostrato la sussistenza sperimentandoli in prima persona. Per questo sentiamo Bene sempre parlare di dis-fare e non di fare (teatro o altro), di di-scrivere e non di scrivere o descrivere, di non-attore e non di attore[64], di non-luogo, di assenza e non di presenza, di irrappresentabile e non di rappresentabile o rappresentazione, di porno e non di eros, di assenza di ruoli, di togliere di scena e non di mettere in scena, di essere agiti e non di agire, di esser detti e non di dire, ecc. La maggior parte degli studiosi concordano sul fatto che questa revisione totale del teatro (riferita al suo linguaggio, al modo, alla forma e alla sua stessa essenza), consente a Bene di essere annoverato fra gli "attori" di genio e non di talento.
La macchina attoriale
La macchina attoriale (o C.B.) è la conseguenza del grande attore[64] che si è svestito delle umane capacità espressive corporee (vocalità, espressione del viso, gestualità, ecc.), per indossare una veste amplificata sia sonora che visiva, comunque sempre vincolata e soggiacente alla phoné. Prima di tutto è importante l'amplificazione della voce, che permette all'attore di ricondurre l'emissione sonora al proprio interno. La voce della cosiddetta macchina attoriale non è una mera e semplice amplificazione ma è un'estensione del ventaglio timbrico e tonale, che, in questo caso, diventa un sistema unico e inscindibile, che ingloba corde vocali, cavità orale, contrazioni diaframmatiche, equalizzazione, amplificazione, ecc. La macchina attoriale è una fusione tra macchina e attore; l'amplificazione non è dunque una mera protesi ma un'estensione organica ulteriore dove la voce ormai non è più caratterizzata dalla sua fisicità, ma prevalentemente, diciamo così, dal meccanismo sonoro. Così come non si possiede un corpo ma si è il corpo, allo stesso modo si è o si diventa amplificazione, equalizzazione, ecc.
Bene facendo un esempio dice che:
«L'amplificazione non è assolutamente un gonflage, un ingrandimento, ma come guardare questa pagina: se io la guardo in questo modo, ecco, così, io vedo e così sento; ma se io avvicino questo [foglio], più l'avvicino, più i contorni vaniscono. I contorni vaniscono e non vedo più un bel niente.»
E inoltre aggiunge che la macchina attoriale è:
«... lettura intanto, come nella poesia, nella concertistica,... (Io) ho bisogno sempre [...] di leggere, di essere detto, non di riferire la cosa... [...] non per ricordare, o nella presunzione che lo scritto corrisponda all'orale. [...] Lo faccio per dimenticare. La lettura come oblio. La lettura paradossalmente come non ricordo[65].»
Nel seminario del 1984 Carmelo Bene spiega molto chiaramente il perché di una "lettura come non ricordo": il grande attore o la macchina attoriale è obbligata a stornare l'attenzione dal ricordo onde controllare quella che in musica viene detta fascia (che comprende timbri e toni), laddove è racchiuso tutto il "delirio [della voce], della concentrazione", dal cui limite non si può uscire. "Questa è la ragione fondamentale perché", nonostante C.B. conosca "a memoria Leopardi come pochi", è costretto a leggere onde "controllare questa fascia e al tempo stesso verificare "l'idiosincrasia" tra quanto si sta leggendo e quanto sta divenendo di lui.[66] Stornare completamente l'attenzione dalla "cadaverina mnemonica" è condicio sine qua non per far funzionare la macchina attoriale, dato che vi è una notevole mole di lavoro e concentrazione da dedicare altrove.
«I foniatri spiegherebbero benissimo l'immane fatica che bisogna fare a tirare una nota alta, mettiamo un SI, e poi scendere, scalare d'ottava, quindi andare due tonalità sotto, una sopra, senza uscire da questa fascia [...] Le corde vocali giocano nel palato... viene un gran mal di testa dopo un po'... e bisogna stare molto attenti perché si perde la voce con nulla.[66]»
Per quanto riguarda la parte visiva della macchina attoriale, Carmelo Bene ricorda che, non solo l'orecchio, ma anche.
«... l'occhio è ascolto. [...] Un'appoggiatura del capo, una frantumazione del gesto, uno due tre. ecc. e una disarticolazione del corpo...[67]»
Scrittura di scena, testo a monte e teatro di regia
La scrittura di scena, come il grande attore, precede l'ulteriore sviluppo rappresentato dalla macchina attoriale C.B.
«Io ho ripreso il discorso di Artaud, [...] la scrittura di scena è tutto quanto non è il testo a monte, è il testo sulla scena.[68]»
Precisando poi che l'importanza del testo nella scrittura di scena è del tutto uguale a qualsiasi altro oggetto che si trova sulla scena, che sia più o meno significativo poco importa, come per esempio il parco lampade, un tavolo, un pezzo di stoffa, ecc. Il testo a monte, invece, non è nient'altro che il testo originale, riproposto così in maniera più o meno fedele. Il teatro di regia rappresenta dunque un progetto, una direzione, contrariamente al campo minato e allo sprogettare della scrittura di scena.[69]
La phoné
Il fatto paradossale è che il suo teatro così incomprensibile abbia avuto infine, in modo prodigioso, un successo di vasta portata popolare. Questo equivoco lo spiega lo stesso Bene, dicendo che il linguaggio del Grande Teatro, incomprensibile per definizione, è comprensibile tout court su un piano d'ascolto diverso, essendo tutto affidato ai significanti e non al senso o al significato. Quindi, come succede per la musica, il Grande Teatro è fruibile, comprensibile anche da persone che parlano lingue diverse, come per esempio eschimesi, o cinesi, poiché la babelelinguistica viene risolta tutta nella phoné, e non nel senso. La phoné viene espressamente definita da Bene come rumore, che comprende anche la musica e il dire.[69]
La phoné è pur sempre un mezzo e non un fine, e a questo proposito Carmelo Bene fa una precisazione essenziale:
«Se qualcuno ha potuto definire la phoné una dialettica del pensiero, nego di aver qualcosa a che fare con la phoné. Io cerco il vuoto, che è la fine di ogni arte, di ogni storia, di ogni mondo.[70]»
Atto e azione, kronos e aion
L'altro pilastro su cui si basa il tipico modo di dis-fare il teatro di Bene è quello dell'impossibilità di una qualunque azione di realizzare appieno uno scopo, se non si smarrisce nell'atto. L'atto è ciò che tenta di negare, di ostacolare, ovvero sgambetta l'azione, restando orfana del suo artefice[71]. Anche in questo caso abbiamo a che fare con significanti e non con significati. Perciò Carmelo Bene scaglia anatemi ed improperi contro il teatro dell'azione o del moto a luogo, che viene a svolgersi nel tempo Kronos, contro gli «spazzini del proscenio» (così definisce gli attori) del teatro di regia a cui contrappone quello della scrittura di scena (e in seguito quello della macchina attoriale) che accade nel tempo Aion. Sulla dicotomia Kronos/Aion è forte l'influenza di Gilles Deleuze che in Logica del senso (1969) ne sviluppò la teorizzazione a partire dal pensiero degli Stoici.
L'osceno, il porno, l'eros
Carmelo Bene dice che:
"...osceno vuol dire appunto, fuori dalla scena, cioè visibilmente invisibile di sé"[72]
Mentre cercando di definire la differenza tra eros e porno afferma che.
«L'erotismo è quanto di romanticamente stupido ci possa [essere]... appartiene all'io... [...] ...il plagio reciproco nella irreciprocità assoluta. [...] Il porno invece ... non è più il soggetto in quanto oggetto squalificato ma [...] è starsi da oggetto a oggetto, non da soggetto a soggetto.[73]»
Inoltre, Carmelo Bene definisce il porno come l'eccesso del desiderio, e più precisamente l'annullamento del soggetto nell'oggetto, quindi senza più la possibilità di un io desiderante. Nel porno c'è incantamento, smarrimento, dissolvimento, assenza; nell'Eros (l'amor facchino), c'è desiderio, e la conseguente ricerca febbrile del suo sempre frustrato e reiterato appagamento. Ancora Bene dà qualche ulteriore definizione dicendo che.
«... il porno si instaura dopo la morte del desiderio... - morto sacrificato eros - l'aldilà del desiderio.[74] Quando tu fai qualcosa al di là della voglia, la voglia della voglia, questo è il porno. È una svogliatezza.[75] [...] il porno è il manque, è quanto non è, è quanto ha superato se stesso, è quanto non ha voglia...[76]»
Il teatro di Carmelo Bene è specificamente nel porno e nell'osceno, non vi è possibilità di comprensione, poiché si è compresi, come del resto non ci può essere rappresentazione, poiché essa appartiene al teatro di regia, e non alla scrittura di scena. In questo caso la perdita del senso (non essendoci né rappresentazione né comprensione) è il presupposto fondamentale dell'osceno e dell'assenza. Si è nel porno, da non confondersi con la pornografia nel senso usuale del termine. L'osceno, o meglio l'o-sceno, è l'altrove, non essere dove si è, un superamento spazio-temporale, il non essere in scena; e Bene dice paradossalmente, appunto, di togliere e togliersi di scena, smarrire così anche e soprattutto l'identità, lo scopo per cui si è agiti, il senso e la direzione. Smarrirsi per non più ritrovarsi. C'è tutta questa passiva attività, questo scacco all'arroganza dell'io e del suo teatrino occidentale.
Sospensione del tragico
Carmelo Bene ne parla in questi termini.
«Un'azione fermata nell'atto è quanto m'è piaciuta definire sospensione del tragico. È così che, grazie all'interferenza d'un accidentaccio, la surgelata lama del comico si torce lancinante nella piaga inventata tra le pieghe risibili-velate della rappresentazione nel teatro senza spettacolo.[77]»
Il teatro della rappresentazione cerca di rendere la tragedia attendibile, credibile, con mezzi modi e maniere; mentre per Bene si tratta di minarne il suo senso dalle fondamenta. Sono fondamentali perciò tutta una serie di handicap appositamente creati sulla scena che consentono di trasgredire quanto prescritto e consolidato dalla tradizione. Ecco allora, per esempio, Riccardo III deformarsi con protesi, che scivola malamente, imprevedibilmente; Amleto che rifugge completamente (sebbene ne sia invischiato fino al collo) dal suo ruolo tragico con diversi e astuti sotterfugi. Anche sul piano dei monologhi e dialoghi monologati c'è questo sgambettarsi, questo cortocircuitarsi del linguaggio, tale da rendere inattendibile l'evento. La tragedia viene ecceduta dal comico, o diversamente detto: esiste una continuità tra il tragico e il comico e non un'effettiva apparente dissonanza; più che due facce della stessa medaglia, si tratta di una gradazione di infiniti doppi. Non c'è un margine che possa arginare il comico dal tragico o viceversa: si è in balia della trasgressione. Perciò, nel teatro di Carmelo Bene, il soggetto soltanto può essere assoggettato a questa variabilità, perturbabilità fondante e non l'Io che è rappresentativo, svolgendo un ruolo istituzionale e di controllo, anche quando sembra voglia trasgredire.
Il comico
Carmelo Bene descrive il comico, o meglio, il così da lui definito ipercomico, come "quanto di più asociale e libertino si possa concepire, se mai fosse concepibile", affermando che...
«Il comico è cianuro. Si libera nel corpo del tragico, lo cadaverizza e lo sfinisce in ghigno sospeso.[78]»
Perciò Bene considera gli attori come Benigni, Dario Fo, Charlie Chaplin, lo stesso Totò e persino il tanto da lui apprezzato Peppino De Filippo, ben lontani dalla gelida lama e dal freddo cadaverico del comico, poiché essi sono, chi in un modo chi in un altro, invischiati nella socialità, nell'intrattenimento, nell'attendibilità. Sono dei buffi, delle macchiette, contrariamente a quanto avviene per esempio nella sprezzante ironia di un Ettore Petrolini. Il comico, secondo Bene, permane nel porno ed è in definitiva nient'altro che la spalla o stampella del tragico.
Il femminile e l'avvento della donna a teatro
In età elisabettiana i ruoli femminili venivano recitati da maschi, e Carmelo Bene depreca l'abbandono di questa consuetudine, a favore dell'avvento, fatale, della donna sulla scena; e qui ora uomini e donne sono relegati ai loro ruoli specifici, smarrendo entrambi il femminile. Non si è più nel porno; resta il rapporto duale maschio-femmina, la caratterizzazione del loro genere e sessualità. Non c'è più il gioco, la trasgressione. E così si fa sul serio o si scherza, ma non si gioca più (in inglese recitare si dice to play e in francese jouer). Carmelo Bene inoltre considera la donna poco o nulla femminile[79], e si vede così costretto ad accollarsi il femminile che alla donna manca.
Spesso Carmelo Bene è stato accusato dalle femministe di maltrattare le donne a teatro[80], alle quali ribatte fornendo l'esempio dell'Otello che è il suo più grande omaggio fatto alla donna, in quanto assente.
Il degenere
Il degenere ("destabilizzazione di ogni genere"[66]) nel teatro beniano sta a significare, oltre all'impossibilità di un'identificazione precisa ed univoca del genere teatrale (farsa, commedia, tragedia, ecc.), anche la mancata o impossibile identificazione dell'attore o dell'artefice intercalato nei ruoli che gli dovrebbero competere, e ciò implica una completa revisione e trasgressione del testo a monte, attuate nella scrittura di scena. In senso lato, il degenere è tutto ciò che contraddice e non rispetta i luoghi comuni del teatro convenzionale, e in questo caso le acquisizioni accademiche essenziali del bagaglio di formazione attoriale, possono servire, se minate e disattese, alla macchina attoriale, per crearsi handicap irrinunciabili.
Oltre i modi
Gilles Deleuze definisce Carmelo Bene come colui che ha vinto la sfida del modale, e quindi il suo teatro viene di conseguenza ad essere considerato, e ormai accettato dagli studiosi più seri e preparati, non un modo di fare teatro, ma un superamento dei modi. I suoi presupposti si possono rintracciare nel suo decennale lavoro ossessivo-maniacale di attivo destrutturatore dei linguaggio teatrale, cinematografico, prosodico, ecc. È lo stesso Bene a fornire questo bilancio:
squartamento del linguaggio e del senso nella discrittura scenica…
disarticolazione del discorso succube del significante
togliere di scena (contro la confezione cultuale della “messa in…”)
demolizione della finzione scenica…
sartoria e scenotecnica-linguaggio
rinnovamento radicale del poema sinfonico (s)drammatizzato
la lettura attoriale come non ricordo del morto orale pre-scritto.
superamento d'Artaud e della “lingua degli angeli” mistico-espressionista (Blumner)
la sospensione del tragico
il cinema come immagine acustica…
neotecnica televisiva, discografica e radiofonia/determinante premessa alla strumentazione fonica amplificata
campionatura dei suoni e ri-conversione della voce
l'amplificazione a teatro (finalmente)
la macchina attoriale (tritalinguaggio-rappresentazione-soggetto-oggetto-Storia)[81]
Il depensamento e il problema del linguaggio
Il depensamento è, semplificando, l'opposto del pensare, non riconoscer-si (simile al neti neti dello yoga) né a questo né a quello. Il depensamento può essere considerato come forma di meditazione oppure come un lavorio interno, che conduce ad una non scelta tra gli infiniti doppi. Questo prodursi può paragonarsi al flusso di coscienza (stream of consciousness). Il depensamento comunque non appartiene categoricamente a un metodo colto e aristocratico di sperimentazione e conoscenza, ma fa parte anche e soprattutto della tipica indolenza del Sud, della classe per così dire ignorante, dei santi come San Giuseppe da Copertino, verso il quale Carmelo Bene nutre un'empatia e una profonda attrazione.
Qui subentra ovviamente anche il discorso dell'interferenza del potere del linguaggio e del linguaggio del potere costituito a cui si è assoggettati. Così come non si è nati per propria volontà[82], similmente si è succubi del linguaggio che dispone di noi, e di cui non ne disponiamo attivamente; infatti Carmelo Bene dice, facendo proprio quanto già ribadito da Lacan[83]: "quando crediamo di essere noi a dire, siamo detti". Contrariamente alla grammatica della lingua, nel linguaggio il soggetto è colui che subisce, che è assoggettato.
Il linguaggio così istituito e sedimentato, come un coacervo tirannico di luoghi comuni, è visto come una costante ed implicita minaccia che va debellata a tutti i costi. Per tutta la sua vita, il lavorio di Carmelo Bene è stato quello di dedicarsi a una pratica certosina di destrutturazione del linguaggio, alla ricerca dei suoi buchi neri, scardinando così la sua istituzionalizzazione e normalizzazione. Per quanto riguarda il lato artistico, lo scopo di tutto ciò è dare adito alla possibilità della realizzazione del Grande Teatro, o, in altri termini, del teatro senza spettacolo. Ciò rende chiara l'idea di come il depensamento e il lavorio intentato per la destrutturazione del linguaggio vadano di pari passo. Carmelo Bene non s'illude e, come per il linguaggio costituito a priori, al di là della volontà[82] del soggetto, si rende perfettamente conto che non si può evitare l'arroganza del potere del teatro, istituzionalizzato, il cui referente è sempre il teatro del potere, quello da lui definito di Stato, della rappresentazione. Nella memorabile trasmissione del MCS del 1994 Bene con veemenza proferisce parole significative riguardo al linguaggio e al suo potere che va ben al di là del soggetto e della volontà[82].
«È ora di cominciare a capire, a prendere confidenza con le parole. Non dico con la Parola, non col Verbo, ma con le parole; invece il linguaggio vi fotte. Vi trafora. Vi trapassa e voi non ve ne accorgete»
Il senso; significante e significato
Anche le parti dialogate nel teatro di Carmelo Bene si svolgono in forma di monologo, con la conseguente perdita del senso del dialogo o del discorso. Si perde altresì il senso della direzione. Spesso notiamo nelle performance di C.B., per esempio, che un urlo lanciato con veemenza invece di spaventare si autospaventa, come se trovasse di fronte un muro di gomma che lo restituisse al mittente; uno dei tanti altri esempi può essere quando Riccardo III si sputa allo specchio dove si sta mirando, pensando o facendo credere di essere sputato. C'è in più questa perdita del senso di identità, senso di causa ed effetto, di agente e agito, fino a sfociare alla perdita dell'identità del ruolo, come in Amleto che non gradisce proprio la sua parte così come scritta nel copione. In una scena del Macbeth, C.B. lancia un urlo e poi dice quasi rassicurato: "No, chi di voi ha fatto questo?... Posso dire sono stato io?..." Nel teatro di C.B. è del tutto inutile e poco proficuo cercare il senso, la direzione, il significato o ancor peggio il messaggio, poiché si è sempre in balia dei significanti.
Essere e non-essere
Bene avverte nella coscienza dell'essere e dell'esserci una forma di strabismo che ci identifica in ciò che in effetti non siamo e non possiamo mai essere. Essere cosa? se tutto è in divenire? Carmelo Bene ripropone i tre assiomi di Gorgia:
Nulla esiste
E ammesso che qualcosa esista, non potremo mai conoscerlo
E pur ammettendo che fossimo in grado di conoscerlo, non avremmo alcuna possibilità di poterlo comunicare.
In questi tre paradossi gorgiani è facile rintracciare i concetti di assenza, irrappresentabile, incomunicabilità, che caratterizzano il teatro e la pragmatica filosofia di Bene.
Il motto di Bene a tale proposito potrebbe essere, parafrasando la massima cartesiana, "non esisto: dunque sono"[84]. Oltre che sui giornali, riviste e opere letterarie, non è affatto raro che anche nelle sue apparizioni televisive l'artista salentino affronti il problema dell'essere, dell'esserci e del non-essere, trovando addirittura offensivo (più che fastidioso) questo rivolgersi a lui in modo ontologico[85].
La coscienza, la cultura
La "coscienza" [non la coscienza in sé o il noumeno kantiano], o "conoscenza", è ciò che si è sedimentato culturalmente e socialmente, che Bene aggredisce senza ripensamenti, specialmente se la "coscienza"' stessa diventa o si identifica nel civile. I suoi strali sono lanciati con rabbia anche contro la cultura (che per definizione è di Stato), il museo o il mausoleo, l'imbellettamento dei classici, le commemorazioni, la famiglia, ecc. L'elenco completo del resto sarebbe troppo esteso. Bene nella sua lettura derridiana, fa derivare etimologicamente "cultura" (nemica giurata dell'abbandono e della "divina stupidità") da colo, colonizzare.
L'immagine
Il rapporto che Carmelo Bene ha con l'immagine non è espressamente di iconoclastia, sebbene a volte possa sembrare il contrario[86]. Anzi, Bene afferma che l'immagine è volgare.
Questa destrutturazione, più che distruzione, dell'immagine gli serve per portare l'ascolto su un diverso piano, talché anche l'immagine diventi funzionale e, comunque, sempre subordinata alla phoné, accentuandone o caratterizzandone l'espressione, valorizzandola allo stesso modo della gestualità di un direttore d'orchestra. Carmelo Bene "crede molto nei volti", e nelle posture, più o meno cangianti, tanto che lo sfondo delle sue messe in scena è sovente, e quasi del tutto, monocolore, preferibilmente nero o a volte bianco. Lo spazio scenico, o dell'inquadratura, specialmente per quanto riguarda i volti in primo o primissimo piano e le figure, spesso è illuminato con un forte chiaroscuro.[87]
La parentesi cinematografica
Seppur limitato ad un breve periodo temporale, l’approccio al cinema di Carmelo Bene riesce a farsi partecipe della sua poetica e del suo pensiero, che, nel corso dei decenni, ha abbracciato poliedricamente gran parte delle arti e dei mezzi di comunicazione; oltre al teatro e al cinema, la sua produzione scritta è vastissima, come anche le sue apparizioni televisive sono entrate a far parte della storia della retorica italiana. Iconoclasta, provocatore, sperimentatore, Bene è tra le figure del Novecento più discusse e studiate in Italia, avendo avuto la forza e l’ego di approcciarsi in maniera tanto ardita alle arti, e, per poco ma non in maniera minore, al cinema.[88]
La prima apparizione sul set cinematografico di Carmelo Bene come attore è nell'Edipo re di Pier Paolo Pasolini risalente al 1967. La parentesi cosiddetta cinematografica va dal 1967 al 1972 e sarà quella che gli darà notorietà e risonanza internazionale, e in Italia non senza scandali e attacchi feroci, non solo dalla critica dei detrattori ma anche dagli spettatori comuni, che causarono devastazioni selvagge e incendi nelle sale in cui avvenivano le proiezioni. Hermitage è il suo primo cortometraggio. Viene creata così la produzione C.B. che alla fine del quinquennio cinematografico subirà un rovinoso tracollo finanziario.
Le sue preferenze fin dagli esordi per Buster Keaton[56], e il totale disinteresse, se non disprezzo, per Charlie Chaplin[90], sono significativi per capire la matrice da cui evolverà il suo personale stile e il suo modo (oltre i modi) di fare cinema. Questo quinquennio gli è servito per demolire il cinema, infatti Nostra Signora dei Turchi viene oltretutto definito dallo stesso Bene una parodia spietata e feroce del cinema. E lo stesso immoderato trattamento è ravvisabile in altre produzioni di questo periodo.
Considerazioni sul mezzo cinematografico
Secondo Carmelo Bene il cinema, ultimo arrivato, è la pattumiera di tutte le arti (tranne i rari casi in cui il film filma se stesso). Apprezza così João César Monteiro, oltre a Buster Keaton[56] e pochi altri[91], coloro cioè che hanno superato il cinema stesso, "poiché non si può fare cinema col cinema, poesia con la poesia, pittura con la pittura, bisogna sempre fare altro...".[92] Ritroviamo nel cinema, comunque, lo stesso furore iconoclasta e le posizioni estreme che caratterizzano la sua produzione teatrale.
Per Carmelo Bene l'opera d'arte (il capolavoro) deve rappresentare l'arte ecceduta e non un semplice decorativismo o confezione infiocchettata, ovvero l'arte come superamento di se stessa; in altri termini, riprendendo quando già detto da Nietzsche, fuori dell'opera d'arte "si è dei capolavori". Bene era solito affermare che nei cosiddetti film d'azione non si "muove un bel niente", contrariamente a certi capolavori come le tele di Francis Bacon o alcune opere del Bernini (come la Beata Ludovica Albertoni) che possiedono una forma di "energia dinamica sospesa".
Carmelo Bene detesta gli effetti speciali: per esempio, trova il rallentatore e lo zoom oltremodo volgari. Se un torero d'arte[93], come tenta di definirsi lui stesso, "mette in gioco la pelle", "il cinema invece non rischia la pellicola", non si mette in gioco, non sente il bisogno contingente di "essere di qua e di là dalla macchina da presa", di essere nell'immediato. In Nostra Signora dei Turchi proprio la pellicola fu variamente calpestata, bruciacchiata, rovinata in modo metodico. Bene ricordando quell'esperienza dice:
«La mia frequentazione cinematografica è ossessionata dalla necessità continua di frantumare, maltrattare il visivo, fino talvolta a bruciare e calpestare la pellicola. M'è riuscito filmare una musicalità delle immagini che non si vedono, per di più seviziate da un montaggio frenetico.[94]»
Interventi televisivi
Durante gli ultimi anni della sua vita, Bene prese parte a numerosi programmi televisivi, che lo resero noto anche al pubblico generalista che non conosceva la sua produzione teatrale e cinematografica. Tra queste le più note sono quelle al Maurizio Costanzo Show nel 1994 e 1995, quest'ultima motivata dalla pubblicazione delle sue opere nella collana Classici Bompiani. A tal proposito partecipò, sempre nel 1995, a una puntata di Tappeto Volante, durante la quale, in linea con il suo tipico modo di fare, si prese gioco del giornalista Roberto Cotroneo, per aver scritto un articolo in cui lo attaccava.
Celebri furono i suoi contributi per tutte e otto le puntate del programma Sushi, andato in onda su MTV nel 1999, al termine di ciascuna delle quali veniva mandato in onda un suo breve monologo (3-5 minuti) sul tema che era stato trattato nel corso della trasmissione. In particolare i temi degli episodi furono: Cultura, Lavoro, Fede, Tempo, Identità, Morte, Sentimento. Questo programma contribuì a far conoscere C.B. tra i giovani dell'epoca, che lo apprezzavano soprattutto grazie alle sue idee controcorrente e al modo di esprimersi sopra le righe.[95][96][97][98][99][100][101]
Il rapporto con la critica
Bene ha sempre rifiutato "qualsiasi funzione di mediazione alla critica"[102], al di là del metodo usato, della sua obiettività, accondiscendenza o buona fede.[103] Secondo Piergiorgio Giacché, «Carmelo Bene nega da sempre al critico-giornalista (e perfino al critico-studioso, che per lo più resta fastidiosamente esterno all'opera) una reale cittadinanza».[104]
Il disprezzo da lui riservato alla critica teatrale e al giornalismo dei "gazzettieri", è proverbiale.[105] Fin dall'esordio e per diversi anni, Bene fu stroncato o ignorato dalla critica e dai mass-media italiani. Del suo debutto a Roma con Caligola, il giornalista John Francis Lane scrisse una recensione elogiativa sul Times, provocando reazioni concitate tra i critici italiani che interpellarono lo stesso Lane per chiederne ragione.
«Abbiamo capito subito che era un attore straordinario e che avrebbe fatto bene al teatro. [...] E io ho scritto subito un articolo sul Times di Londra, dicendo che questo era un nuovo uomo di teatro eccezionale. La cosa ha fatto un po' scandalo a Roma perché dicevano: "... ma come? il Times parla di questo cialtrone?..." Poi questo cialtrone sarebbe diventato una icona della cultura italiana.[106]»
In un'intervista televisiva del 1968 Carmelo Bene esplica la sua opinione:
«Io non ho davvero... rapporti con la critica. Sono loro che sono pagati per averne con me. Quindi per loro è un mestiere... Io non sono pagato per avere rapporti con loro. [...] Per capire un poeta, un artista [...] ci vuole un altro poeta e ci vuole un altro artista [...] La critica vive dalle 22 alle 24, cioè due ore la sera. Non puoi due ore la sera capire quello che invece io continuo a vivere ora per ora [...][107]»
Giuliana Rossi, all'epoca moglie di Carmelo Bene, descrive il rapporto conflittuale fra Bene e i critici italiani:
«...appena Carmelo apriva bocca, la maggior parte dei critici che venivano a fare le recensioni al Teatro Laboratorio gli davano del "cretino" come minimo. La stampa parlava male, malissimo di lui [...] L'ostracismo del mondo della cultura italiana si manifestava anche nei confronti di chi aveva lavorato con lui. Quando alcuni attori si presentavano in altre compagnie teatrali, dicendo che avevano recitato con mio marito, gli chiudevano ogni porta senza giustificare il motivo. Appena veniva nominato "Carmelo Bene" il diniego era immediato.[108]»
Carla Tatò conferma lo stesso boicottaggio nei suoi confronti per il fatto di aver lavorato come attrice nel teatro di Carmelo Bene[109].
Secondo Bene, i primi anni della propria carriera furono i più difficili anche a causa della critica[110], costretto a svolgere il ruolo dell'artista maledetto, a vivere avventurosamente, a praticare la sua attività teatrale con sotterfugi.
Specialmente nel periodo iniziale della sua carriera, non è affatto raro che critici e giornalisti si accaniscano contro i presunti abusi perpetrati da Bene ai danni del buon costume e dei luoghi comuni. La Salomè del '64 aveva un cast di attori formato prevalentemente da carcerati o ex-galeotti, soprannominata compagnia di Regina Coeli. In una recensione di quest'opera fatta sulle pagine del "Borghese", si legge:
«Dinanzi a personaggi come Carmelo Bene e come Franco Citti nulla può la critica teatrale. Debbono intervenire i carabinieri. E non bisogna aspettare che vilipendano la Religione o prendano a calci i lavoratori, per procedere al loro arresto; bisogna soltanto accertarsi della loro identità e metterli in galera, perché oltraggiano il buon gusto, nuocciono all'igiene pubblica, deturpano il paesaggio.[111]»
C'è una frattura, almeno nella prima parte della carriera, tra fautori e detrattori. Secondo Alberto Arbasino:
«Questa geniale Salomè [... spacca] ...il pubblico in due, ma con la precisione di quelle reazioni chimiche tipo tornasole capaci di separare con una botta sola le mezze calzette da quelli che cercano di capire.[112]»
Questa critica detrattiva condotta per diversi anni, caratterizzerà l'atteggiamento di Bene nei confronti dei critici, dei parvenu e dei "gazzettieri". Lydia Mancinelli ricorda: "La lotta di Carmelo Bene è stata una lotta contro i critici".[113]
Il successo cominciò con uno stratagemma scrivendo e inviando a sei giornali diversi la recensione di una sua esibizione teatrale, tutte portanti la firma di un certo "Dice".[114] Questo successo incominciò con la parentesi cinematografica[115] e precisamente con Nostra Signora de' Turchi che, tra il 1973 al 1974, iniziò ad essere trasposta di nuovo in Teatro[116]. Da qui ci fu sempre un crescendo di critica e successi.
Clamorosa fu la presa di posizione di Carmelo Bene al lido di Venezia, quando presentò Nostra Signora dei Turchi, dichiarando con veemenza, e che non aveva alcuna intenzione di parlare con la stampa italiana. Carlo Mazzarella, inviato della Rai, commenta:
«Carmelo Bene ha dichiarato che avrebbe abbandonato la conferenza stampa, se tutta la stampa italiana non avesse abbandonato la sala, perché ha detto di avere dei fatti personali contro tutta la stampa italiana...»
«Qui si sta parlando di Carmelo Bene come di uno scrittore di scena, si sta parlando di Carmelo Bene come un attore, ma mi pare che l'unica cosa di cui si possa parlare è la sua vera professione, cioè: l'antipatico. Come antipatico Carmelo Bene è assolutamente inarrivabile. [...] Questo è la cosa di te che io amo di più, perché davvero tu qui hai una vera creatività... Ma come scrittore scenico sei di una modestia sconfortante; le tue partiture, i tuoi collage sono una pacchianeria veramente giovanilistica [...][118]»
Altri eventi mediatici clamorosi e significativi simbolici del rapporto con la critica[119] e i giornalisti[120] sono le sue due apparizioni televisive al MCS del 1994 e 1995.
Era un grande tifoso del Milan. Della squadra rossonera disse: Il Milan è un fatto culturale, un fenomeno estetico. Il Milan eccede la Materia. È celeste.
Carmelo Bene era un accanito fumatore di Gitanes, al punto che non presenziava in televisione se non gli era consentito di fumare in diretta.
Era marito di Raffaella Baracchi, Miss Italia 1983, dalla quale nel 1992 ha avuto la figlia Salomè.
Teatro
Dove non altrimenti specificato, autore, regista e interprete[27] è Carmelo Bene.
Gli esordi: il rifiuto delle Accademie e il Teatro Laboratorio
N/D, Il vento, la luce, il silenzio. Carmelo Bene.
1959, Caligola, di Albert Camus. Versione italiana di Alberto Ruggiero e Carmelo Bene. Regia di Alberto Ruggiero. Con Antonio Salines, Flavia Milanta (La Spezia 1934 - Perugia 2010). Scene e costumi di Titus Vossberg. Roma, Teatro delle Arti
Dopo il Teatro Laboratorio e l'inizio del sodalizio con Lydia Mancinelli
Edoardo II da Christopher Marlowe. Regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Interpreti: Carmelo Bene, Helen Cameron, Michele Francis, Luigi Mezzanotte, Giacomo Ricci. Roma, Teatro Arlecchino, 31 maggio 1963
I polacchi (Ubu Roi) da Alfred Jarry. Regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Interpreti: Carmelo Bene, Helen Cameron, Edoardo Florio, Luigi Mezzanotte, Edoardo Torricella, Alfiero Vincenti. Roma, Teatro dei Satiri, 11 ottobre 1963
Salomè da Oscar Wilde. Regia e costumi di Carmelo Bene. Scene di Salvatore Vendittelli. Interpreti: Carmelo Bene, Franco Citti, Edoardo Florio, Alfredo Leggi, Rosa Bianca Scerrino, Alfiero Vincenti. Roma, Teatro delle Muse, 2 marzo 1964
Pinocchio (II edizione) da Carlo Collodi. Regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Maschere di Salvatore Vendittelli. Tecnico del suono: Elia Jezzi. Interpreti: Carmelo Bene, Lydia Mancinelli, Gino Lavagetto, Luigi Mezzanotte, Edoardo Torricella, Alfiero Vincenti. Spoleto, "Festival dei Due Mondi", Teatro Tenda, 4 luglio 1964
Amleto (II edizione) da William Shakespeare. Regia, scene, costumi e musiche di Carmelo Bene. Interpreti: Carmelo Bene, Manuela Kustermann, Lydia Mancinelli, Luigi Mezzanotte, Manlio Nevastri. Spoleto, "Festival dei Due Mondi", Teatro Tenda, 9 luglio 1964
Manon da romanzo dell'Abate Prévost. Regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Interpreti: Carmelo Bene, Federico Boido, Emanuela Kustermann, Lydia Mancinelli, Rosa Bianca Scerrino, Piero Vida, Alfiero Vincenti. Roma, Teatro Arlecchino, 2 gennaio 1965
Basta, con un “Vi amo” mi ero quasi promesso. Amleto o le conseguenze della pietà filiale da William Shakespeare e Jules Laforgue. Regia, scene, costumi e musiche di Carmelo Bene, con la collaborazione di Salvatore Siniscalchi. Interpreti: Carmelo Bene, Enrico Boido, Ornella Ferrari, Edoardo Florio, Michele Francis, Manuela Kustermann, Lydia Mancinelli, Manlio Nevastri, Alfiero Vincenti. Roma, Teatro Arlecchino, 6 aprile 1965
Faust o Margherita di Carmelo Bene e Franco Cuomo. Regia e costumi di Carmelo Bene. Scene di Salvatore Vendittelli. Interpreti: Carmelo Bene, Angela Angelucci, Manuela Kustermann, Lydia Mancinelli, Valeria Nardone, Mario Tempesta, Rosaria Vadacea, Piero Vida, Alfiero Vincenti. Roma, Teatro dei Satiri, 4 gennaio 1966
Pinocchio '66 da Carlo Collodi. Adattamento, regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Maschere di Salvatore Vendittelli. Direttore tecnico: Elia Jezzi. Luci di S. e M. Feliciangeli. Interpreti: Carmelo Bene, Edoardo Florio, Lydia Mancinelli, Luigi Mezzanotte, Valeria Nardone, Manlio Nevastri, Piero Vida. Pisa, Teatro Verdi, 19 febbraio 1966
Pinocchio (II edizione) da Carlo Collodi. Roma, Teatro Centrale, 18 marzo 1966
Il Rosa e il Nero da Il monaco di Matthew Gregory Lewis. Adattamento e regia di Carmelo Bene. Scene di Salvatore Vendittelli e Aldo Braibanti. Musiche di Sylvano Bussotti e Vittorio Gelmetti. Interpreti: Carmelo Bene, Ornella Ferrari, Lydia Mancinelli, Maria Monti, Rossana Rovere, Silvano Spadaccino. Roma, Teatro delle Muse, 10 ottobre 1966
Nostra Signora dei Turchi (I edizione). Testo e regia di Carmelo Bene. Scene di Salvatore Vendittelli e Antonio Caputo. Locandina di Antonio Caputo. Interpreti: Carmelo Bene, Lydia Mancinelli e Margherita Puratich. Roma, Beat '72, 1 dicembre 1966
Amleto o le conseguenze della pietà filiale da Laforgue (II edizione). Regia, costumi e musiche di Carmelo Bene. Realizzazione di Osvaldo Testa. Interpreti: Carmelo Bene, Adriano Bocchetta, Edoardo Florio, Michele Francis, Lydia Mancinelli, Luigi Mezzanotte, Andrea Moroni, Pietro Napolitano, Manlio Nevastri, Pino Prete, Margherita Puratich, Carla Tatò. Roma, Beat '72, 20 marzo 1967
Arden of Feversham da Anonimo elisabettiano. Adattamento di Carmelo Bene e Salvatore Siniscalchi. Regia di Carmelo Bene. Interpreti: Carmelo Bene, Giovanni Davoli, Ninetto Davoli, Franco Gulà, Lydia Mancinelli, Manlio Nevastri, Alfiero Vincenti. Roma, Teatro Carmelo Bene, 15 gennaio 1968
Gli anni settanta ed ottanta: grandi trionfi in scena e successi televisivi
Nostra Signora dei Turchi (II edizione). Regia di Carmelo Bene. Scene di Gino Marotta. Interpreti: Carmelo Bene, Luciana Cante, Lydia Mancinelli. Bologna, Teatro Eleonora Duse, 7 aprile 1972
Nostra Signora dei Turchi. Regia di Carmelo Bene. Scena di Gino Marotta. Interpreti: Carmelo Bene, Lydia Mancinelli, Imelde Marani, Isabella Russo, Alfiero Vincenti, Bruno Baratti, Franco Lombardo, Gerardo Scala, Roma, Teatro delle Arti, 10 ottobre 1973
Nostra Signora dei Turchi. Regia di Carmelo Bene. Scena di Gino Marotta. Interpreti: Carmelo Bene, Lydia Mancinelli, Simona Ranieri, Isabella Russo, Alfiero Vincenti, Bruno Baratti, Giuliana Salandra, Luca Temata, Macerata,Teatro Stabile dell'Aquila, Teatro Comunale L.Rossi, 28 Aprile 1974
La cena delle beffe da Sem Benelli. Adattamento, regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Musiche di Vittorio Gelmetti. Interpreti: Carmelo Bene e Gigi Proietti, Aleiardo Barrera, Roberto Caporali, Carla Cassola, Carlo Colombo, Alessandro Haber, Roberto Lattanzio, Franco Leo, Lydia Mancinelli, Fedele Massimo, Carlo Monni, Stefania Nelli, Simona Ranieri, Isabella Russo. Firenze, Teatro La Pergola, 11 gennaio 1974
Amleto di Carmelo Bene (da Shakespeare a Laforgue) da William Shakespeare e Jules Laforgue (III edizione). Regia, scene, costumi e musiche a cura di Carmelo Bene. Interpreti: Carmelo Bene, Paolo Baroni, Benedetta Buccellato, M. Novella De Cristofaro, Massimo Fedele, Franco Leo, Lydia Mancinelli, Luigi Mezzanotte, M. Agnes Nobecourt, Maria Luisa Serena, Marina Tagliaferri, Vera Venturini, Alfiero Vincenti. Prato, Teatro Metastasio, 8 ottobre 1975
Romeo e Giulietta (storia di Shakespeare) secondo Carmelo Bene. Collaboratori al testo e alla traduzione italiana Franco Cuomo e Roberto Lerici. Regia e colonna sonora di Carmelo Bene. Musiche originali di Luigi Zito. Interpreti: Carmelo Bene, Paolo Baroni, Mariano Brancaccio, Franco Branciaroli, Mauro Bronchi, Rosalina D’Angelo, Edoardo Florio, Barbara Lerici, Roberta Lerici, Lydia Mancinelli, Luigi Mezzanotte, Alfiero Vincenti. Maestro d’armi: E. Musumeci Greco. Prato, Teatro Metastasio, 17 dicembre 1976
Otello, o la deficienza della donna da William Shakespeare. Adattamento di Carmelo Bene e Cosimo Cinieri. Regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Musiche di Luigi Zito. Interpreti: Carmelo Bene, Luca Bosisio, Jan-Paul Boucher, Cosimo Cinieri, Cesare Dell’Aguzzo, Licia Dotti, Susanna Javicoli, Michela Martini. Jesi (Ancona), Teatro Pergolesi, 13 gennaio 1979
Manfred di George Gordon Byron. Traduzione italiana di Carmelo Bene. Musiche di Robert Alexander Schumann. Orchestra e coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Piero Bellugi. Interpreti: Carmelo Bene, Sabrina Bizzo, Mario Bolognesi, Patrizia Dordi, Giorgio Gatti, Lydia Mancinelli. Roma, Auditorium di Via della Conciliazione, 6 maggio 1979
Hyperion da Friedrich Hölderlin e Bruno Maderna. Traduzione italiana, adattamento e interpretazione di Carmelo Bene. Musiche di Bruno Maderna. Orchestra e coro dell’Accademia di S. Cecilia diretta da Marcello Panni. Roma, Auditorium di Via della Conciliazione, 23 novembre 1980
Recital di poesie da Dante Alighieri e Eduardo De Filippo. Interpreti: Carmelo Bene e Eduardo De Filippo. Roma, Palasport, 15 novembre 1981
Pinocchio (Storia di un burattino) (III edizione) da Carlo Collodi di Carmelo Bene. Musiche di scena di Gaetano Giani Luporini. Maschere di Giovanni Gianese. Interpreti: Carmelo Bene, Lydia Mancinelli e con la partecipazione dei fratelli Mascherra. Pisa, Teatro Verdi, 5 dicembre 1981
Poesia della voce - Voce della poesia (Dante, Manzoni, Campana, Leopardi, Pascoli) di e con Carmelo Bene. Milano, Teatro Lirico, 10 gennaio 1983
Egmont (Un ritratto di Goethe). Versione italiana e elaborazione per concerto e voce solista di Carmelo Bene. Musiche di Ludwig van Beethoven. Direttore d'orchestra: Gerd Albrecht. Interpreti: Carmelo Bene, Barbara Lerici, Edith Matis (soprano). Orchestra e coro dell'Accademia di Santa Cecilia. Coro diretto da Giulio Bertola. Roma, Piazza del Campidoglio, 30 giugno 1983
... Mi presero gli occhi da Friedrich Hölderlin e Giacomo Leopardi di e con Carmelo Bene. Musiche di Gaetano Giani Luporini. Torino, Teatro Colosseo, 3 novembre 1983
Concerto dal mare. Il mare dalla "Commedia" ai "Canti Orfici" di e con Carmelo Bene. La Spezia, "Grandestate La Spezia '84", 1º agosto 1984
Otello di William Shakespeare secondo Carmelo Bene. Regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Musiche di Luigi Zito. Interpreti: Carmelo Bene, Cristina Borgogni, Valerio de Margheriti, Benedetta Fazzini, Isaac George, Filippo Mascherra, Anna Perino, Marina Polla De Luca. Pisa, Teatro Verdi, 9 gennaio 1985
Lorenzaccio al di là di Alfred De Musset e Benedetto Varchi di Carmelo Bene. Regia di Carmelo Bene. Interpreti: Carmelo Bene, Mauro Contini, George Isaac. Firenze, Ridotto del Teatro Comunale, 4 novembre 1986
La cena delle beffe da Sem Benelli (II edizione). Adattamento e regia, scene e costumi di Carmelo Bene. Musiche di scena di Lorenzo Ferrero. Interpreti: Carmelo Bene, David Zed, Raffaella Baracchi, Achille Brugnini, Stefania De Santis, Davide Riboli. Voce di Ginevra: Susanna Javicoli. Perugia, Teatro Morlacchi, 3 dicembre 1988
Pentesilea la macchina attoriale - attorialità della macchina da Kleist, Omero e Post-Omerica nella versione di Carmelo Bene. Momento nº 1 del progetto-ricerca "Achilleide". Interpreti: Carmelo Bene, Anna Perino. Elaborazioni musicali elettroniche di Carmelo Bene. Milano, Cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco, 26 luglio 1989
Pinocchio-0 di e con Carmelo Bene. Roma, Teatro delle Arti, 26 febbraio 1992
Gli ultimi anni
Hamlet suite. Spettacolo-concerto da Jules Laforgue. Testi, regia e musica di Carmelo Bene. Costumi di Luisa Viglietti. Luci di Davide Ronchieri. Interpreti: Carmelo Bene, Paula Boschi, Monica Chiarabelli. Verona, XXXXVI Festival Shakespeariano, Teatro Romano, 20 luglio 1994
Canti Orfici di Dino Campana. Interprete unico: Carmelo Bene. Macerata, "Macerataopera", Arena Sferisterio, 8 agosto 1994
Canti di Giacomo Leopardi. Interprete unico: Carmelo Bene. Casertavecchia (Caserta), Piazza del Duomo, 6 settembre 1994
Macbeth Horror Suite da William Shakespeare. Adattamento, regia e drammaturgia musicale di Carmelo Bene. Musiche di Giuseppe Verdi. Costumi di Luisa Viglietti. Scene di Tiziano Fario. Luci di Davide Ronchieri Interpreti: Carmelo Bene, Silvia Pasello. Roma, Festival d’Autunno, Teatro Argentina, 30 settembre 1996
Adelchi di Alessandro Manzoni. Elaborazione in due tempi di Carmelo Bene. Musiche di Gaetano Giani Luporini. Interpreti: Carmelo Bene, Elisabetta Pozzi. Roma, Teatro Quirino, 8 ottobre 1997
Pinocchio ovvero lo spettacolo della Provvidenza da Carlo Collodi. Riduzione, adattamento e regia di Carmelo Bene. Scene e maschere di Tiziano Fario. Costumi di Luisa Viglietti. Musiche di Gaetano Giani Luporini. Luci di Davide Ronchieri. Suoni live di Marcello Aiello. Interpreti: Carmelo Bene, Sonia Bergamasco. Voce in playback di Lydia Mancinelli. Roma, Festival d’Autunno, Teatro dell’Angelo, 10 novembre 1998
Gabriele D'Annunzio. Concerto d’autore. Regia e interpretazione di Carmelo Bene. Musiche di Gaetano Giani Luporini. Scene di Tiziano Fario. Luci di Davide Ronchieri. Costumi di Luisa Viglietti. Roma, Teatro dell’Angelo, 26 novembre 1999
In-vulnerabilità d'Achille, impossibile suite tra Ilio e Sciro da Omero, Cecilio Stazio, Heinrich von Kleist. Regia, interpretazione e arrangiamenti musicali di Carmelo Bene. Scene di Tiziano Fario. Costumi di Luisa Viglietti. Roma, Teatro Argentina, 24 novembre 2000
Lectura Dantis da Dante Alighieri. Interpreti: Carmelo Bene, Fernando Grillo (contrabbasso). Otranto, Fossato del Castello, 5 settembre 2001
Il rosa e il nero, in F. Quadri, L'avanguardia teatrale in Italia, Einaudi, Torino, 1977.
Dramaturgie (contiene la traduzione in lingua francese di S.A.D.E. curata da J. P. Manganaro e D. Dubroca, e scritti di J. Guinot e F. Quadri), Garnier, Sarcelles, 1977.
La ricerca teatrale nella rappresentazione di Stato (o dello spettacolo fantasma prima e dopo C.B.), in AA. VV., La ricerca impossibile. Biennale Teatro '89 (Contiene saggi di U. Artioli, C. Dumoulié, E. Ladini, M. Grande, J-P. Manganaro, A. Scala), Marsilio, Venezia 1990.
Lorenzaccio e Il teatro di Bene e la pittura di Bacon (Edizione fuori commercio per gli abbonati di Linea d'ombra, allegato al n. 78 del gennaio 1993), Milano - Roma, Linea d'ombra - Nostra signora, 1993
Opere,con l'Autografia d'un ritratto, Bompiani, Milano 1995. (contiene l'opera omnia di Bene, selezionata e revisionata dall'autore, più un'antologia critica).
Nulla patria in profeta, in AA. VV., L'immemoriale (Con scritti di G. Deleuze, G. Fofi, P. Giacchè, N. Savarese, F. Taviani, Argo, Lecco), 1995.
S.A.D.E. (Extrait), Travail Theatral, n. 27, Lausanne, 1977.
Fragments pour un auto-portrait, «Les Nouvelles Littéraires», Paris, 22 settembre 1977.
La Salomè di Oscar Wilde, Edizioni della Rai per il XXIX Premio Italia, Roma, settembre 1977.
Non fate il mio nome invano, «Paese Sera», Roma, 28 maggio 1978.
Discorso sull'attore – L'avvento della donna; «Paese Sera», Roma, 7 luglio 1978.
Discorso sull'attore, «Paese Sera», Roma, 10 luglio 1978.
Piccola storia dell'attore – Tra cerimonia e verità, «Paese Sera» 20 luglio 1978
Caro critico ma tu credi il mio teatro educativo?, «La Stampa», Torino, 16 febbraio 1979.
Niente scuole (a cura di S. Colomba), «Sipario degli attori», anno XXXV, n.405, pp. 54–55, II trimestre 1980,
Macbeth. Libretto e versione da Shakespeare di Carmelo Bene, in «Macbeth» (Programma di sala), 1983.
Brutti matti, «Dove sta Zazà, Rivista di cultura meridionale», nn.3-4, Pironti ed., Napoli, 1994.
Carmelo Bene, frammenti dal «Maurizio Costanzo Show» del 27 giugno 1994, selezionati e rielaborati da Sergio Fava, «Panta» – Conversazioni, n. 15, pp. 57–63, 1997.
Lezioni sull'arte, «Lo Straniero», anno VI, n.22, aprile 2002.
Carmelo Bene e i canti di Giacomo Leopardi; intervista introduttiva con M. Grande e Vanni Leopardi e lettura dei Canti di C.B.; riprese in diretta da Villa Leopardi e in piazza Leopardi a Recanati; regia televisiva F. Di Rosa; trasmesso il 12/9/1985, Rai 3.
Oreste Del Buono incontra Leopold von Sacher Masoch
Oreste Del Buono incontra Dostoevskij
Vittorio Sermonti incontra Marco Aurelio
Alberto Arbasino incontra Ludwig II di Baviera
Alberto Arbasino incontra Oscar Wilde
Nelo Risi incontra Jean-Paul Marat
Italo Calvino incontra Montezuma
Cassio governa Cipro; di G. Manganelli. Personaggi e Interpreti[27]: Otello: Carmelo Bene; Jago: Cosimo Cinieri; Desdemona: Lidia Mancinelli; Cassio: Giacomo Ricci; Emilia: Rosa Bianca Scerrino; Bianca: Renata Biserri; Roderigo: Alessandro Haber; Brabanzio: Piero Baldini; Ludovico: Rodolfo Baldini.
Nostra signora dei turchi
1974
In un luogo imprecisato; di G. Manganelli.
Amleto; da Shakespeare e Laforgue
Pinocchio, due parti dal romanzo omonimo di Carlo Lorenzini Collodi. Personaggi e Interpreti[27]: Pinocchio: Carmelo Bene; La Bambina dai Capelli Turchini: Lidia Mancinelli; Lucignolo: Luigi Mezzanotte; La Volpe: Bianca Doriglia, Mastro Ciliegia, Il Grillo Parlante, Il Pappagallo, L'Imbonitore: Cosimo Cinieri; Geppetto, Mangiafuoco, Il Gatto, Il Narratore: Alfiero Vincenti; Un Ragazzo, Rosa Bianca Scerrino; La Piccola Vedetta Lombarda: Irma Palazzo.
1975
Salomè da O. Wilde
Tamerlano il grande; di C. Marlowe; protagonista C.B.; regia C. Quartucci
Carmelo Bene e la voce dei Canti di Giacomo Leopardi
Pinocchio, ovvero lo spettacolo della provvidenza; di C. Collodi
1999
Gabriele D'Annunzio – La figlia di Iorio; da G. D'Annunzio
Pinocchio, ovvero lo spettacolo della provvidenza; riduzione e adattamento da Caro Collodi di Carmelo Bene; regia e interprete[27] principale C.B., musiche G. Giani Luporini; scene e maschere T. Fario; costumi L. Viglietti; direttore della fotografia G. Caporali; montaggio F. Lolli; altri interpreti: S. Bergamasco;
2000 In-vulnerabilità d'Achille, da Stazio, Omero e Kleist
Discografia
1962 – Il teatro laboratorio Majakovskij e Garcia Lorca; attore-solista C.B.; musiche di G. Lenti; Roma, RCA Edizioni letterarie.
1976 – Una nottata di Carmelo Bene con Romeo, Giulietta e compagni; a cura di R. Lerici - registrazioni al Teatro Valle di Roma durante le prove di Romeo e Giulietta 1976; Audiolibri Mondadori
1980
Carmelo Bene - Manfred – Byron-Schumann; poema drammatico di G. G. Byron; musiche da R. Schumann; traduzione italiana, regia e voce solista C.B.; e con: L. Mancinelli (voce recitante), S. Baleani (soprano), W. Borelli (mezzosoprano), E. Buoso (tenore), C. del Bosco (basso); orchestra e coro del Teatro alla Scala, direttore D. Renzetti; direttore del coro R. Gandolfi; produzione a cura di R. Maenza; direttore musicale della registrazione F. Miracle; regia del mixaggio C.B.; registrazione live effettuata al Teatro della Scala di Milano il 1/10/1980; doppio LP stereo, Fonit Cetra.
Carmelo Bene - Majakovskij, dedicato a Sandro Pertini, nel cinquantenario della morte di Majakovskij e nel centenario della nascita di Blok, concerto per voce recitante e percussioni; testi di A. Blok, V. Majakovskij, S. Esenin, B. Pasternak; traduzioni di: R. Poggioli, A. M. Ripellino, B. Carnevali; riduzione, adattamento, regia e voce recitante C.B.; musiche di G. Giani Luporini; musicisti solisti: M. ilie, (violino), S. Verzari (tromba), V. De Vita (pianoforte); direttore della registrazione P. Chiesa; fonico R. Citterio; produzione a cura di R. Maenza; registrazione live effettuata il 10/10/1980 – Roma – Teatro dell'Opera doppio LP Fonit Cetra.
1981
Carmelo Bene - Lectura Dantis; voce recitante C.B.; musiche introduttive di S. Sciarrino; musicista solista D. Bellugi (flauto); produzione R. Maenza; registrazione live Bologna, Torre degli Asinelli, 31 luglio.- CGD.
Carmelo Bene in Pinocchio (storia di un burattino da Collodi); nel centenario della nascita di Pinocchio; regia, elaborazione testi e voce principale C.B.; musiche di G.Giani Luporini; la Fatina L. Mancinelli; tecnici della registrazione: G. Burroni, M. Contini, B. Bucciarelli; Mixer L. Torani; produzione a cura di R. Maenza; registrazione effettuata a Forte dei Marmi - CGD.
1984 Carmelo Bene – “L'Adelchi di Alessandro Manzoni”; uno studio di Carmelo Bene e Giuseppe Di Leva; musiche di G. Giani Luporini, orchestra sinfonica e coro di Milano della Rai; Direttore E: Collina, maestro del coro M. Balderi; voce principale C.B.; Ermengarda: A. Perino; percussioni A. Striano; registrato in occasione delle recite al Teatro lirico di Milano febbraio – marzo 1984; produzione a cura di A, Pischedda; regia del mixaggio C.B.; tecnici del suono L. Cavallarin, G. Jametti; Fonit-Cetra.
1994 Carmelo Bene in Hamlet suite – spettacolo-concerto; collage di testi e musiche di C.B.; interprete[27] principale C.B.; Kate-Ofelia: M. Chiarabelli, P. Boschi; mixer P. Lovat; assistente L. Viglietti; produzione a cura di M. Bavera; registrato al Teatro Morlacchi di Perugia il 25 novembre 1994, Nostra Signora S.r.l.
1999 Dino Campana – Carmelo Bene - Canti Orfici – Variazioni per voce - stralci e varianti, voce recitante C.B., in collaborazione con la RAI; Mastering Suoni S.r.l.; tecnico del suono A. Macchia; libro e compact disc - Bompiani, giugno
Registrazioni audiovisive di prove e seminari
Il principe cestinato, (colloquio satirico-filosofico con Carmelo Bene), realizzato da Carlo Refele e Maurizio Grande, durante le prove di Un Amleto di meno, con Lydia Mancinelli e Alberto Arbasino, 1972.
L'immagine della phoné, Teatro Argentina, Roma, 18 e 20 novembre 1984. Archivio Storico delle Arti Contemporanee, La Biennale, Venezia.
Seminario a porte chiuse sulla macchina attoriale, per la Biennale Teatro 1989, Venezia, settembre 1989. Archivio Storico delle Arti Contemporanee, La Biennale, Venezia.
Macbeth di William Shakespeare. Videoregistrazione in tempo reale delle prove dell'edizione teatrale del 1983. Teatro Ateneo, Roma, 22 ottobre – 23 novembre 1982. Centro Teatro Ateneo, Archivio dello spettacolo, Roma.
Macbeth di Carmelo Bene, programma video in due parti: Concerto per attore solo e Le tecniche dell'assenza. Progetto di F. Marotti e M. Grande. Centro Teatro Ateneo, Archivio dello spettacolo, Roma, 1985.
Quattro seminari straordinari di Carmelo Bene, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 12-15 dicembre 1990.
Il singolo dei NegramaroIo non lascio traccia è dedicato proprio a Carmelo Bene.
Una parodia di Carmelo Bene è stata rappresentata da Emilio Solfrizzi durante la produzione televisiva Tele Durazzo e Il Polpo (1993), con lo pseudonimo di Carmelo Meglio.
A lui è dedicato un lungo viale a Roma. Si trova nel quartiere residenziale “Porta di Roma”, caratterizzato da comprensori e palazzi autonomi di lusso, vicino al centro commerciale più grande d’Italia.
^Carmelo Bene l'ultimo pornografo, di Antonio Gnoli, in La Repubblica, 19 novembre 1995.
^Carmelo Bene fa riferimento alla regione Puglia al plurale chiamandola "le Puglie". Il dialetto salentino appartiene al gruppo siciliano (così come il siciliano), a differenza dei vicini idiomi pugliesi.
«Non esiste la Puglia, ci sono le Puglie. Nasco in terra d'Otranto, nel sud del sud dei santi. Mettere insieme Bari e Otranto sarebbe come dire che Milano e Roma siano la stessa cosa. Tutta la terra d'Otranto è fuori di sé»
^Difficile stabilire se Bene si sia volontariamente allontanato dall'accademia o sia stato cacciato. Tonino Conte, in L'amato bene (op. cit., pag. 15), tra gli altri, testimonia questa seconda possibilità, dicendo che Bene "era stato cacciato dopo uno spettacolo-saggio (un Caligola di Camus) considerato sgangherato e scandaloso dai docenti ma elogiato in un articolo di Nicola Chiaromonte".
^Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, op. cit., pagg. 44 e 47. Giuliana Rossi nel suo libro I miei anni con Carmelo Bene, pag. 18, riferisce che all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico il giovane Carmelo Bene fosse stato inizialmente rifiutato. Gli riuscì in seguito di iscriversi, grazie alla sua testardaggine, combinandone di tutti i colori per il suo carattere "irriverente e inopportuno", da qui la fatidica battuta «Non c'è Bene grazie».
^«Non s'accorgono, qui ce n'è uno solo di vero attore». (Vita di Carmelo Bene, op. cit., pag. 45
«La presento ai miei con molta semplicità. "Questa è mia moglie". "Non avrai mica fatto, figlio mio, questa follia?", esalò mia madre. "No, ma la faremo quanto prima", non la rassicurai io. "Per il momento sono venuta a presentarvela" [...] Girava anche mia sorella Maria per casa. Siamo in piena traviata. Sentivo nell'aria uno strano modo di pazientare. Un'ambigua tolleranza. Una quiete imbarazzante. Ci guardavano in tralice [...]»
(C. Bene e G. Dotto, Vita di Carmelo Bene, op. cit., pagg. 102-103)
Giuliana Rossi, riferisce di una radicata ostilità, motivata da pregiudizi, della famiglia Bene nei suoi confronti.
«Tutti [della famiglia Bene] erano convinti che avessi corrotto Carmelo per sistemarmi in una famiglia ricca, come si consideravano [...] Mi accusarono di averlo drogato, di avergli dato cocaina, di essere un'avventuriera alla ricerca di soldi.»
(G. Rossi, I miei anni con Carmelo Bene, op. cit. pagg. 21-22)
^Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, op. cit., pag. 119. - Nella biografia di Sono apparso alla Madonna il matrimonio fiorentino viene definito "grottesco". (Opere, con l'Aut. op. cit., pag. 1061)
^«Appresi la notizia solo quindici giorni dopo. Un telegramma molto secco. "Tanto non te ne fotte nulla", fu la spiegazione. Avevo chiesto due milioni ai miei per tentare un intervento disperato in Svizzera. Mi negarono questi soldi. Per loro Alessandro era "il figlio della colpa". Questo figliolo fu alla fine vanamente operato in Svizzera. Sei mesi dopo morì. Non aveva ancora sette anni. Stramaledissi i miei». Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, op. cit., pag. 188. Nell'autobiografia di Sono apparso alla Madonna risulta che il figlio Alessandro «morì a cinque anni» (Opere, con l'Aut. op. cit., pag. 1062).
^Carmelo Bene su James Joyce intervista di Antonio Debenedetti, tratta dal programma televisivo RAI "Una sera, un libro" (YouTube)
^Sebbene pubblicato nel 1922, in Italia la prima traduzione integrale si ebbe soltanto nel 1960, per opera di Giulio De Angelis per la casa editrice Mondadori
^abcdefghiBisogna valutare il fatto che Bene considera le sue versioni (teatrali, cartacee, radiofoniche, filmiche...) non rivisitazioni o reinterpretazioni di un testo, ma una restituzione del così definito da Klossowski "significato metafisico del teatro". Vita di Carmelo Bene, op. cit., pag. 331
^«Ben al di là della stucchevole donna amante. Molto più dell'infermiera per amor dell'arte. Dopo il fallimento cinematografico fu l'amministratore delegato della società per otto anni. Partecipò anche a tutti i miei film, salvo Capricci [...]» Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, op. cit., pag. 202
^La compagnia teatrale di questa Salomè veniva detta "di Regina Coeli", poiché in un modo o nell'altro, tutti avevano avuto a che fare col carcere.
^Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, op. cit., pag. 182
^Lydia Mancinelli ricorda: « [...] trovai questo locale al Beat 72 dove pagai 150.000 lire al mese, un certo Ulisse [Benedetti], [...] lo affittai per tutta la stagione invernale; mi feci dare dal comune dei banchi di scuola, perché non avevamo i soldi per le poltrone, quindi facemmo una specie di anfiteatro, di gradoni degradanti, il palcoscenico era in basso e lì debuttammo con Nostra Signora dei Turchi». (Dal programma televisivo della RAI La voce che si spense)
^Dalla trasmissione Bene! Bravo! della RAI di Marco Giusti
^Emilio Villa dedicherà nei primi anni settanta all'artista salentino il libro "Letania per Carmelo Bene". (Vedi anche Marco Palladini, Carmelo Bene - Emilio Villa. La grande poesia? si rivolge solo ai poeti.)
^L'Otello televisivo fu proiettato per la prima volta, per commemorarne la recente scomparsa dell'artista, il 18 marzo 2002 al Teatro Argentina di Roma dalle ore 17:00 fino a mezzanotte; fu messo inoltre in onda su RaiTre su Rai Edu Cultura con varie e successive repliche.
^Valerij Šadrin era presidente dell'Unione artisti sovietici ed ex ministro della cultura con Gorbačëv. - Vita di C.B., op. cit., sect. XIV, UNO ZAR A MOSCA, pag. 378
^Nella sua autobiografia leggiamo che la tournée di Bene in Russia venne mal tollerata dall'allora direttore dell'E.T.I, Bruno D'Alessandro, e in seguito rinfacciata da Carmelo Rocca che gli avrebbe, secondo quanto dichiara Bene al MCS del 1994, minacciato ritorsioni contro.
^Nella sua apparizione al MCS del 1994, Bene però afferma, riguardo a queste inserzioni, che fu la sua Produzione e non lui a pubblicarle.
^Il massacro dei “classici” e la loro manipolazione integrale: questo è un altro elemento da annoverare a favore di Carmelo Bene, come condizionamento di una scrittura drammaturgica ad una scrittura scenica. Il “massacro” avviene peraltro il meno gratuitamente possibile, quale eliminazione da un lato del reticolato ideologico immobile e dall'altro lato per inserimento del maggior numero di elementi di “contemporaneità”. (Giuseppe Bartolucci, da “La Scrittura scenica”, Lerici, Milano 1969). In altri termini, quella che può sembrare apparentemente dissacrazione o massacro del "testo a monte", per Bene e per gli studiosi più avveduti non è altro che una rilettura o riscrittura dell'opera originaria a più livelli. Uno splendido saggio esplicativo a tal riguardo è Un manifesto di meno di Gilles Deleuze.
^La spiegazione di cosa sia la scrittura di scena è stata ampiamente spiegata in modo abbastanza esaustivo, sia da Carmelo Bene che da studiosi... Una fonte tra le altre è per esempio, la chiarissima spiegazione fornita da Carmelo Bene a Mixer Cultura
^Carmelo Bene realizzò una propria interpretazione di Amleto in cui recitava le parti più importanti privandole del rilievo meritato. Il monologo "Essere o non essere" era affidato ad un altro attore, che gli faceva da alter ego. Nelle diverse edizioni dei suoi Amleti (Un Amleto di meno, Hamlet Suite, Hommelette for Hamlet, ...), Carmelo Bene, non solo si priva del monologo dell'"essere o non essere", ma si discosta da tutte quelle parti significative (corroborate dalla tradizione recitativa teatrale) del testo a monte; si svincola dal suoruolo drammatico, che viene supportato dallo sdegnato Orazio, costretto a leggervi (queste parti non sue), in bigliettini fortuiti, stracciati dal copione, e consegnatigli da un Amleto che non ne vuol proprio sapere della sua parte, che scantona, evita di intercalarsi nel ruolo che gli spetta, al quale non si sente affatto legato o partecipe, più che preparato. Nell'usuale "massacro" del testo a monte, la figura di Amleto appare tutt'altro che enigmatica, turbata dallo spettro paterno, o dal suo dovere filiale di vendetta; Il Principe danese diventa talmente scaltro e opportunista che finisce addirittura per accordarsi con lo zio Claudio, il quale gli sborsa una certa sommetta, rateata di tanto in tanto, che gli consente di pagare così il suo silenzio o meglio la sua esenzione dal ruolo che gli spetta, come da copione. Spesso, oltre a filo rosso laforguiano, Carmelo Bene inserisce, in modo mirabile, nei suoi Amleti, degli insert estranei (tratti da Gozzano, per esempio) complicando ancor più il testo a monte, definito dallo stesso Bene "cartastraccia". Vedi Un Amleto di meno
^A causa di questa sua pluri-funzionalità nella ri-scrittura dell'opera svolta dall'artefice e controllore, Piergiorgio Giacché pensa che la definizione più pertinente sia quella di "uomo-teatro" (e non uomo di teatro), attribuita a Bene per la prima volta da Ferdinando Taviani, ma già riferita ad Antonin Artaud da Jean-Louis Barrault. (Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., pag. 57.)
^Piergiorgio Giacché, Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., tav. XV.
^Gilles Deleuze scrive: «Si potrebbe dire che Bene non è il primo a fare un teatro della non-rappresentazione. Si possono citare a caso Artaud, Bob Wilson, Grotowski, il Living [...] Ma non crediamo alle utilità delle filiazioni. Le alleanze sono più importanti delle filiazioni e Bene ha alleanze estremamente diverse con essi tutti. Appartiene a un movimento che agita profondamente il teatro di oggi. Ma appartiene a un movimento solo per quanto egli stesso inventa, non inversamente». (da Un manifesto di meno, in Sovrapposizioni, op. cit. pag. 89).
^Di Brecht si può dire solo ciò che sarebbe stato, qualora non fosse finito nelle grinfie di certi registi [...] L'intenzione di Brecht è tentare un déplacement della rappresentazione, ma tutto quello a cui arriva, a partire dai suoi testi, lo straniamento, è una rappresentazione al quadrato [...] - Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Vita di C.B., op. cit., pag. 322
^Piergiorgio Giacché precisa che: « [...] troppo importanti sono, per la sua arte, i fondamenti e i riscontri che gli offrono via via le vite e le opere di santi, poeti, filosofi, scrittori, pittori, musicisti... Un elenco sarebbe troppo incompleto e una loro gerarchia risulterebbe inammissibile, giacché non si tratta di cogliere qua e là contributi o di saccheggiare citazioni: per Bene "la cultura deve essere l'aria (non un'aria o l'area)" [...] E se si sceglie di abitare nell'aria, non può che essere una necessaria e necessitante libertà d'associazione ciò che ci guida in una ricerca che è pur sempre alla fin fine di "poesia". Su tutto il resto, che è appunto soltanto "teatro", Carmelo Bene si lascia andare piuttosto a un eccessivo ed eccedente libertinaggio». (Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., pagg. 59-60)
^Carmelo Bene parla di idiosincrasia assoluta fra "teatro e spettacolo. Dove c'è spettacolo non c'è teatro. Il teatro può dare osceno, proprio nell'etimo, porno nel senso proprio greco". (Un dio assente, op. cit., pag. 33)
^Per Carmelo Bene la "rappresentazione" (di Stato) è un retaggio millenario, subentrata già con Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane.
L'artista salentino si considera invece come colui che ha riportato il teatro alla sua forma originaria barbarica.
^abGilles Deleuze sottolinea il fatto che "l'uomo di teatro" non è più "autore, attore o regista", ma un "operatore", e che «l'orgoglio di Bene sta più nel far scattare un processo in cui egli è il controllore, il meccanico o l'operatore [...] piuttosto che l'attore». (Un manifesto di meno, in Sovrapposizioni, op. cit., pag. 88)
^"È proprio per essere nell'oblio, che bisogna leggere! Perché se questo occupa anche un dieci per cento della memoria, della memoria d'attore, il gioco è finito". (Un dio assente, op. cit., pag. 87)
^Video, Mixer Cultura, 1987, condotto da Arnaldo Bagnasco
^abGilles Deleuze precisa che «la scrittura e i gesti di Bene sono musicali... » (Un manifesto di meno, in Sovrapposizioni, op. cit., pag. 102). Piergiorgio Giacché ricorda che il nome Carmelo è stato soggetto a una serie di suggestioni che lo farebbero per esempio derivare in modo senz'altro immaginifico da carme e melos (Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., tav. IX). È il caso per esempio del poeta Emilio Villa che parla di Carmelo e della sua voce come voix Charmehêlée.
^"Nessun'azione può realizzare il suo scopo, se non si smarrisce nell'atto. L'atto, a sua volta, per compiersi in quanto evento immediato, deve dimenticare la finalità dell'azione. Non solo. Nell'oblio del gesto (in questo caso tirannicida) l'atto sgambetta l'azione, restando orfano del proprio artefice". (Vita di Carmelo Bene, op. cit., pag. 237). Altrove Bene afferma che oltre "a uscire fuori dalla frastica: bisogna paralizzare l'azione", giungendo a quel che lui ama definire "l'atto. Mentre l'azione è qualcosa di storico, legato al progetto, l'atto è oblio: per agire, occorre dimenticare, altrimenti non si può agire. In questo una parola come attore va decisamente riformulata.
Mentre con attore s'intende per solito colui che fa avanzare l'azione, porgendo la voce al personaggio, io mi muovo in senso contrario. Vado verso l'atto, e cioè l'instaurazione del vuoto. Questo è il senso della sovranità o super-umanità attoriale. Ma per far questo si deve decostruire il linguaggio, spostando l'accento dai significati ai significanti che, come dice Lacan, sono stupidi, sono il sorriso dell'angelo. Occorre arrivare all'inconscio, a quanto non si sa, all'oblio di sé". (Un dio assente, op. cit., pag. 124)
^In realtà è una semplificazione estemporanea, poiché Bene preferisce parlare piuttosto di eccesso del desiderio che non di un aldilà del desiderio.
^Definizione estemporanea fornita da Bene nel mentre dialoga con D'Agostino al Maurizio Costanzo Show del 1994
^Bene aggiunge infine un'analogia riferita all'erezione maschile e cioè che il porno è quanto non gli tira, pur tirando non tira. È stirato. Per sempre.
^Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Vita di C.B., op. cit., pag. 31
^Lo conferma anche la teoria junghiana dell'anima e dell'animus, rispettivamente l'atteggiamento interiore dell'uomo e della donna
^Onde risolvere l'equivoco, Gilles Deleuze spiega: «È strano a tal proposito che alcune donne in collera, e anche alcuni critici, abbiano potuto rimproverare a Bene la sua messa in scena del corpo femminile, accusandolo di sessismo o di fallocrazia. La donna-oggetto di S.A.D.E., la ragazza nuda, passa attraverso tutte le metamorfosi che il padrone sadico le impone, trasformandola in una serie successiva di oggetti usuali; ma appunto, attraversa queste metamorfosi, senza mai assumere pose avvilenti». (Un manifesto di meno, in Sovrapposizioni, op. cit., pag. 101)
^Carmelo, Opere, Con l'Aut. op. cit. tav. XIII-XIV
^abcAl posto del proposito volitivo o della volontà, Bene cerca di percorrere il cammino della cosiddetta nolontà che Schopenhauer chiama "volontà senza oggettità", ovvero, "niente rappresentazione, niente mondo. Si è al di là del principio del piacere". (Un dio assente, op. cit., pag. 121)
^Bene dice: "... a Lacan interessava aver articolato l'inconscio come linguaggio. Io parto articolando il linguaggio come un incosncio, ma affidandolo ai significanti e non ai significati, in balia dei significanti..." (Un dio assente, op. cit., pag. 97)
^La voce di Narciso, in Opere, con l'Autografia d'un ritratto, op. cit., pag. 995
^Al MCS, Uno contro tutti, puntata del 27 giugno del 1994, Bene, furibondo, prorompe violentemente contro una certa Sonia Cassiani che, secondo lui, stava abusando del verbo "essere" nei suoi confronti: "Non parlo a chi mi rompe i coglioni con l'essere e con l'esserci, non parlo con l'ontologia. Abbasso l'ontologia. Me ne strafotto. Parli con il professore Heidegger, non con me, e vada a fare in culo".
^La pellicola di Nostra Signora de' Turchi fu da lui e i suoi collaboratori calpestata, bruciacchiata con cicche e tagliuzzata, metodicamente, sotto gli occhi allibiti e sconcertati del nobile napoletano Franco Jasiello che ne aveva finanziato la realizzazione. Per quanto possa sembrare distruttivo, questo degrado della pellicola servì per creare degli effetti speciali particolari a delle intere sequenze consecutive in bianco e nero, che principalmente sembrano rieditare l'aspetto delle pellicole rovinate d'altri tempi.
^Nel seminario del 1984 Carmelo Bene chiarisce ancor più dicendo che
«...la scena non c'è più, non c'è più niente, anche le luci le tengo basse, voglio che non si veda niente, il meno possibile [...] io devo lavorare quando lavoro; voglio che il pubblico non si distragga a guardare il mio viso che si deforma per ottenere certi suoni, in un modo quasi mostruoso. [Si tratta] di chiudere, di lasciare veramente aperti i varchi al grande salto»
^ Andrea Damiano, Il cinema di Carmelo Bene, su Art in Italy, 13 marzo 2019. URL consultato il 10 ottobre 2019.
^La B.B.B. ha prodotto Capricci e sta per Barcelloni, Bene, Brunet
^Nella video-intervista fatta da Piero Panza, risalente alla "parentesi cinematografica, Bene parla di Keaton come "formula anti-chapliniana" e altrove più o meno nello stesso periodo, l'artista salentino definisce Chaplin un "guittetto ributtante" che insieme a tanti altri, tra cui Luis Buñuel (tacciato senza mezzi termini come "coglione"), sono "tutti fenomeni meschini e piccoloborghesi". (Intervista tratta da “Cinema & Film”, 11-12, estate-autunno 1970, pp. 276-279, Roma, maggio 1970. ( Adriano Aprà, Gianni Menon, Conversazione con Carmelo Bene (PDF), su agenziax.it, 1970, pp. 84-98. URL consultato l'8 novembre 2010 (archiviato dall'url originale il 5 gennaio 2012).)
^Della filmografia del suo amico Pasolini Carmelo Bene apprezzerà solo alcune cose di Salò o le 120 giornate di Sodoma che secondo l'artista salentino "non sono cinema"
^La frase è citata da Rien Va di Tommaso Landolfi. Adelphi, Milano, 1998, pag. 108. ISBN 88-459-1345-7. Carmelo Bene la ribadirà spesso, come al Maurizio Costanzo Show, nell'uno contro tutti del 1994, aggiungendo che "non si può vivere con la vita".
^ Adriano Aprà, Gianni Menon, Conversazione con Carmelo Bene (PDF), su agenziax.it, 2007, p. 85. URL consultato l'8 novembre 2010 (archiviato dall'url originale il 5 gennaio 2012).
^Carmelo Bene a Mixer Cultura, citando Léon Bloy, afferma che "il critico è colui che cerca ostinatamente un letto in un domicilio altrui" e, citando Oscar Wilde, aggiunge che "non si dà critico fuori dall'artista", concludendo che "l'artista è il critico; il critico quindi è l'artista. I critici artisti non sono; io sono il critico dei miei spettacoli".
^Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., pag. 77
^« [...] Scrivono quello che la massa vuole sentirsi dire [...] I giornalisti sono impermeabili a tutto. Se ne fottono di tutto. Arrivano sul cadavere caldo, sulla partita, a teatro, sul villaggio terremotato, e hanno già il pezzo incorporato. Il mondo frana sotto i loro piedi, s'inabissa davanti ai loro taccuini, e tutto quanto è per loro intercambiabile letame da tradurre in un preconfezionato compulsare di cazzate sulla tastiera. Cinici? No, frigidi. E arroganti. L'arroganza delle scimmie. Fanno ginnastica da un cadavere all'altro. Se ne fottono di tutto. Dategli due noccioline, quattro lire, un cadeau miserabile, quanto basta». (Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Vita di Carmelo Bene, op. cit., pag.
^Nella Vita di Carmelo Bene, Bene parla della sua compagna Lydia Mancinelli (la quale si era assunta l'onere delle pratiche burocratiche e legali) come di un punto di riferimento determinante, senza la quale, a suo dire, con molta probabilità, sarebbe stato costretto a rinunciare al teatro.
^Opere, con l'Autografia d'un ritratto, op. cit., pag. 1402
^Io gli dicevo: "... ma lascia stare, fregatene" ma non poteva perché diceva "No, mi danneggiano... [...] almeno si limitassero a spiegare la storia, aiutare il pubblico". E invece erano delle stroncature. (testimonianza di Lydia Mancinelli, dalla trasmissione televisiva della Rai La voce che si spense, prima puntata)
^"Una volta, per uno spettacolo, scrivemmo noi la critica e la portammo a sei giornali diversi, firmata Dice... Questo lo manda il Dice, questo lo manda il Dice. Fu uno sguinzagliamento dopo lo spettacolo. Il giorno dopo uscirono sei critiche uguali su tutti i giornali. Ovazioni, venti minuti, tutti in ginocchio..." (testimonianza di Lydia Mancinelli, dalla trasmissione televisiva della Rai La voce che si spense, prima puntata)
^Anche se il successo per Bene inizia solo dopo la folgorante parentesi cinematografica, Piergiorgio Giacché pone l'accento sul fatto che fu forse soltanto "con la direzione della Biennale dell'87 [che] arriva quel riconoscimento magistrale che lo scioglie dal voto e dal vuoto di tante polemiche e provocazioni, necessarie fin lì a garantirgli non la visibilità del suo personaggio ma appena lo spazio vitale di un attore". (Carmelo Bene, antropologia di una macchina attoriale, op. cit., tav. VII)
^La veemenza verso i critici e i giornalisti viene riconferma puntualmente nelle due puntate del Maurizio Costanzo Show (nel 1994 e nel 1995).
^Aggiungendo:[...] Laforgue scrive molto meglio della spazzatura che tu tiri fuori dalla porta... Poi mi permetto di dire anche... che come attore sei molto modesto. Hai la voce del Buce, quella che Gadda nel Pasticciaccio chiamava la voce del Buce, hai un fisico che non sai assolutamente portare... Lo spettacolo da Laforgue lo faceva vedere molto chiaramente. Sei anche truccato con una frangetta da parrucchiere di borgata, e insomma sant'Iddio, vuoi che ancora ci occupiamo di te seriamente...
Umberto Artioli, Carmelo Bene. Un dio assente. Monologo a due voci sul teatro, Milano, Medusa, 2006, ISBN8876980512.
Bruno Di Marino, Marco Meneguzzo e Andrea La Porta (a cura di), Lo sguardo espanso. Cinema d'artista italiano 1912-2012, Silvana Editoriale, 2012, ISBN9788836625468.