Venne soprannominato fin da bambino Muddy Waters ("acque fangose") dalla nonna per via della sua abitudine di sguazzare nel fango in riva al Mississippi. Suo padre, Ollie Morganfield, era un contadino e un musicista; sua madre, Berta Jones, morì quando Muddy Waters aveva appena tre anni, lasciando ben dieci figli. In seguito alla morte della madre, Muddy seguì la nonna a Clarksdale. Qui, all'età di nove anni iniziò a suonare l'armonica e a sedici la chitarra.
Nonostante guadagnasse qualche centesimo suonando a feste e pic-nic nei dintorni di Clarksdale, lavorava, come la maggior parte dei neri del Sud, come raccoglitore nei campi di cotone dei bianchi.
Son Slims, violinista e chitarrista, fu uno dei suoi primi maestri e con lui nel 1942 fece la sua prima registrazione per l'esperto in folklore Alan Lomax. Per un certo periodo gestì un juke joint, una sorta di locale improvvisato dove si praticava il gioco d'azzardo e si poteva ascoltare la musica di un jukebox, o lo stesso Muddy che si esibiva dal vivo.
Le sue prime registrazioni non vennero pubblicate (uscirono solo decenni dopo), e Muddy Waters decise di andare a cercar fortuna a Chicago, dove il blues stava ormai dilagando. Arrivato nella maggiore città dell'Illinois, lavorava di giorno come autista e di sera suonava nei bar e in piccoli club. Fece così conoscenza con Sonny Boy Williamson[non chiaro] e Tampa Red.
Trovò presto un contratto con la casa discografica blues Aristocrat Records, fondata nel 1947 da Charles ed Evelyn Aron in società con Fred and Mildred Brount; l'etichetta venne poi rilevata dai fratelli Leonard e Phil Chess, che nel 1950 le cambiarono il nome in Chess Records; in seguito per l'etichetta avrebbero firmato bluesmen come Little Walter, Howlin' Wolf e Chuck Berry.
Il successo
Inizialmente, i fratelli Leonard e Phil Chess – fondatori dell'omonima casa discografica[4] – non permisero a Muddy di farsi accompagnare dalla propria band nelle registrazioni in studio; difatti, nei primi dischi pubblicati per la Chess Records, è Ernest "Big" Crawford al contrabbasso ad accompagnare Waters alla chitarra elettrica. Dopo qualche anno, Chess cambiò idea, e nel settembre del 1953 registrò per la prima volta Muddy Waters e l'intera band. Quest'ultima rimane una delle formazioni più acclamate e influenti della storia del blues: Little Walter all'armonica, Jimmie Rogers alla chitarra, Elga Edmonds (noto anche come Elgin Evans[5]) alla batteria e Otis Spann al piano. La band, durante tutti gli anni cinquanta, registrò una serie di classici passati alla storia del genere, con l'aiuto del bassista/cantautore Willie Dixon, che per loro compose classici come Hoochie Coochie Man (Numero 8 nella classifica dei singoli R&B più venduti), I Just Want to Make Love to You (Numero 4), e I'm Ready. Secondo il critico di Rolling Stone Robert Palmer, queste tre canzoni rimangono il cavallo di battaglia della band. Muddy Waters, insieme all'armonicista Little Walter e al bluesman/band leader Howlin' Wolf, regnò su tutta la scena blues di Chicago dei primi anni cinquanta; la sua band fu riconosciuta da molti come la migliore del periodo. Mentre Little Walter, sebbene nel 1952 iniziò una carriera solista, continuò a collaborare con Waters per tutto il decennio; Muddy sviluppò invece, nei confronti di Howlin' Wolf, una sorta di rispettosa rivalità. Altri successi della band di Muddy Waters furono Mannish Boy e Sugar Sweet nel 1955, seguite dalle hit Trouble No More, Forty Days & Forty Nights e Don't Go No Farther nel 1956.
Nel 1958, Muddy Waters si esibì in Inghilterra, e fece scalpore grazie al suo sound elettrico, potente e folgorante. La popolazione inglese, abituata al folk/blues di Sonny Terry, Brownie McGhee e Big Bill Broonzy, rimase profondamente colpita da Waters e dalla sua band; la loro esibizione alimentò in loro il rispetto per un genere come il blues. Al Jazz Festival di Newport del 1960, Muddy Waters tenne una storica performance che fu registrata e pubblicata in un LP dal titolo At Newport 1960.
Dopo il grande successo riscosso in patria dalla sua ultima grande hit, I'm Ready del 1956, per la maggior parte della restante carriera Muddy Waters registrò soprattutto album, come Brass and the Blues o Electric Mud. Nel 1967 collaborò con Bo Diddley, Little Walter e Howlin' Wolf, registrando con loro alcuni album. Nel 1972 tornò in Inghilterra, e registrò le London Muddy Waters Sessions con Rory Gallagher, Steve Winwood, Rick Grech e Mitch Mitchell.
Morte
Muddy Waters morì nel sonno il 30 aprile 1983 nella sua casa di Westmont, poche settimane dopo il suo 70º compleanno. Al suo funerale, una folla di musicisti blues e fan rese omaggio a una delle forme d'arte più genuine.
Due anni dopo la sua morte, la città di Chicago onorò il suo ricordo rinominando una parte della 43rd Street in "Honorary Muddy Waters Drive", laddove un tempo egli aveva abitato.
A proposito della morte di Muddy Waters, B.B. King dichiarò a Guitar World: «Dovranno passare anni e anni prima che la maggior parte della gente comprenda quanto è stato grandioso per la storia della musica americana».
Influenza culturale
Muddy Waters ebbe una profonda influenza su molti generi musicali: blues, rhythm blues, rock 'n' roll, hard rock, folk, jazz e country. Aiutò inoltre Chuck Berry ad ottenere il suo primo contratto, presentandolo a Chess.
Il suo tour del 1958 in Inghilterra portò la popolazione a conoscere il moderno blues urbano, le sue esibizioni furono le uniche a godere di un'amplificazione, creando un sound elettrico mai udito prima; l'impatto fu talmente devastante che un critico, trovando la band troppo rumorosa, si chiuse in bagno per scrivere la propria recensione. Il suo uso dell'amplificazione fu descritto come l'anello mancante tra il Delta Blues e il Rock 'n' Roll.
La rivista Rolling Stone prese il proprio nome dall'omonimo brano di Waters del 1950, così come il gruppo dei Rolling Stones[6], che fu profondamente influenzato dalla musica di Muddy. Jimi Hendrix disse di lui che fu il primo chitarrista che lo impressionò da bambino, «un effetto così forte da spaventarmi»[7]. I Cream reinterpretarono Rollin' and Tumblin' nel loro album di debutto, Fresh Cream del 1966, siccome Eric Clapton era grande fan di Muddy, e la sua musica ebbe grande influenza su di lui. La canzone fu reinterpretata anche dai Canned Heat e adattata da Bob Dylan nell'album Modern Times. Il testo di una delle canzoni più celebri dei Led Zeppelin, Whole Lotta Love, si basa su quello della celebre hit di Muddy Waters, You Need Love, composta da Willie Dixon. Quest'ultimo compose alcune delle canzoni più celebri di Waters, come I Just Want to Make Love to You (che divenne grande hit radiofonica di Etta James, e fu ripresa dai Foghat), Hoochie Coochie Man, che fu reinterpretata con successo dalla Allman Brothers Band, e I'm Ready. Nel 1993 Paul Rodgers, pubblicò un album tributo a Waters, dal titolo Muddy Waters Blues, a cui presero parte artisti celebri come Gary Moore, Brian May e Jeff Beck.
Angus Young, del gruppo rock AC/DC, dichiarò l'influenza che Muddy Waters ebbe su di lui; la canzone degli AC/DC You Shook Me All Night Long è infatti ispirata a You Shook Me, brano che fu ripreso anche dai Led Zeppelin nel loro album di debutto.
Varie canzoni di Muddy Waters, sono incluse nella colonna sonora di alcuni film di Martin Scorsese, grande fan del musicista.
^(EN) Derek Trucks, Muddy Waters, su rollingstone.com, Rolling Stone. URL consultato il 17 novembre 2012 (archiviato dall'url originale il 21 ottobre 2012).
^(EN) Mark Deming, Artist Biography, su allmusic.com, Allmusic. URL consultato il 23 ottobre 2014.
^(EN) Bruce Eder, Artist Biography, su allmusic.com, Allmusic. URL consultato il 23 ottobre 2014.
^John McMillian, Beatles vs Stones, Editori Laterza, pagina 112
^Fabio Genovesi, "Un ritmo pieno di fango", La lettura Corriere della Sera, Domenica 29 marzo 2015
Robert Gordon, "Muddy Waters. Dal Mississippi Delta al blues di Chicago", prefazione di Keith Richards, trad. italiana di Giancarlo Carlotti, ShaKe Edizioni, Milano 2021, ISBN 979-1280214270
Robert Gordon, "Hoochie Coochie Man - La Vita e i Tempi di Muddy Waters", trad. italiana di Claudio Mapelli, Arcana Editrice, Milano 2005, ISBN 88-7966-319-4