Notate le sue qualità, lo zio lo introdusse poi alla corte del pontefice Alessandro VI, presso il quale prestò servizio dapprima come cameriere pontificio ed in seguito come protonotario apostolico. Successivamente, quando lo zio Oliviero, vescovo di Chieti, lasciò la cattedra episcopale, fu lo stesso Gian Pietro a subentrargli in carica. Egli fu consacrato il 18 settembre 1505 e, l'anno successivo, prese possesso della diocesi e vi rimase fino al 1513[2].
Il 7 gennaio 1538 entrò nella Commissione incaricata di preparare il Concilio ecumenico. La commissione fu ampliata con l'ingresso di nuovi cardinali; anche le tematiche da affrontare furono ampliate, includendo la riforma della Curia romana e dei suoi funzionari (27 agosto 1540).
Tra i due schieramenti in cui si divideva il collegio cardinalizio dell'epoca, gli intransigenti (intenzionati a reprimere qualsiasi forma di eresia) e gli spiritualisti[4], il Carafa si collocò tra i primi. Rispetto alle due grandi potenze europee dell'epoca, l'impero e il regno di Francia, si schierò col partito francofilo[3]. Nel concistoro del 15 luglio 1541 Paolo III concesse ai cardinali Gian Pietro Carafa e a Girolamo Aleandro i poteri per coordinare l'attività dell'inquisizione. Dopo la morte del cardinal Aleandro, il 4 luglio 1542 affiancò a Carafa una commissione di cardinali, che comprendeva gli intransigenti Pier Paolo Parisio, Bartolomeo Guidiccioni e Dionisio Laurerio e i due concilianti Giovanni Morone e Tommaso Badia.[5]
Nel 1542 il Carafa riuscì a ottenere da Paolo III l'istituzione della Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione (bolla Licet ab initio del 21 luglio 1542). La commissione dei sei cardinali fu riequilibrata sostituendo Giovani Morone, che era direttamente coinvolto in quanto vescovo di Modena, città in cui si erano diffuse le idee riformatrici, con Juan Álvarez de Toledo.[6] Fino ad allora l'inquisizione era stata gestita dalle singole diocesi (escluso il Regno di Spagna). Il provvedimento creava un organismo centralizzato incaricato di vigilare sulle questioni della fede e della difesa della Chiesa dalle eresie. Lo stesso Carafa ne fu il primo presidente.
17 ottobre 1544 - 8 ottobre 1546: è vescovo di Albano;
8 ottobre 1546 - 28 febbraio 1550: è vescovo della Sabina;
22 febbraio 1549 - 23 maggio 1555: è arcivescovo di Napoli (non poté mai assolvere a questo incarico per la tenace e feroce opposizione dell'imperatore Carlo V d'Asburgo a cui Napoli apparteneva in quanto possedimento spagnolo);
28 febbraio 1550 - 29 novembre 1553: è vescovo di Frascati;
29 novembre - 11 dicembre 1553: è vescovo di Porto;
Il conclave si tenne dal 15 al 23 maggio 1555. Vi parteciparono 56 cardinali (secondo Salvador Miranda)[7], oppure 44-45 cardinali (secondo John Paul Adams [senza fonte]).
Eletto all'età di 79 anni, Paolo IV fu il più anziano pontefice alla data dell'elezione dai tempi di papa Gregorio XII (circa 1335-1417), che fu papa fino all'età di 80 anni[8].
Prima di lui, l'ultimo pontefice proveniente dal Regno di Napoli era stato papa Innocenzo VII (circa 1336-1406), nato a Sulmona.
Il pontificato
L'Inquisizione romana
Già nel periodo in cui presiedeva la Congregazione del Sant'Uffizio, il cardinale Carafa aveva promosso e in parte anche condotto processi per eresia che coinvolsero grandi personalità della Chiesa di allora. Particolare attenzione fu rivolta al circolo dei cosiddetti Spirituali, presenti all'interno della Chiesa, che sostenevano tesi vicine a quelle dei protestanti; tra questi erano Giovanni Morone e Vittore Soranzo. Si erano raccolti corposi, per così dire, dossier anche su diversi cardinali (tra cui l'arcivescovo di CanterburyReginald Pole), ma il processo era stato bloccato da papa Giulio III (1550-1555), contrario a una politica così repressiva nei confronti dei vertici della Chiesa.
Una volta diventato papa, uno dei suoi primi provvedimenti fu volto a innalzare l'Inquisizione a organo di governo della Chiesa a tutti gli effetti[3]. Diventarono di competenza del tribunale del Sant'Uffizio anche la repressione degli abusi ecclesiastici (come ad esempio il cumulo di benefici) e la riforma della Curia romana. Il raggio d'azione del tribunale si allargò quindi, dal solo ambito dottrinale fino a quello politico e amministrativo. Il papa presenziò di persona a molte riunioni della Congregazione. Nominò Grande Inquisitore il cardinale Michele Ghislieri. Il pontefice lo incaricò di riprendere i vecchi “dossier”: furono riaperti processi già conclusi e ne vennero inaugurati di nuovi.
Uno dei vescovi che si trovò a dover affrontare un secondo processo fu Vittore Soranzo[9], già condannato una prima volta e che aveva da anni perso ogni potere nella diocesi di Bergamo, sostituito da un vicario nominato dal Sant'Uffizio. Non sono ben chiari i contorni di questo secondo processo del 1556-1557, per via della carenza di fonti, ma sappiamo che Soranzo, richiamato più volte a Roma, non si poté presentare perché gravemente ammalato. Morirà infatti il 13 maggio 1558, pochi giorni dopo la conclusione del processo, che lo aveva condannato alla privazione del vescovado.
Un'altra vittima illustre della campagna di repressione avviata dal pontefice fu il cardinale Giovanni Morone[10], nel 1555 avversario del pontefice nel conclave che portò alla sua elezione. Il 31 maggio 1557 Paolo IV lo fece arrestare e imprigionare in Castel Sant'Angelo sotto l'accusa di essere un sostenitore dell'eresia luterana. Sottoposto a processo, Morone riottenne la libertà soltanto dopo la morte di Paolo IV.
Il pontefice cercò anche di introdurre l'inquisizione in Francia, scontrandosi però con l'opposizione del Parlamento parigino[3].
Nel 1557 l'Inquisizione istituì l'elenco delle pubblicazioni a stampa di cui la Santa Sede vietava la diffusione, chiamato Index librorum prohibitorum (Indice dei libri proibiti). Il papa non approvò la prima edizione, uscita quell'anno, concedendo il placet alla seconda stesura, pubblicata il 30 dicembre 1558. Le proibizioni erano divise in tre classi: la prima comprendeva una serie di autori la cui produzione era proibita in toto, la seconda riguardava le singole opere condannate (ma non gli autori); la terza conteneva a sua volta tre tipologie di opere: a) i volumi anonimi, cioè quelli che non recassero indicazioni tipografiche; b) le opere che non avevano ricevuto il permesso ecclesiastico; c) tutti i libri di astrologia e magia. In tutto, considerando anche gli errori dei compilatori, l'Indice comprendeva 904 titoli. Tra i nomi di autori che vengono oggi riconosciuti come figure importanti della cultura europea, vi è anche quello di Erasmo da Rotterdam.
All'indice era allegata una lista di 45 edizioni di Bibbie e Nuovi Testamenti proibiti, nonché di stampatori messi al bando.
L'Indice promulgato sotto Paolo IV (detto quindi paolino) è estremamente più severo di quelli dei suoi successori, a cominciare da quello promosso da papa Pio IV (detto tridentino, poiché discusso durante il Concilio di Trento).
Altri documenti del pontificato
Costituzione apostolica Ex Clementis (1º luglio 1555): conferma quanto precedentemente approvato dal predecessore Martino V sulla figura del sindaco apostolico e ne estende i poteri;
Vengono attuate: la revisione delle procedure per l'assegnazione delle diocesi e la riforma disciplinare dei conventi e dei monasteri (giugno-agosto 1555);
Costituzione apostolica "Cum quorundam" (1555): viene espressa la condanna contro coloro i quali credono che Gesù sia stato concepito non già "per opera dello Spirito Santo", "ma dal seme di Giuseppe, come gli altri uomini"[11];
Bolla Inter coeteras (27 novembre 1557): si prendono misure contro coloro che per ottenere benefici ricorrono a varie frodi, come quella di assumere false generalità;
Paolo IV interruppe il tradizionale rapporto di tolleranza tra la Chiesa cattolica e gli ebrei. Con la bollaCum nimis absurdum del 14 luglio 1555, il pontefice revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani e ordinò l'istituzione del ghetto, chiamato "Serraglio degli ebrei". Già presente a Venezia e in altre città europee, fu il primo dello Stato Pontificio. Gli ebrei vennero costretti a vivere reclusi in una specifica zona del rione Sant'Angelo. A FirenzeCosimo I de' Medici fece costruire il ghetto ebraico nella zona del Mercato Vecchio, l'attuale Piazza della Repubblica, in ottemperanza agli ordini pontifici.
Successivamente, anche in altre città dello Stato pontificio gli ebrei furono rinchiusi in ghetti e obbligati a portare un cappello giallo per essere riconoscibili (e un velo giallo per le donne)[12]. Paolo IV inviò ad Ancona due commissari straordinari con l'ordine di arrestare e processare tutti gli ebrei apostati. I marrani imprigionati furono sottoposti a processo dal tribunale dell'Inquisizione e alcuni furono condannati al rogo (altri furono condannati sui remi delle galee a vita): dopo essere stati torturati, venticinque marrani furono bruciati ad Ancona tra marzo e giugno del 1556[13].
Paolo IV apparteneva al partito filofrancese; considerava quindi la Spagna un regno ostile. Nel 1555 strinse un'alleanza segreta con il re di Francia Enrico II allo scopo di liberare il Sud Italia dal predominio spagnolo. L'alleanza segreta fu formalizzata il 15 dicembre 1555 mediante la sottoscrizione di un trattato nel quale il re di Francia si impegnò a fornire allo Stato Pontificio un esercito di 12 000 uomini. In luglio il pontefice revocò la legazione del cardinale Scipione Rebiba, facendolo tornare da Madrid.
Re Filippo II (che in Italia possedeva, oltre al Regno di Napoli anche il Ducato di Milano e proteggeva la signoria dei Medici a Firenze)[3] decise di giocare d'anticipo: inviò in difesa di Napoli un esercito guidato da Fernando Álvarez de Toledo, grande di Spagna. L'esercito invase lo Stato Pontificio giungendo a conquistare rapidamente gran parte della campagna romana e il 18 a far cadere anche Ostia[3]. Pur costretto all'armistizio, il pontefice non esitò a favorire il precipitare degli eventi invocando un intervento francese in funzione antispagnola, che si verificò nel gennaio 1557. La reazione francese non ebbe successo, ma gli elevati costi della guerra indussero la Spagna a concludere la pace in breve tempo. Il trattato fu siglato a Cave (vicino a Palestrina) il 12 settembre 1557.
In esso Paolo IV riconosceva Filippo II come cattolicissimo sovrano di Spagna, rinunciava all'alleanza con la Francia e dichiarava la neutralità dello Stato della Chiesa. La pace di Cave sancì una svolta nella politica pontificia di Paolo IV: la fine dell'alleanza con la Francia e l'inizio del suo avvicinamento alla Spagna.
Imperatore del Sacro Romano Impero
Paolo IV osteggiò apertamente Carlo V d'Asburgo (1500-1558), precludendo fin dall'inizio del suo pontificato ogni possibilità di stringere accordi con l'imperatore. Il pontefice condannò la pace di Augusta (passata alla storia con la celebre locuzione latinacuius regio, eius religio) siglata il 25 settembre 1555 tra Carlo V e l'alleanza dei principi protestanti (riuniti nella Lega di Smalcalda). Tale accordo sanciva la coesistenza del luteranesimo e del cattolicesimo negli stati tedeschi.
Nel 1556 Carlo V, che riuniva in sé la corona iberica e il trono imperiale, lasciò la prima al figlio Filippo II e il secondo al fratello Ferdinando I. Al momento del delicato passaggio, Paolo IV elevò la sua protesta contestandone la legittimità: l'imperatore non si era consultato prima con il pontefice.
Due anni dopo, nel 1558, mantenne la sua protesta considerando l'elezione imperiale invalidata dalla partecipazione dei principi elettori protestanti[3].
Re d'Inghilterra
L'avversione di Paolo IV per la Spagna portò a un peggioramento delle relazioni con l'Inghilterra, sul cui trono sedeva Maria I Tudor, moglie di Filippo II di Spagna. Nel 1555 il pontefice revocò a Edoardo VI d'Inghilterra la titolarità del Regno d'Irlanda, considerandolo usurpato dal monarca inglese, e l'assegnò a Filippo II (bolla Illius per quem).
Per risolvere la crisi creata in Inghilterra dopo lo scisma provocato da Enrico VIII, con il clero diviso in due tra sacerdoti ordinati da Enrico VIII e sacerdoti di persuasione cattolica, il 20 giugno 1555 Paolo IV pubblicò la bolla Praeclara Charissimi a mezzo della quale impose l'ordinazione dei sacerdoti dai vescovi e la nomina dei vescovi da parte del papa.
Dopo la morte di Maria I Tudor, avvenuta il 17 novembre 1558, si ruppe definitivamente il legame tra la Santa Sede e la Corona d'Inghilterra.
Morte e sepoltura
Paolo IV morì all'età di 83 anni la sera del 18 agosto 1559. Fu sepolto inizialmente nell'antica basilica di San Pietro in Vaticano. L'aver sviluppato l'Inquisizione gli portò il rancore del popolo romano, che all'indomani della morte ne decapitò la statua in Campidoglio.
12 maggio 1559 (bolla Super universas): furono riorganizzate le circoscrizioni ecclesiastiche dei Paesi Bassi spagnoli; vennero istituite quattordici nuove diocesi:
Carlo (1517-1561), che lo stesso Paolo IV creò cardinale e scelse come cardinal nipote. Lo nominò anche Segretario di Stato, poi lo sollevò dall'incarico a causa della sua condotta morale dissoluta.
Antonio ebbe un figlio, Alfonso (1540-1565), che morì in giovane età.
Un altro fratello di Paolo IV, Giovanni Francesco Carafa, ebbe come figlio secondogenito Diomede (1492-1560), che lo stesso Paolo IV creò cardinale.
Andrea Vanni, “Fare diligente inquisitione”. Gian Pietro Carafa e le origini dei chierici regolari teatini, Roma, Viella, 2010
Andrea Del Col, L'Inquisizione in Italia: dal XII al XXI secolo, Milano, Mondadori, 2006.
Massimo Firpo, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone (1509-1580) e il suo processo d'eresia, Nuova edizione rivista ed ampliata, Brescia, Morcelliana, 2005 (I edizione: Il Mulino, Bologna 1992)
Alberto Aubert, Paolo IV. Politica, Inquisizione e storiografia, Firenze, Le Lettere, 1999
Pio Paschini, S. Gaetano Thiene, Gian Pietro Carafa e le origini dei chierici regolari teatini, Roma, 1926
Gennaro Maria Monti, Ricerche su papa Paolo IV Carafa, Benevento, 1923
Ludwig von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, vol. VI: Storia dei Papi nel periodo della Riforma e Restaurazione cattolica. Giulio III, Marcello II e Paolo IV (1550-1559), Roma 1922
Cesare Trevisani, I nipoti di papa Paolo IV, Milano, G. Daelli, 1864
Fiorentino Stornajuolo, Paolo IV Carafa. Il papa tremendo, Morcone, Scripta Manent, 2019