Il territorio interessato era una vasta area periferica dei domini bizantini in Italia, caratterizzata da insediamenti sparsi, senza centri urbani di rilievo. Le precarie condizioni geografiche favorirono nuovi modelli sociali ed economici che si svilupparono dalle tradizionali attività lagunari d'epoca romana come la pesca, la lavorazione del vetro e l'estrazione del sale. Scampata alle invasioni barbariche, la popolazione locale sviluppò inoltre notevolmente il commercio, grazie alla protezione che garantiva il complesso sistema di canali ed isole e grazie ai privilegi fiscali di cui godevano le province bizantine in Italia. La distanza da Bisanzio ed alcune controversie politiche dovute allo scisma tricapitolino causarono inizialmente la nascita di due fazioni in lotta fra loro, variamente schierate ora con i Longobardi ora con i Bizantini, finché le forti autonomie concesse dagli imperatori bizantini furono ufficializzate nella nascita, tra la fine del VII secolo e gli inizi dell'VIII del Ducatus Venetiae.
La Venetia Maritima nasceva a seguito dell'occupazione longobarda di buona parte dell'attuale Veneto e la progressiva migrazione delle popolazioni romane provenienti dalla caduta di Aquileia portò a nuovi insediamenti costieri, al sicuro, protetti dalle lagune e dalla flotta imperiale. I romanici che migrarono della Venetia continentale, per edificare nuovi centri nelle isole della costa adriatica, non abbandonarono la propria regione, pensando un giorno di poter tornare a riconquistare le città perdute. Un processo simile avvenne in Istria e, qualche decennio dopo, in Dalmazia a seguito dell'invasione degli Avari.
L'area soggetta all'amministrazione della provincia bizantina si estendeva prevalentemente entro le lagune di Venezia e Marano e di Grado, parte dell'attuale costa friulana, Chioggia e, per un brevissimo periodo, parte dell'entroterra veneto tra i fiumi Adige e Brenta.[2]
«Nunc vero singularum nomina insularum necesse est convenienter exprimere. Prima illarum Gradus dicitur, que dum constat altis menibus ecclesiarumque copiis decorata sanctorumque corporibus fulta, quemadmodum antique Venecie Aquilegia, ita et ista totius nove Venetie caput et metropolis fore dinoscitur. Secunda namque insula Bibiones nominatur. Tertia vero Caprulas vocitatur, ad quam Concordiensis episcopus cum suis Longobardorum timoratione territus adveniens, auctoritate Deusdedi pape episcopati sui sedem inibi in posterum manendam confirmavit et habitare disposuit. Quarta quidem insula estat, in qua dudum ab Eraclio imperatore fuerat civitas magnopere constructa, sed vetustate consumpta, Venetici iterum illam parvam composuerunt. Postquam autem Opiterine civitas a Rothari rege capta est, episcopus illius civitatis auctoritate Severiani pape hanc Eraclianam petere ibique suam sedem confirmare voluit. Quinta insula Equilus nuncupatur, in qua dum populi illic manentes episcopali sede carerent, auctoritate divina novus episcopatus ibi ordinatus est. Sexta insula Torcellus subsistit, que licet urbium menibus minime clarescat, tamen aliarum insularum munitione circumscepta, in medio tutissima pollet. Septima insula Morianas vocitatur. Octava quidem insula Rivoaltus subsistit, ad quam ad extremum licet populi ad habitandum confluerent, tamen ditissima et sublimata omnibus manet, que non solum ecclesiarum seu domorum decoritate ostentatur, verum etiam ducatus dignitatem atque episcopati sedem habere et possidere videtur. Nona insula Metamaucus dicitur, que non indiget aliqua urbium munitione, sed pulchro litore pene ex omni parti cingitur, ubi auctoritate apostolica episcopalem sedem populi habere consecuti sunt. Decima vero insula Pupilia manet. Undecima minor Clugies dicitur, in qua monasterium sancti Michaelis scitum est. Duodecima insula Clugies maior nuncupatur. Est etiam in extremitate Venetie castrum, quod Caput argilis dicitur. Sunt etenim apud eandem provintiam quam plurime insule habitabiles.»
(IT)
«Ora però è necessario descrivere convenientemente le diverse isole. La prima tra queste è chiamata Grado, la quale possiede alte mura e molte chiese adornate e ricche di corpi di Santi, proprio com'era, nell'antica Venezia, Aquileia, cosicché essa è generalmente nota come la capitale e la metropoli della nuova Venezia. La seconda isola, invece, è detta Bibione. La terza, poi, è nota come Caprola: il vescovo di Concordia, giungendo qui assieme ai suoi, atterrito dalla violenza dei Longobardi, vi trattenne la sua sede episcopale, con l'autorità di papa Adeodato, accingendosi ad abitarvi. Vi è poi la quarta isola, nella quale fino a poco tempo fa c'era una grandiosa città costruita dall'imperatore Eraclio, ma rovinata dal tempo, che i Venetici hanno ora ricostruito più piccola. Infatti, dopo che la città di Opitegio venne presa dal re Rotari, il vescovo di quella città si diresse con l'autorità di papa Severino qui ad Eracliana, dove volle porre la propria sede. La quinta isola è detta Equilo, nella quale invece, poiché coloro che vi abitavano erano privi di una sede vescovile, venne ordinato con l'autorità di Dio un nuovo Vescovo. Sulla sesta isola si trova invece Torcello, la quale si distingue per il fatto che sia possibile non tenervi per nulla mura cittadine, essa infatti, trovandosi circondata dalla difesa delle altre isole, governa sicurissima nel mezzo. La settima isola è nota come Mureana. Ovviamente nell'ottava isola si trova Rivoalto, nella quale infine è confluito ad abitare il popolo, la quale risulta difatti famosissima ed onorata e nella quale non solo si ostenta la ricchezza delle case e delle chiese, ma si vede trovarvisi la dignità del Ducato e della sede vescovile. La nona isola è chiamata Metamauco, nella quale pure non è necessaria nessun'altra difesa cittadina, ma che è invece cinta dovunque da un bel litorale e dove è abitudine che il popolo abbia, con autorità apostolica, una propria sede vescovile. C'è poi la decima isola, Popilia. L'undicesima è detta Chioggia Minore, nella quale è il bel monastero di San Michele. Nella dodicesima isola si trova Chioggia Maggiore. Vi è inoltre un castello al confine della Venezia, che è detto di Capo d'Argile. In realtà, comunque, vi sono in quella provincia numerosissime altre isole abitabili.»
Equilio, centro urbano anch'esso sviluppatosi dal declino di Oderzo e per questo in stato di perenne conflitto con la vicina Eracliana, alla quale contende il primato e i possedimenti territoriali;
Altino, città romana presto declinata a seguito dell'invasione longobarda;
Torcello, principale centro commerciale delle lagune, posto in strategica posizione al centro dell'area lagunare formata dalla confluenza dei fiumi Piave, Sile, Dese e Zero, sviluppato dall'esodo della vicina Altino, il cui vescovo proprio qui si trasferisce, fondando una nuova diocesi; tracce attorno all'attuale centro urbano di una presenza industriale storica ben sviluppata, prevalentemente caratterizzata da cantieri navali (squeri) e magazzini commerciali (fondachi)[7].
Treporti, centro portuale posto all'ingresso del sistema lagunare di Torcello;
Ammiana, centro urbano gravitante attorno a Torcello, poco ad oriente della stessa;
Costanziaco, altro centro gravitante nell'orbita torcellana;
Maiurbum, anch'essa, come i vicini centri, sviluppata dai profughi altinati; il nome deriva dal «vicus Maioribus» (quartiere degli antenati) di Altino. La città non ebbe un grande sviluppo, rimanendo un secondario insediamento della laguna, con attività economiche legate principalmente alla pesca e alla coltivazione di orti domestici[8].
Burano, grosso centro posto a sud di Torcello, a breve distanza da questa; fu fondata su un gruppo di isole fino ad allora disabitate dai profughi della terraferma, prevalentemente da abitanti di Altino, col nome di Burianum, cioè «città dei boreani», gli abitanti del «vicus Boreanum» (porta di Borea o porta settentrionale), quartiere di Altino[9].
Mureana, altro centro sorto a seguito della caduta di Altino dove si concentrarono la maggiorpate delle attività industriali legate alla lavorazione del vetro[10];
Olivolo, centro sorto sullo stesso gruppo di isole occupato da Rivoalto, sede episcopale;
Metamauco, città strategicamente sorta su uno dei lidi più lontani dall'entroterra, sede episcopale e, con la creazione del Ducato di Venezia, nuova capitale della Venetia maritima;
Popilia, centro posto alle spalle di Metamauco, all'interno delle lagune;
Albiola, porto sorto poco più a meridione di Metamauco;
Chioggia Minore, porto della vicina Chioggia Maggiore, all'estremità meridionale delle lagune[11];
Chioggia Maggiore, già città romana con il nome di Clodia, era il principale centro della parte meridionale della provincia, nonché il più antico insediamento abitato della laguna e il principale porto prima della nascita di Venezia (anche Clugie, Cluia e Cluzia)[11];
Brondolo, porto di Chioggia Maggiore, già antica mansio distaccata presso la via Popilia, una sorta di nodo d'interscambio tra le comunicazioni marittime, lagunari e terrestri.[12].
All'epoca il sistema lagunare risultava molto diverso e molto più esteso rispetto all'attuale, costituendo in pratica un complesso ininterrotto tra le foci del Po, a sud, e dell'Isonzo a nord. Tale sistema lagunare, del quale oggi sopravvivono le lagunedi Comacchio, Venezia, Caorle, Marano, e Grado, fungeva da sicura via di navigazione interna, parallelamente alle antiche vie romane sulla terraferma, e da protezione delle città costiere, realizzate sulle isole-lido. L'ambiente lagunare venne tuttavia pesantemente stravolto attorno alla fine del VI secolo da una grande alluvione, nota come «rotta della Cucca» o «alluvione di Paolo Diacono», che provocò la fuoriuscita dei fiumi dal loro precedente alveo, mutandone il corso. Le conseguenze dell'evento portarono ad una progressiva separazione delle diverse lagune, con lo sviluppo di impaludamenti e di zone malariche provocate dalla mutata concentrazione dei ristagni di acque dolci. Il mutamento ambientale influì anche sul conseguente sviluppo dei vari centri urbani, gettando le basi del successivo declino di molti di essi.
Nel 554 finì la ventennale Guerra gotica, con cui l'imperatoreGiustiniano I aveva riconquistato la penisola italiana, la Dalmazia e la Sicilia; con le ulteriori conquiste dell'attuale Tunisia, della Sardegna, della Corsica e delle Baleari, strappate ai Vandali (Guerra vandalica, 533-534) e della Spagna del sud, strappata ai Visigoti nel 554, una parte dei territori un tempo facenti parte dell'Impero romano d'Occidente erano stati riconquistati dall'Impero di Giustiniano.[13]. Da allora al 584 ca. tutta l'area tornata sotto il controllo bizantino subì una profonda riforma amministrativa, che seguiva i traumatici eventi bellici e un diffuso impoverimento dell'economia del Mediterraneo occidentale: l'antica Prefettura del pretorio d'Italia, la cui sede era Ravenna, venne affidata all'amministrazione del generale e patriziobizantinoNarsete, che aveva guidato vittoriosamente le armate imperiali nell'ultima fase del conflitto[14]. La Venetia et Istria costituì una delle provincie di questa entità amministrativa[15], e rimase tale fino al 754, quando l'area lagunare fu separata dall'Istria, che invece fu aggregata al thema di Dalmazia[16]. La nuova regione probabilmente aveva un governatore civile, che era eletto dai vescovi e i notabili del luogo, questo lo si può supporre grazie alla Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii di Giustiniano, scritta nel 554, con cui si promulgava l'estensione della legislazione imperiale orientale ai nuovi territori[17]. Nelle varie città, poi, le singole assemblee locali, i comitia, eleggevano poi ciascuna un Tribuno per reggere l'amministrazione locale, perpetuando l'uso romano avviato negli ultimi anni dell'Impero romano d'Occidente.[18]
Nel 554 la conquista dell'Italia non era ancora del tutto compiuta: alcune aree del Nord, e soprattutto le Venezie, erano ancora in mano gota e franca; Narsete nel giro di pochi anni riuscì a riportare questi territori in mano imperiale e nel 559, anno in cui è attestata la presenza di un comandante imperiale nelle Venezie[15], la conquista delle Venezie poteva dirsi per gran parte compiuta; fu però solo nel 561-562, con la resa di Verona e Brescia, che i Franchi abbandonarono l'Italia. Nell'anno 566 scoppiò una rivolta dei foederati eruli di stanza a Trento che assunse vaste proporzioni e che venne sedata da Narsete nell'anno successivo.
Nel 568, approfittando della debolezza dell'Italia settentrionale, ancora dissanguata dalla Guerra gotica e flagellata da una violenta pestilenza, una popolazione di stirpe germanica proveniente dalla Pannonia, i Longobardi, attraversò l'Isonzo, distrusse il presidio militare bizantino di Forum Iulii e occupò la città, investendo poi rapidamente l'intera area più orientale della Venetia[20] fino a conquistare dapprima Aquileia, Treviso, dove trovò un accordo con la chiesa locale, e poi Verona, Vicenza, Milano e infine Pavia[21]. Mentre i conquistatori dilagavano anche nell'Italia centrale e nord-occidentale, Pavia divenne nel 572 la capitale del nuovo Regnum Langobardorum[22].
A seguito dell'invasione, nell'Italia nord-orientale, i cui territori occupati andarono a formare l'Austria longobarda, rimasero sotto il controllo bizantino solo Padova, Oderzo, Monselice e Cremona, assieme alla città costiere, ma la dissoluzione della realtà sociale italica, appena ricostruita dopo le devastazioni della Guerra gotica, fu traumatica per le popolazioni locali[23]. Il patriarca di Aquileia Paolo si rifugiò nelle lagune, dove già a seguito delle invasioni dei Goti e degli Unni si erano formate le prime comunità cittadine, portando allo sviluppo del centro urbano di Grado, dove venne anche trasferita la sede metropolitana, definitivamente nel 579 con la consacrazione della basilica di Sant'Eufemia ed un apposito sinodo delle chiese suffraganee della Venetia e dell'Istria. Successivamente cadde anche Julia Concordia, i cui abitanti fondarono Caorle. L'unità dell'antica provincia della Venetia sopravviveva solo nei confini della giurisdizione ecclesiastica[24].
Con la morte di Giustiniano I la situazione politica in Italia rimase travagliata: l'Impero era assediato a oriente da Persiani, Avari e Slavi, per cui nella penisola italiana ai Romanici venne a mancare il supporto economico e bellico di Bisanzio per lungo tempo. L'unico tentativo di riconquista fu effettuato nel 576 ad opera del generale Baduario, sotto la reggenza di Tiberio II, che non ebbe alcun successo. La difesa del territorio perciò trovò sostegno finanziario e civile solo nelle forze municipali locali, tanto che l'esercito in Italia divenne per lo più un insieme di militari che erano proprietari terrieri al comando dell'esarca di Ravenna, che traevano di fatto la maggior parte delle provvigioni direttamente dai latifondi e dalle proprietà terriere: costoro erano definiti milites limitanei[25] (soldati di frontiera) e costituivano una compatta struttura sociale, sia nelle città che nei centri periferici.
Questo sistema di riforme influenzò profondamente anche la Laguna veneta, che, legata prevalentemente ad una economia marittima e lagunare più che a quella agreste dell'entroterra, guadagnò dai cambiamenti in atto in tutta Italia una forte autonomia, sia nell'amministrazione del sistema tributario, sia nella costituzione dell'organizzazione civile. Nel 580, Tiberio II soppresse la provincia della Venetia costituendo l'eparchiaAnnonaria, con Ravenna, l'Emilia e la Bassa Padana lombarda, ma solo pochi anni dopo (584) Maurizio la ricostituì in distretto col nome di Venetikà.[26]
Lo Scisma tricapitolino e la nascita del Patriarcato di Aquileia-Grado
Nonostante nel 579, papa Pelagio II riconoscesse al patriarca Elia la metropolia sulla Venezia e sull'Istria nel tentativo di venire ad un accordo, Roma e Ravenna, che erano sotto il controllo dell'imperatore, contrastavano direttamente gli scismatici di Aquileia. Fallito il tentativo di ricomposizione, nel 587, l'esarca Smaragdo passò alle vie di fatto, catturando il patriarca Severo ed imprigionandolo per un anno, fino a costringerlo a piegarsi, insieme ad alcuni vescovi dell'Istria, ai dettami imperiali.[27] L'episodio non aveva però ricomposto lo scisma, perché i vescovi, una volta liberati, erano ritornati sulle loro posizioni, forti anche delle conseguenze dell'occupazione longobarda, che aveva fortemente indebolito il potere bizantino: nel 590 Severo radunò dunque un sinodo a Marano, dove dichiarò solennemente che l'abiura gli era stata estorta con la forza.[28]
L'occupazione longobarda, frattanto accentuò la distanza fra le Chiese soggette al patriarcato: le città cadute sotto il dominio germanico, infatti, godendo - anche in funzione anti-bizantina - di una maggiore tolleranza religiosa da parte degli ariani Longobardi, si arroccarono su posizioni radicalmente scismatiche, mentre le città della Venezia marittima scivolarono lentamente verso posizioni più moderate.
La perdita della terraferma
Nel 589, un'immane alluvione giunse a sconvolgere l'intero territorio, mutando il corso dei principali fiumi (Adige, Mincio, Brenta, Sile e Piave) e investendo anche le città sorte sulle lagune: tra queste la principale, Melidissa, che venne a trovarsi improvvisamente ricongiunta alla terraferma[29]. Nel 590[30] un'alleanza franco-bizantina contro il re dei LongobardiAutari sembrò dover portare alla sconfitta definitiva dei Longobardi, ma i Franchi, proprio quando i Longobardi stavano per capitolare, ritornarono in patria senza farvi più ritorno. Nel 591Agilulfo, succeduto ad Autari, trattò una pace separata con Childeberto re dei Franchi e i Bizantini dovettero abbandonare i loro piani di riconquista. In Venetia riannetterono all'Esarcato solamente Altino.[31] Da allora iniziarono una serie di scorrerie longobarde dapprima in Istria, col sostegno di Avari e Slavi, e quindi lungo il confine veneto; nel 601, Agilulfo infine conquistò Padova e Monselice, causando una seconda ondata migratoria dei Romanici verso le città di Brondolo, Clodia, Popilia, Metamauco e Spinalonga. La Venetia era sempre più isolata dal resto del territorio bizantino e la popolazione, forzatamente, stava aumentando nell'area lagunare, costituendo nuove realtà urbane o rafforzando quelle già esistenti. Quando il Regno longobardo fu ereditato da Rotari, gli attacchi contro i territori bizantini si intensificarono, e nel Veneto si spinsero fino a sottrarre ogni lembo di territorio, tralasciando solo le aree lagunari.[32]
Il dilagare dei Longobardi acuì la frattura interna alla chiesa aquileiense, creando tensioni crescenti che esplosero nel 606, quando le Chiese sotto il controllo militare bizantino nominarono metropolita - a Grado - Candidiano di Rimini, contrario ai tricapitolini, mentre le Chiese dei territori longobardi gli opposero Giovanni I, che da parte sua condannò il metropolita di Grado reinsediandosi ad Aquileia, sotto la protezione di Gisulfo II del Friuli: l'episodio sancì la scissione del patriarcato nelle due opposte sedi di Aquileia e Grado, ciascuna rivendicante per sé l'esclusiva legittimità. L'Istria e le lagune, fedeli a Roma e all'Impero, finirono così per distaccarsi dal resto del Veneto e del Friuli, il cui entroterra aveva abbandonato definitivamente l'autorità bizantina.[33]
Intorno all'anno 616, durante il pontificato di Papa Adeodato I, cadde in mano longobarda anche la città di Concordia, il cui vescovo, «terrorizzato dalla paura dei Longobardi», si rifugiò con la popolazione a Caorle, dove stabilì la propria nuova sede.[34] La sola città dell'entroterra a resistere ai Longobardi, oltre ad Altino, era allora Opitergium, probabile sede del governo provinciale[35]. Qui, probabilmente tra il 619 e il 625[36], il patrizio bizantino Gregorio massacrò a tradimento i duchi del Friuli, Caco e Tasone, figlio di Gisulfo II[37]: l'episodio rimase impresso nella memoria dell'altro figlio di Gisulfo scampato all'imboscata, Grimoaldo, che, divenuto re, si sarebbe vendicato nel 667 radendo al suolo la città.
Un ruolo di primaria importanza era comunque venuta assumendo già da tempo la vicina città lagunare di Melidissa, ribattezzata attorno al 628Eracliana (o Eraclea) in onore dell'imperatore Eraclio, vittorioso in oriente sui Persiani di Cosroe II e liberatore della Vera Croce: con la caduta di Oderzo la città di Eraclio divenne dunque nuova sede dei funzionari provinciali.[38] La definitiva perdita dell'entroterra spinse ad una riorganizzazione della vita civile alla luce della nuova geografia lagunare, provocata anche dal rapido avanzare dei Longobardi, condotti dal loro re Rotari, il quale, asceso al trono nel 636, abbandonò la politica di pacificazione con l'Impero adottata dai suoi immediati predecessori. Nel 639 Rotari attaccò Oderzo e Altino e le conquistò, costringendo la popolazione a fuggire nelle lagune. Così ad Eraclea la nuova cattedrale accolse il vescovo di Oderzo Magno, mentre nel 639, per ordine dell'esarca Isacio, venne fondata la nuova cattedrale di Santa Maria Madre di Dio di Torcello, per accogliervi la sede episcopale del vescovo altinate, la cui città era stata appena distrutta dal re Rotari:
(LA)
«In n(omine) d(omini) D(e)i n(ostri) Ih(es)u Xr(isti), imp(erante) d(omi)n(o) n(ostro) Heraclio p(er)p(etuo) Augus(to), an(no) XXVIIII ind(ictione) XIII, facta est eccl(esia) S(anc)t(e) Marie D(e)i Genet(ricis) ex iuss(ione) pio et devoto d(omi)n(o) n(ostro) Isaacio excell(entissimo) ex(ar)c(ho) patricio et D(e)o vol(ente) dedicata pro eius merit(is) et eius exerc(itu). Hec fabr(ica)t(a) est a fundam(entis) per b(ene) meritum Mauricium gloriosum magistro mil(itum) prov(incie) Venetiarum, residentem in hunc locum suum, consecrante s(anc)t(o) et rev(erendissimo) Mauro episc(opo) huius eccl(esie) f(e)l(ici)t(er).»
(IT)
«Nel nome del Signore Dio nostro Gesù Cristo, essendo imperatore il nostro signore Eraclioperpetuo Augusto, nell'annoventinovesimo, indizionetredicesima, è stata fatta la chiesa di Santa Maria Madre di Dio, per ordine del nostro pio e devoto signore Isacio eccellentissimo esarca e patrizio, e, a Dio piacendo, è stata dedicata in favore dei suoi meriti e del suo esercito. Questa è stata fabbricata sin dalle fondamenta grazie al benemerito Maurizio, glorioso magister militum della provincia di Venezia, residente in questo suo luogo, con la consacrazione del santo e reverendissimo Mauro felicemente vescovo di questa chiesa.»
(Dedicazione lapidea della Cattedrale di Torcello)
Anche in tutto il resto delle lagune gli insediamenti aumentarono in modo esponenziale, come sulle isole di Costanziaco, Ammiana, Burano e Maiurbum, nonché Olivolo e Rivoalto.[39], che cinsero come una cintura il grande centro mercantile di Torcello.
Frattanto però, l'unità politica della Venezia venne scossa da diversi fattori economici e politici; le trasformazioni in corso nell'economia della laguna si riscontrarono anche nel sistema amministrativo e sociale: i veneziani continuano a mantenere i propri diritti sui territori agricoli sottratti dai longobardi (pascolo, legnatico, transito) e probabilmente l'unità delle comunità lagunari era mantenuta grazie ad un sistema federativo alla cui base erano i tribuni e il clero, certamente per tutto il VII secolo[40]. Dalla nascita di forti rivalità tra Eraclea e la vicina Equilio poi, città dove più forte era l'influenza filo-longobarda e che al pari della capitale ducale si proclamava erede di Oderzo, le crescenti tensioni sfociarono nel 690 in aperto conflitto, risoltosi in favore della capitale filo-bizantina.
Non migliore era la generale condizione dell'Esarcato, scosso nel 692 da una tremenda rivolta contro l'autorità dell'imperatore Giustiniano II, colpevole di aver tentato l'arresto di papa Sergio I. Lo stesso sovrano sarebbe stato colpevole, poi, appena un decennio più tardi, dopo la sua seconda intronizzazione, di un ulteriore grave sconvolgimento per l'esarcato, quando, nella sua generale campagna di vendetta contro quanti avevano osato ribellarglisi, massacrò spietatamente e a tradimento un gran numero di notabili italici a Ravenna. I Ravennati reagirono con una nuova e grave rivolta che scosse l'Esarcato: guidata da Giorgio Ioanniccio, a seguito dell'applicazione delle norme del concilio in Trullo, condannante la pratica latina del celibato ecclesiastico, la ribellione assorbì l'attenzione del nuovo esarca (forse Eutichio al suo primo mandato?), che riuscì però infine a soffocarla.
Tra la fine del VII secolo e gli inizi dell'VIII una nuova riforma politica investì la Venetia: come le altre province bizantine d'Italia venne trasformata in ducato[41][42]. Secondo la tradizione il primo duca della Venetia fu l'opitergino od eracleense[41]Paolo Lucio Anafesto, l'inizio del cui governo è posto nel 697 dal Dandolo, durante il regno di Leonzio[43], posticipabile al 698 stando alla Cronaca Altinate[44], mentre il diacono Giovanni lo fa risalire agli anni della reggenza imperiale di Anastasio II, dunque attorno al 713[45], attribuendo inoltre l'elezione agli stessi Venetici[46].
Il nuovo duca riuscì a consolidare i confini attraverso un trattato col re longobardo Liutprando[47], riuscendo anche a preservare l'autonomia ecclesiastica di Grado, minacciata nel 699 dal Sinodo di Pavia, tanto che nel 717papa Gregorio II decretò l'elevazione della sede al titolo di patriarcato di Grado. Attorno a quella stessa epoca, però, stando alle cronache, Paoluccio cadde poi in una congiura organizzata da nobili equiliani[48]. Gli successe quindi come duca il suo vecchio magister militumMarcello, la cui morte giunse in un momento di grave crisi politica provocata dalle conseguenze dei provvedimenti iconoclasti ordinati dall'imperatore Leone: nel 726 l'Italia cadde così preda di rivolte intestine e molti ducati bizantini insorsero contro Costantinopoli e Ravenna. I veneti in rivolta nominarono così autonomamente il proprio duca, nella persona di Orso[49].
Della situazione approfittarono intorno al 732[50] i Longobardi che occuparono Ravenna: spaventato, papa Gregorio III esortò quindi il duca Orso a fornire aiuto all'esarca fuggitivo Eutichio. La capitale esarcale venne dunque riconquistata e il potere di Orso venne legittimato l'anno successivo con la concessione imperiale del titolo di Ipato. Nel 731, poi, la Venezia veniva ulteriormente ricompensata dal nuovo papa Gregorio III con la definizione della separazione canonica delle diocesi di Grado ed Aquileia e con il riconoscimento, alla prima, della metropolia sulle diocesi dell'Istria e del Ducato di Venezia. L'esarca Eutichio riuscì tuttavia a riportare sotto il completo controllo bizantino la Venetia: approfittando infatti dell'assassinio del duca Orso, coinvolto nell'ennesimo scontro tra Eracliana ed Equilio, Eutichio ordinò nel 738 che il governo del ducato fosse assegnato a magistrati militari annuali, i Magistri Militum. Garantitosi così la fedeltà della Venetia e la riscossione delle sue tasse, Eutichio riparò nel 740 nelle lagune allorché i Longobardi occuparono nuovamente Ravenna. L'anno successivo, 741, Eutichio riprese la città con l'aiuto del magister militumGioviano, che venne in cambio nominato Ipato. Il potere bizantino sull'Italia appariva tuttavia in inarrestabile declino.
Nel 742 i nuovi scontri tra Eracliana ed Equilio provocati dall'eracleense magister militumGiovanni Fabriciaco portarono infine alla deposizione di quest'ultimo[51] e al trasferimento della capitale a Metamauco[52], dove con la concessione imperiale i Venetici si videro conferita la potestà all'autonoma nomina del Dux[53]: il potere venne dunque affidato al figlio dell'ultimo duca, Teodato Orso[54].
Economia
I dati sulla situazione economica della Venetia maritima sono stati raccolti grazie ad una serie di studi effettuati sugli scavi archeologici di Torcello verso la metà degli anni cinquanta. Originariamente il territorio della laguna, dall'età romana fino al primo Medioevo, era impiegato prevalentemente, se non esclusivamente, per la produzione del sale o per altre attività minori legate alla pesca e al dragaggio della costa[55]. Già importante appariva la navigazione all'epoca del regno del gotoVitige, il cui ministroCassiodoro così si rivolgeva ai Venetici[18]:
Con un precedente comando abbiamo ordinato che l'Istria inviasse felicemente alla residenza di Ravenna i vini e gli olii di cui essa gode in ampia abbondanza quest'anno. Voi, che possedete numerosi navigli per collegarvi con essa, provvedete con pari atto di devozione a trasportare celermente quanto questa è pronta a dare. (...) Siate dunque prontissimi a tale breve viaggio, voi che spesso attraversate spazi infiniti. (...) Si aggiunge alla vostra comodità che vi si apre sempre anche un'altra via, sicura e tranquilla. In quanto quando per l'infuriare dei venti vi sia precluso il mare, vi si offre un'altra strada tra amenissimi fiumi. Le vostre carene non temono aspri soffi, toccano terra con somma felicità e non sanno perire, esse che così di frequente salpano dalla costa. Non vedendone il corpo, capita a volte che sembri che siano trinate per le praterie e si muovono trainate dalle funi. (...)»
Il sistema economico romano resse sino agli inizi del dominio bizantino, fintanto che, cioè, si mantenne l'unità della provincia. Ai tempi di Narsete le varie arti si riunivano già in corporazioni, dette scholae, protette da un patrono: si annoveravano così le arti dei fabbri, dei centonari, dei fulli, dei mercanti, dei bottegai, degli scalpellini, dei vasai, dei pittori, etc.[18].
L'aumento forzato della popolazione dovuto alle migrazioni dal Veneto comportarono un mutamento radicale nelle produzioni economiche dell'area che da periferia divenne un vero e proprio mercato. Dall'invasione longobarda fu attivata una produzione agricola abbastanza consistente, anche di prodotti da esportazione come il pino da pinoli, il noce, il nocciolo, il pesco e il susino, nonché la vite e il cetriolo, in una varietà locale ancora presente a Torcello. Il crescere della popolazione poi comportò una seconda trasformazione del territorio che, diventando area cittadina, vide crescere la richiesta di prodotti artigianali, così sviluppò l'industria della ceramica e infine l'arte vetriaria (già dal 639 nella chiesa di Torcello compaiono i primi mosaici a tessere vitree). Torcello si avviava a diventare un vero e proprio centro commerciale, un «μέγαν ἐμπόριον» (megan emporion, "grande mercato") già ai tempi di Costantino Porfirogenito[56]. Della terraferma restava solo la tecnica edilizia, sia nei materiali da costruzione che nelle produzioni artigianali più comuni, che però sentirono molto anche l'influenza dei modelli longobardi.[57]
Lo sviluppo del mercantilismo
Il territorio di naturale sviluppo delle attività commerciali veneziane era sempre stato la pianura padano-veneta e il vasto tratto di costa che da Ravenna raggiunge Trieste (in senso più ampio anche l'Istria), percorso dalla vieAnnia e Postumia e dalla rete di fiumi e canali navigabili garantito dal sistema lagunare. Questo legame mercantile continuò, nonostante i vari conflitti, ininterrotto fino all'VIII secolo. Quando però Adriano I confiscò i possedimenti veneziani nei territori dell'arcidiocesi di Ravenna, dopo dei contrasti politici in Italia, e bandì i mercanti lagunari dell'Esarcato, l'economia veneziana che fino ad allora era stata controllata dai proprietari terrieri e indirizzata dalle loro esigenze finanziarie, fu costretta a rinnovarsi radicalmente nel sistema produttivo, e le principali attività furono quelle create da homini novi o dei vecchi agrari che divennero armatori, rivolte per lo più ai commerci marittimi. I rapporti politici privilegiati con l'oriente permisero inoltre alla popolazione locale di guadagnare ambiti monopoli come quello del commercio delle cosiddette porpore di Tiro, del pellame o delle stoffe asiatiche, nonché, fattore non certo secondario, il mercato degli schiavi che fu condotto per diversi secoli dai veneziani fra il mondo slavo e l'Africa islamica.
Così anche la flotta militare fu incentivata notevolmente, sia dai privati che dal governo locale, già dai primi tempi di pattuglia su tutto l'Adriatico dall'Istria fino ad Otranto, contro la pirateria, rafforzata da potenti navi costruite sul modello del dromone imperiale bizantino, dette zalandriae[58][59]
^La prima menzione all'esarcato d'Italia e alla carica di esarca si ha nell'anno 584 (cfr. Ostrogorsky, p. 81) in una lettera di Papa Pelagio II in cui si cita un patrizio Decio, forse identificabile con l'esarca menzionato nella medesima lettera. La riforma degli esarcati viene ritenuta da Ostrogorsky opera dell'Imperatore Maurizio (582-602): «[Maurizio,] raggruppando i resti dei possedimenti giustinianei, creò gli esarcati di Ravenna e di Cartagine [...]» (Ostrogorsky, p. 69)
^Giovanni diacono, Cronaca, in Cronache veneziane antichissime, Fonti per la storia d'Italia, IX, Roma 1980, p. 91.
^Scrive infatti Giovanni Diacono nella Istoria Veneticorum, II-2, che «Temporibus nempe imperatoris Anastasii et Liuprandi Langobardorum regis, omnes Venetici, una cum patriarcha et episcopis convenientes, communi consilio determinaverunt quod dehinc honorabilius esse sub ducibus quam sub tribunis manere. Cumque diu pertractarent quem illorum ad hanc dignitatem proveherent, tandem invenerunt peritissimum et illustrem virum, Paulitionem nomine, cui iusiurandi fidem dantes, eum apud Eraclianam civitatem ducem constituerunt.» ("Appunto al tempo dell'imperatore Anastasio e di Liutprando, re dei Longobardi, tutti i Venetici, riunendosi insieme al Patriarca e ai Vescovi, decisero di comune accordo che fosse dunque più onorevole rimanere sotto [il governo] di un Duca, piuttosto che dei Tribuni. E così discutendo a lungo su chi tra loro elevare a tale dignità, infine trovarono un uomo abilissimo ed illustre, di nome Paoluccio, e, giurandogli fedeltà, lo nominarono Duca presso la città di Eracliana").
^Scrive infatti Andrea Dandolo nella Chronaca Venetiarum, I-7 : «Illic Paulutius dux amicitiam cum Liutprando rege contraxit et pacta inter Venetos et Langobardos fecit per quae sibi et populo suo immunitates plurimas acquisivit et fines Heracliae cum Marcello magistro militum, terminavit, videlicet, a Plava majore usque in Plavam sicca, sive Plavicellum.» ("Colà il duca Paulicio strinse pace e amicizia col re Liutprando e stipulò un trattato tra Veneti e Longobardi, col quale acquisiva per sé ed i suoi numerose esenzioni e, come si vede, stabiliva assieme al magister militum Marcello i confini di Eraclia dal Piave maggiore sino alla Piave secca, altrimenti detto Piavicello").
^Si legge infatti dall'anonimo della Cronaca Altinate, libro III, che: «Orta est contentio inter Veneticos, coeperunt fortiter inter se pugnare, apprehenderunt eandem civitatem et incenderunt et interfecierunt Paulicium in simul cum filium eius et cunctos consanguineos eorum et remansit ex eis nisi tantum salummodum unus clericus qui genuit duos filios.» ("Nacque una contesa tra i Venetici, i quali presero a combattersi con sempre maggior forza, conquistarono quella città (Eracliana), la diedero alle fiamme e massacrarono Paulicio assieme a suo figlio e a tutti i loro consanguinei, tra i quali non rimase nessuno se non un prete, dal quale discesero due figli").
^Giovanni Diacono scrive nella sua Istoria Veneticorum, II-17, che «Eisdem etiam diebus Venetici, magistrorum militum prelibate prefecture dignitatem abominantes, rursum, ut quondam, ducem, videlicet Deusdedem, sepedicti Ursonis ypati filium, in Metamaucense insula sibi crearunt.» ("In quegli stessi giorni, inoltre, i Venetici, disgustati -provatone il governo- dalla carica dei magistri militum, si nominarono nuovamente, come un tempo, un Duca nell'isola di Metamauco, vale a dire Teodato, considerato figlio di Orso Ipato").
^Così lo definì l'imperatore Costantino Porfirogenito (Costantino Porfirogenito, De administrando imperio, a cura di Moravicsik G. e Jenkins R. J. H., Budapest 1949, p. 118).
^Leiciesjewicz L., Tabaczinska E., Tanacziski S., Torcello. Svavi 1961-1962, Istituto nazionale d'archeologia e storia dell'arte, Roma 1977, pp. 103, 195, 244, 288, 291-292.
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